Alla ricerca di Planet 9

Alla ricerca di Planet 9
Le orbite di sei KBO con perielio ravvicinati e semiassi maggiori nello stesso quadrante del cielo (magenta) e l’orbita dell’ipotetico Planet 9 (arancione).
Le orbite di sei KBO con perielio ravvicinati e semiassi maggiori nello stesso quadrante del cielo (magenta) e l’orbita dell’ipotetico Planet 9 (arancione).

Se nel silenzio della notte sentite ripetersi strani rumori provenienti dal piano di sopra, forse vi verrà voglia di capirne l’origine e potreste supporre che i vicini abbiano comperato un cane. Ma se il cane non lo vedete mai e neppure lo sentite abbaiare, probabilmente vi incuriosireste ancor più e cerchereste di capire se proprio di un cane si tratta. Vedere l’inquilino del piano di sopra uscire da un supermercato Arcaplanet sarebbe un indizio favorevole, anche se non conclusivo, al vostro sospetto. Se nel rumore notturno vi sembrasse di riconoscere uno zampettìo e forse uno sfregar di unghie sul parquet, se notaste dei peli in ascensore, se le visite del vicino all’Arcaplanet fossero frequenti, vi convincereste della correttezza della vostra ipotesi e incomincereste a speculare sul tipo di cane, sulla sua razza e dimensioni. Ma per essere sicuri lo vorreste vedere.

Un allineamento difficilmente casuale

È un po’ la situazione in cui si trovano Konstantin Batygin e Michael Brown del California Institute of Technology. Nel loro caso non si tratta di capire l’origine di insoliti rumori notturni bensì che cosa determini alcune peculiarità nelle orbite di una manciata di corpi celesti nella fascia di Kuiper (Kuiper Belt Objects o KBO). Era già stato notato che diversi KBO mostravano una inaspettata somiglianza per quanto riguardava alcuni loro elementi orbitali, in particolare gli oggetti con perielio maggiore dell’orbita di Nettuno e semiasse maggiore più grande di 150 Unità Astronomiche.

Batygin e Brown, approfondendo l’analisi dei moti di questi KBO hanno realizzato che sei oggetti (tra cui Sedna e 2012VP113) sono caratterizzati da orbite ellittiche che puntano tutte nella stessa direzione dello spazio. Non solo, ma le orbite sono tutte inclinate alla stessa maniera rispetto al piano di rivoluzione degli otto pianeti del Sistema Solare.

Avendo calcolato che la probabilità che un allineamento come questo sia casuale è inferiore a uno su diecimila, si sono posti il problema di capirne l’origine.

Alla ricerca di un grande corpo celeste dalle parti della fascia di Kuiper

Essendo la gravità a determinare i moti dei corpi celesti, la soluzione andava cercata nell’interazione gravitazionale dei KBO con uno o più corpi sconosciuti aggirantisi nelle lontananze del Sistema Solare. Hanno pensato a un grande corpo celeste, dalle parti della fascia di Kuiper, che con la sua “presenza gravitazionale” condizionasse le orbite dei sei KBO, e si sono messi a cercare ulteriori indizi della sua presenza anche per capire quali fossero le sue caratteristiche.

Per certi versi l’esercizio non è nuovo. L’esistenza di Nettuno, ad esempio, fu prevista a seguito delle (e per spiegare le) perturbazioni osservate nell’orbita di Urano. Nettuno fu poi osservato direttamente nel 1846. Anche l’orbita di Nettuno risultò perturbata e questo fatto portò poi alla scoperta di Plutone (che tuttavia, come poi si capì, non poteva essere il corpo perturbatore).

Il Censimento incompleto del sistema solare

Il caso affrontato da Batygin e Brown è ancora più complesso. L’ipotesi che il censimento dei corpi maggiori del Sistema Solare sia incompleto non è nuova. Quando i pianeti erano nove (dal 2006 sono diventati ufficialmente otto con il declassamento di Plutone) si parlava ricorrentemente di Planet X (X come dieci ma anche come incognita), dizione in verità introdotta da Percival Lowell quando ancora si cercava il nono pianeta, Plutone appunto. Negli anni ‘80 del secolo scorso, ad esempio, fu ipotizzata l’esistenza di una stella compagna del Sole – una nana rossa (o bruna) a cui ci si riferiva con il nome di Nemesis – in orbita eccentrica a più di 50 mila Unità Astronomiche (UA), che ogni 26 milioni di anni perturbava la nube di Oort sospingendo un gran numero di comete verso la zona interna del Sistema Solare. L’ipotesi nasceva dal desiderio di spiegare una periodicità, considerata statisticamente rilevante, nelle estinzioni di massa avvenute sulla Terra negli ultimi 250 milioni di anni. L’aumento del numero di comete avrebbe infatti reso probabili periodici impatti devastanti con il nostro pianeta.

