L’affaire Benveniste, una storia dimenticata

L’affaire Benveniste, una storia dimenticata

L’affaire Benveniste, una storia dimenticataLe vicende che in questi giorni scuotono la società inglese in merito all’omeopatia e alle pressanti e autorevoli richieste di sospendere i finanziamenti pubblici destinati a questo tipo di cure, ci fanno tornare in mente una storia accaduta più di vent’anni fa. Il 30 giugno 1988 la rivista Nature pubblicava un articolo dal titolo “Degranulazione dei basofili umani indotta da una soluzione altamente diluita dell’anticorpo anti-IgE”.

Lo studio riguardava un fenomeno sorprendente. Nel citoplasma di alcuni globuli bianchi del nostro sangue sono presenti dei granuli che, quando veniamo in contatto con qualche allergene, vengono rilasciati nel sangue stesso, con conseguente liberazione di sostanze come l’Istamina che favorisce la reazione infiammatoria a livello di mucose, bronchi ecc.

È questo fenomeno di degranulazione, quindi, il meccanismo che sta alla base delle malattie allergiche e, oltre a presentarsi spontaneamente in soggetti sensibilizzati, può anche essere ottenuto in condizioni sperimentali utilizzando l’anticorpo anti-IgE.

Ma la sorpresa contenuta nell’articolo non riguardava questi meccanismi, per altro ben noti anche allora, ma l’affermazione che la degranulazione veniva indotta da una soluzione altamente dilutita, praticamente dall’acqua.

Jacques Benveniste
Jacques Benveniste

La sorpresa poi si fa stupore quando scopriamo che tra i firmatari dell’articolo compare il nome di un importante immunologo e biochimico francese, Jacques Benveniste, scomparso pochi anni fa.

Si tratta di un articolo pubblicato su una rivista scientifica influente, firmato da scienziati di prestigio e riguardante esperimenti svolti in un’importante istituzione scientifica, l’INSERM (Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale) di Parigi. Quanto basta per attirare l’attenzione dell’intera comunità scientifica, e non solo.

Il risultato, se confermato, avrebbe finalmente consentito di guardare con altri occhi l’Omeopatia che, da più di duecento anni, prescrive proprio rimedi ottenuti diluendo varie sostanze a tal punto da ottenere, secondo le attuali conoscenze chimiche, solo acqua.

E avrebbe determinato sicuramente un punto di svolta nella scienza del novecento, dimostrando l’esistenza di quella che, con una colorita espressione giornalistica, fu battezzata la “memoria dell’acqua”: questa, per qualche sconosciuta proprietà, conserverebbe il ricordo delle sostanze con le quali è venuta in contatto anche quando tali sostanze non sono più presenti e questa informazione sarebbe sufficiente a provocare effetti misurabili.

Tutti i condizionali usati sono d’obbligo quando si parla di un nuovo studio. Per quanto venga da fonti autorevoli, è necessario che altri ricercatori, in modo indipendente, giungano ad analoghi risultati. E questo è tanto vero quanto più “rivoluzionari” sono i risultati. Ed è anche naturale una certa dose di scetticismo, atteggiamento che lo stesso John Maddox, allora direttore di Nature, doveva avere se si sentì in dovere di aggiungere, all’articolo che lui stesso autorizzava, una nota dal titolo “Quando credere all’incredibile”, nella quale esprimeva i propri dubbi sulla veridicità dei risultati esposti.

In effetti Maddox, vista la perplessità di alcuni componenti della commissione di esperti che ogni rivista scientifica interpella per controllare la qualità scientifica di un articolo, era poco propenso alla pubblicazione.

Ma a seguito delle insistenze di Benveniste, che in quel momento era un’autorità nella scienza francese e che accusava la rivista di censura, decise per una sorta di pubblicazione con riserva, in attesa di controlli successivi. Controlli che il direttore di Nature stabilì, in accordo con l’immunologo francese, di realizzare in prima persona, costituendo una commissione per verificare la correttezza di tutte le procedure sperimentali.

Prima però che questo si potesse realizzare lo stesso Benveniste, inaugurando un atteggiamento che in seguito avrà imitatori anche più efficienti (“fusioni fredde” annunciate alla stampa prima ancora di qualunque verifica seria), comunicò ad un convegno di omeopati riunitosi a Strasburgo la sua rivoluzionaria scoperta. E la notizia fece il giro del mondo.

James Randi, fondatore del Comitato per l’Indagine Scientifica del Presunto Paranormale

Pochi giorni dopo, in un clima di rovente polemica e di clamore mediatico, la commissione si recò nei laboratori di Benveniste.

