Al confine della corona

Osservate nella parte esterna della corona del Sole strutture a grana fine mai rilevate in precedenza. I risultati, resi possibile da un algoritmo avanzato e tecniche di pulizia dei dati, sono pubblicati su The Astrophysical Journal.

Un team di ricerca guidato da Craig DeForest, fisico solare al Southwest Research Institute a Boulder in Colorado, usando un algoritmo avanzato e tecniche di pulizia dei dati, ha scoperto strutture a grana fine nella parte esterna della corona solare mai rilevate in precedenza, confermando una tendenza storica dell’astronomia: una migliore osservazione permette importanti progressi scientifici. I risultati dello studio sono stati pubblicati in un paper lo scorso 18 luglio su The Astrophysical Journal. La scoperta è stata fatta a seguito dell’analisi delle immagini scattate a bordo del Solar and Terrestrial Relations Observatory-A (Stereo-A) della Nasa, sonda in orbita intorno al Sole tra la Terra e Venere.

La parte esterna della corona del Sole è il luogo dal quale ha origine il vento solare, i cui campi magnetici, misurati vicino alla Terra, risultano intrecciati e complessi. Ciò che causa questa complessità non è chiaro. «Nello spazio profondo, il vento solare è turbolento e a raffiche», ha spiegato DeForest, «ma come lo diventa? Parte dal Sole tranquillo e diventa turbolento mentre attraversa il Sistema solare, oppure le raffiche ci dicono qualcosa sul Sole stesso?». Rispondere a questa domanda richiede un’osservazione estremamente dettagliata della parte esterna della corona solare.

corona solare
Streamers coronali osservati dalla sonda Solar and Heliospheric Observatory (Soho) il 14 febbraio del 2002. Il lavoro di DeForest e dei suoi coautori indica che queste strutture sono composte da diversi singoli fili sottili. Crediti: Nasa/Lasco

«Le immagini precedenti della corona hanno mostrato la regione come una struttura laminare liscia» ha detto Nicki Viall, fisico solare al Goddard Space Flight Center della Nasa a Greenbelt, nel Maryland, e coautore dello studio, «quello che risulta è che la manifestata levigatura fosse solo in funzione dei limiti nella risoluzione delle nostre immagini».

Per studiare meglio la corona solare erano necessarie quindi immagini con una più ampia esposizione e una più alta risoluzione. La prima è stata ottenuta grazie a una speciale campagna di raccolta dati lunga tre giorni avvenuta ad aprile 2014, prima del passaggio di Stereo-A dietro al Sole. La seconda è il risultato di un approccio software da parte dei ricercatori, volto a migliorare il rapporto segnale-rumore dei dati di alta qualità ottenuti da Cor2, strumento coronografo a bordo della sonda. La chiave innovativa è quindi stata quella di identificare e separare il rumore – derivante sia dall’ambiente spaziale che dal cablaggio dello strumento stesso – aumentando il rapporto segnale-rumore, che ha permesso di rilevare la corona solare nel dettaglio come mai prima d’ora. L’applicazione del nuovo algoritmo ha consentito ai ricercatori di uniformare le immagini nel tempo. In questo modo sono stati in grado di filtrare la luce delle stelle sullo sfondo, con delle piccole correzioni dell’ordine dei millisecondi per l’apertura dell’otturatore della fotocamera, e di eliminare la principale fonte di rumore: il motion blur dovuto al vento solare.

Per eliminare questa sfocatura del vento solare, gli scienziati hanno utilizzato una nuova procedura: hanno stimato la velocità del vento e spostato le immagini insieme a esso, un po’ come farebbe un fotografo inseguendo con la fotocamera un soggetto che si muove a grande velocità.

Il risultato più sorprendente non è stata la scoperta di una struttura fisica specifica sulla parte esterna della corona, ma la presenza di una struttura fisica in sé per sé. «Quando abbiamo rimosso il maggior rumore possibile, ci siamo resi conto che la corona è strutturata fino alla risoluzione ottica dello strumento» ha spiegato DeForest. Come i singoli fili d’erba che vedi solo quando ti avvicini, la complessa struttura fisica della corona è stata rilevata dettagliatamente come mai prima; tra i dettagli fisici emersi, tre sono i principali. Il primo ha a che fare con la struttura degli streamer coronali, strutture luminose che si sviluppano nelle regioni del Sole con una maggiore attività magnetica. «Quello che abbiamo scoperto è che non esiste una cosa come un singolo streamer» ha affermato DeForest, « gli streamer stessi sono composti da una miriade di fili sottili la cui media produce questa caratteristica luminosa».

Il secondo risultato risponde alla domanda: “dove finisce la corona e inizia il vento solare?”. I ricercatori hanno sempre rivolto lo sguardo verso la superficie di Alfvén, confine teorico in cui il vento solare inizia a muoversi più velocemente. «Quello che concludiamo è che non esiste una superficie pulita di Alfvén», ha spiegato DeForest. «Esiste un’ampia “terra di nessuno” o “zona di Alfvén” dove il vento solare si disconnette gradualmente dal Sole, piuttosto che un unico confine chiaro». Le osservazioni hanno infatti rilevato una struttura irregolare.

Infine, la stessa visione ravvicinata della struttura coronale ha sollevato nuove domande. La tecnica utilizzata per stimare la velocità del vento solare definisce la distanza dalla superficie del Sole dove le cose cambiano rapidamente. Ed è su questo punto che il team di ricerca ha notato qualcosa di interessante. «Abbiamo scoperto che esiste una correlazione minima intorno ai dieci raggi solari», dice DeForest. A una distanza di dieci raggi solari, anche le immagini hanno smesso di sovrapporsi correttamente, per poi riprendere ad una maggiore distanza. «Il fatto che la correlazione sia più debole a dieci raggi solari significa che qui sta accadendo una fisica interessante. Non sappiamo ancora cosa sia», aggiunge DeForest, «ma sappiamo che sarà interessante».

I risultati dello studio creano progressi su un dibattito di lunga data sulla fonte della complessità del vento solare. «Vediamo tutta questa variabilità nel vento solare poco prima che colpisca la magnetosfera terrestre, e uno dei nostri obiettivi era quello di chiedere se fosse possibile persino che la variabilità si fosse formata dal Sole. Si scopre che la risposta è sì», conclude Viall.

Sara Venturi

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