Da Planet X a Nemesis e Tyche

Qualche anno dopo fu suggerito che Planet X potesse essere un pianeta gigante gassoso, sempre situato dalle parti della nube di Oort, responsabile di alcune peculiarità riscontrate nelle orbite delle comete a lungo periodo.

Per non confonderlo con il precedentemente ipotizzato Nemesis, il pianeta fu battezzato Tyche (la sorella mitologica di Nemesis). L’eventuale esistenza di una stella nana o di un pianeta gigante ai confini del Sistema Solare è stata seriamente considerata dalla comunità scientifica che, pur scettica, si è posta il problema di una rilevazione diretta. Non avendo una conoscenza sufficientemente accurata della posizione in cui cercare e sapendo che la temperatura di un pianeta, e anche di una nana rossa (o bruna), è bassa, le migliori chance sono state offerte dalle mappature ripetute del cielo nell’infrarosso, la più profonda ad opera di WISE (Wide Field Infrared Survey Explorer). Fino ad ora i risultati sono stati negativi ma è corretto ricordare che, nel caso si tratti di un pianeta, non sono ancora stati raggiunti i livelli di sensibilità necessari per escluderne con certezza l’esistenza. Per “vedere” un pianeta come Saturno a una distanza maggiore di 10 mila UA o uno come Giove a una distanza maggiore di 26.000 UA sono necessarie mappature più profonde di quelle attualmente disponibili.

Limiti di detezione di pianeti giganti in funzione della loro distanza dal Sole, da parte del telescopio infrarosso WISE.
Limiti di detezione di pianeti giganti in funzione della loro distanza dal Sole, da parte del telescopio infrarosso WISE.

Si può quindi dire che vi sono alcune evidenze – certamente non conclusive – a favore dell’esistenza di Planet X (che ora dovremmo chiamare Planet 9); che le ricerche osservative condotte finora non hanno dato esito positivo ma che vi sono ancora margini per poterlo individuare.

L’orbita molto eccentrica di Planet 9

Batygin e Brown, hanno ricavato, anche con l’aiuto di simulazioni numeriche, che l’allineamento orbitale dei sei KBO considerati può essere mantenuto nel tempo per accoppiamento risonante con un pianeta di 10 masse terrestri o più.

Questo pianeta (che hanno battezzato Planet 9) sarebbe caratterizzato da un’orbita molto eccentrica all’incirca nello stesso piano dei sei KBO e con perielio a 180° (opposto) rispetto ai loro, e situato a 35 miliardi di chilometri dal Sole (quindi sempre esterno all’orbita di Nettuno).

Planet 9 sarebbe al di sotto del limite di detezione di WISE, come mostrato dalla figura precedente. Batygin e Brown inoltre sottolineano come una ulteriore (ma sempre indiretta) evidenza dell’esistenza di Planet 9 risulterebbe dalla scoperta di una popolazione di KBO con alto perielio che non mostrino le stesse somiglianze orbitali degli oggetti identificati. Il lavoro di Batygin e Brown è pubblicato sulla rivista The Astronomical Journal.

In attesa di un telescopio più potente

La comunità astronomica, memore di alcuni passati falsi allarmi, mantiene un certo scetticismo; attende conferme indipendenti e, soprattutto, la prova regina: l’identificazione non ambigua dell’oggetto in questione. Per essere sicuri che ci sia un cane bisogna vederlo, non basta sentirne i rumori. Non sarà facile. Se Planet 9 esiste realmente può essere visto con i telescopi più potenti di cui disponiamo ma è necessario sapere dove guardare con buona approssimazione, considerato che le dimensioni dei loro campi di vista sono ridotti (dai pochi minuti d’arco quadrati della camera WFC3 dell’Hubble Space Telescope al grado quadrato della Hyper Suprime-Cam del telescopio Subaru a Mauna Kea).

Viceversa, se si utilizzano mappature del cielo su grande scala, allora le sensibilità raggiunte non sono ancora sufficienti, come nel caso di WISE.

In assenza di un colpo di fortuna bisognerà forse aspettare l’entrata in funzione del Large Sinoptic Survey Telescope per disporre di dati adeguati a scrivere il prossimo capitolo di questa storia. È comunque stimolante pensare che non sono soltanto i confini dell’universo a riservarci continue sorprese. Ce ne possono essere anche nel giardino di casa!

Tommaso Maccacaro

Scienze dello spazio
Istituto Nazionale di Astrofisica

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