Era composta, oltre che da Maddox stesso, da Walter Stewart, ricercatore esperto in frodi scientifiche e da James Randi, fondatore del CSICOP (Comitato per l’Indagine Scientifica del Presunto Paranormale) e divenuto celebre per aver scoperto i trucchi di Uri Geller, noto per la sua presunta capacità di piegare gli oggetti con la “forza della mente”. Un terzetto ben assortito ma, soprattutto, attrezzato mentalmente a individuare quei particolari che sfuggirebbero a uno scienziato e che sono molto comuni nelle frodi scientifiche.

Dopo una prima serie di esperimenti, dove la commissione assistette senza intervenire e che fornirono ampia prova dei risultati contenuti nell’articolo, si procedette ad una seconda fase nella quale si adottarono una serie di precauzioni, escogitate da Randi, che avrebbero dovuto escludere l’intervento fraudolento. Randi aveva notato, infatti, alcune cose poco chiare.

I dati degli esperimenti venivano copiati a matita su un quaderno sempre dalla stessa ricercatrice, la dottoressa Elizabeth Davenas, che poi provvedeva a riscrivere a penna, portandosi però a casa il registro originale. Altro particolare sospetto riguardava proprio i conteggi che provavano l’avvenuto fenomeno: il compito era svolto da diversi ricercatori, ma quasi solo la Davenas rilevava risultati positivi.

Il sistema di Randi fu questo: rimuovere tutte le etichette apposte dai ricercatori sulle provette che indicavano quali erano state “trattate omeopaticamente” e quali no, sostituirle con altre contrassegnate con un codice inventato al momento, trascrivere il codice in un foglio ed inserirlo, avvolto in un secondo foglio di alluminio, all’interno di una busta chiusa e attaccata sul soffitto del laboratorio.

Tutto questo dopo aver verificato che nella stanza non vi fossero microfoni o telecamere nascoste e aver oscurato i vetri delle finestre. Una preparazione degna di uno spettacolo di Houdini! Nessuno, tra gli sperimentatori, avrebbe potuto sapere cosa stava testando: acqua semplice, acqua con il siero ultradiluito o siero non diluito.

Il risultato? Un bel niente, neanche la più piccola evidenza. Per di più la busta presentava i segni di un tentativo di apertura e la scala utilizzata per attaccarla al soffitto risultava spostata (Randi, all’insaputa di tutti, ne aveva contrassegnato la posizione).

La credibilità dei risultati precedentemente ottenuti dal gruppo di Benveniste, risultati che comunque non sempre si presentavano e fortemente criticati dalla comunità scientifica, subiva così un duro colpo.

Benché nella relazione finale, pubblicata nella rivista il mese successivo con il titolo eloquente “Gli esperimenti ad alta diluizione: una delusione”, la commissione si limitasse a descrivere come si fossero svolti i fatti e non parlava esplicitamente d’imbroglio, l’articolo indicava senza mezzi termini che il lavoro era caratterizzato da errori sistematici, esperimenti mal condotti, selezione dei risultati e la conclusione che «nell’acqua possa essere stampata la traccia mnemonica del contatto con le sostanze è non necessaria e fantasiosa».

John Maddox

Altre indagini scientifiche confermarono le conclusioni di Maddox e compagni, come quelle che impegnarono Benveniste per un anno nei laboratori del premio Nobel per la fisica Georges Charpak che così ricorda quei momenti: «i controlli effettuati presso i nostri laboratori sono stati uno scacco costante. Non è stato visto alcun effetto».

“L’affaire” fu definitivamente archiviato, non senza conseguenze per i suoi protagonisti. La Davenas fu licenziata dall’INSERM e molti dei ricercatori si defilarono o entrarono in conflitto con Benveniste.

Fu una sperimentazione mal condotta o una truffa ben organizzata? E i finanziamenti erogati dalla multinazionale dei rimedi omeopatici Boiron, che si scoprì pagava anche lo stipendio alla dottoressa Davenas, prima firmataria dell’articolo, ebbero la funzione di sostegno alla sperimentazione scientifica o servirono per tentare di guadagnare una patente di scientificità ai prodotti omeopatici e quote sempre più estese di mercato?

Fu senz’altro una storia emblematica dell’importanza del controllo reciproco, uno dei cardini del metodo scientifico, e dei rischi che si corrono nel fare scienza oggi, rischi non solamente legati agli errori o alle tenazioni del protagonismo ma anche e soprattutto alla necessità di procurarsi finanziamenti.

Comunque una storia interessante, perché raccontare la scienza non significa solo ripercorrere le strade che il pensiero umano ha tracciato verso una comprensione più profonda della realtà, glorificarne i protagonisti e comprenderne le ricadute tecnologiche, significa anche affrontarne gli errori, gli abbagli, gli abusi, sempre e comunque presenti in qualunque attività umana.

Giovanni
tuttidentro.wordpress.com