Aggiustare i mitocondri per curare le malattie

Aggiustare i mitocondri per curare le malattie
mitocondriale
Per analizzare la morfologia dei mitocondri negli assoni dopaminergici si può ricorrere alle tecniche di immunoistochimica: nell’immagine si possono individuare in rosso le cellule dopaminergiche e in verde i mitocondri.

Ricercando all’estero – Il mitocondrio è l’organello che fornisce energia alla cellula ed è quindi importante per tutti i processi vitali; se non funziona o funziona male possono sorgere problemi a livello di tutti i tessuti, anche se i più colpiti sono quelli che utilizzano molta energia come i muscoli e il cervello.

Milena Pinto lavora alla Miller School of Medicine di Miami e studia i danni mitocondriali a carico delle cellule del cervello, in modo particolare nel Parkinson ma anche nei processi di invecchiamento e nelle malattie mitocondriali in genere.

Qual è il ruolo dei mitocondri nel Parkinson?
La malattia di Parkinson è un disturbo neurodegenerativo caratterizzato da sintomi motori e non motori. Tra i primi ci sono rigidità, tremore e lentezza nei movimenti dovuti alla perdita di una sottopopolazione di neuroni rodopaminergici, le cellule A9, nella substantia nigra.

I motivi della morte di queste cellule sono ancora sconosciuti. Da diversi studi è emerso che la fisiopatologia del Parkinson è associata a disfunzioni a carico dei mitocondri, tra cui un maggiore tasso di mutazioni nel DNA mitocondriale (mtDNA) delle cellule dopaminergiche e alterazioni a livello dei complessi proteici I e IV della fosforilazione ossidativa.

Per studiare il ruolo di queste anomalie e riuscire a individuare dei farmaci specifici e più efficaci, abbiamo creato dei modelli animali sia con danno al DNA mitocondriale sia con modifiche nella fosforilazione ossidativa dei neuroni dopaminergici. Abbiamo poi valutato i problemi motori, la degenerazione delle cellule dopaminergiche e il deficit di dopamina nello striato per verificare la somiglianza dei sintomi con quelli dei pazienti affetti da Parkinson.

Avete già individuato potenziali farmaci in grado di riparare questi danni?
L’ultima molecola che abbiamo testato si chiama pioglitazone, un farmaco già in commercio per la terapia del diabete, che agisce sulla microglia (le cellule immunitarie del cervello) attivando PPAR-γ (Peroxisome Proliferator-Activated Receptor γ). PPAR è un recettore che regola le funzioni cellulari tra cui la sintesi dei lipidi, la crescita cellulare, il differenziamento e l’infiammazione.

Abbiamo fatto le prime prove sul modello con disfunzioni nella fosforilazione ossidativa in cui abbiamo eliminato la proteina Cox10 nelle cellule dopaminergiche. Cox10 è coinvolta nella formazione del complesso IV della catena respiratoria mitocondriale e in sua assenza la fosforilazione ossidativa non funziona, il mitocondrio non produce ATP e la cellula non ha energia sufficiente per il suo corretto funzionamento.

Con il pioglitazone vediamo un netto miglioramento nei test motori già dopo due mesi di trattamento. Abbiamo cercato di capire il suo meccanismo d’azione: dalla letteratura sapevamo che è in grado di prevenire la neurodegenerazione e aumentare la biosintesi dei mitocondri. Sorprendentemente, analizzando la substanzia nigra non abbiamo osservato nessun cambiamento a livello cellulare e nessuna variazione nel contenuto di DNA e proteine mitocondriali rispetto ai topi non trattati col farmaco. Abbiamo visto invece che il pioglitazone diminuisce l’infiammazione cerebrale che normalmente accompagna la neurodegnerazione delle cellule dopaminergiche nel Parkinson e che è dovuta a una iperproliferazione della glia e microglia. Dai nostri risultati è infatti emerso che il farmaco diminuisce l’attivazione della microglia.

Qual è la relazione tra mitocondrio e invecchiamento?
L’invecchiamento è un processo molto complesso e ancora poco conosciuto caratterizzato da morte cellulare, alterazioni del ciclo cellulare, senescenza e differenziamento terminale delle cellule. La causa principale è un esteso danno a livello del DNA. Anche i mitocondri sembrano essere coinvolti, dato che intervengono in processi cruciali quali l’apoptosi, la produzione di energia e la produzione di specie reattive dell’ossigeno. Tuttavia non è ancora chiaro come e quanto i danni al mtDNA contribuiscano alla senescenza cellulare e all’invecchiamento.

Per capirne di più, abbiamo usato un enzima di restrizione, chiamato mito-PstI, per tagliare selettivamente a livello sistemico il DNA mitocondriale. Nonostante il danno fosse stato indotto solamente per cinque giorni, già dopo tre mesi i topi mostravano i segni tipici di un invecchiamento precoce quali pelo grigio, cifosi e problemi metabolici. Dalle nostre osservazioni è emerso che l’organo più sensibile è il timo, seguito da pelle, fegato, cervello. Questi risultati sono importanti perché indicano che i danni al DNA mitocondriale sono un elemento fondamentale nel processo dell’invecchiamento precoce.

È possibile agire sul DNA mitocondriale per curare alcune patologie?
Le malattie mitocondriali sono molto eterogenee, le più comuni si manifestano con problemi muscolari, encefalopatie e danni al nervo ottico ma c’è davvero un gran numero di sindromi diverse. In genere sono causate da un’alta percentuale di mutazioni a carico del mtDNA: mettere a punto una terapia genica mirata potrebbe essere una strategia efficace per curare alcune di queste patologie.

L’estrema variabilità delle malattie mitocondriali è in parte dovuta al fenomeno dell’eteroplasmia, cioè la coesistenza di mtDNA normale e mtDNA mutato in una stessa cellula. Se l’equilibrio viene a mancare e il mtDNA mutato è più abbondante, si può manifestare una condizione patologica. La strategia che stiamo mettendo a punto consiste non tanto nell’eliminare del tutto il DNA mutato ma nel ripristinare l’equilibrio di eteroplasmia, tagliando il DNA mutato fino a quando quello normale diventa più numeroso. Con questo obiettivo abbiamo messo a punto una serie di enzimi ingegnerizzati chiamati TALEN in grado di entrare solo nei mitocondri, riconoscere solo il DNA mutato e poi tagliarlo.
Abbiamo fatto i primi test su cellule in vitro e i risultati sono promettenti.

Quali sono le prospettive future del tuo lavoro?
Stiamo testando diversi farmaci e proteine che potrebbero agire da neuroprotettori sia in modelli di Parkinson sia di Alzheimer.

Inoltre, vogliamo cercare di aumentare l’energia mitocondriale over esprimendo una delle proteine coinvolte nella biosintesi del NAD, molecola cruciale in tutte le reazioni di ossido-riduzione.

Luisa Alessio

oggiscienza.it