ASTRONAVI BIOLOGICHE (Seconda Parte)

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da [link=http://www.strangedays.it/aliendream/astronavi_biologiche_monalisa02.html]strangedays.it[/link]

Astronavi biologiche e piloti sintetici, macchine pensanti e astronauti geneticamente modificati. Sembra un racconto di fantascienza ma è quanto prepara la NASA per il prossimo viaggio verso Marte. Una tecnologia che forse l'ente spaziale ha desunto dai reperti alieni rinvenuti a Roswell e sulla Luna.

di Pablo Ayo

Rutledge e la pilota aliena “Mona Lisa”

Da quasi un anno ormai girano i video diffusi da William Rutledge. Oggi 76enne, Rutledge afferma di essere un ex pilota civile di prototipi e specialista USAF, residente in Rwanda (Africa) dal 1990, che avrebbe deciso di rivelare quanto sa e di diffondere i suoi video perché “il 2012 arriverà in fretta”.

Stando alle sue indiscrezioni, Rutledge sarebbe stato uno dei tre astronauti (gli altri erano Alexei Leonov e Leona Snyder) coinvolti con una missione NASA segreta svoltasi nell’Agosto del 1976, quella dell’Apollo 20. Tale missione, come è ormai noto, prevedeva lo studio e l’analisi di alcuni reperti alieni presenti sulla superficie lunare, nei pressi del cratere Izsak, tra cui le rovine di una città aliena e i resti di una enorme astronave madre, apparentemente lunga più di 3 km. Una volta atterrati, la visita alla città non fu così ricca di scoperte come speravano: la struttura che venne chiamata 'La Città' era in realtà un cumulo di detriti visti da vicino, afferma Rutledge, di cui solo una costruzione rimaneva intatta, quella che battezzarono col nome di “cattedrale”. La città sembrava antica quanto l'astronave, ma era ridotta malissimo.

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Oltre l'astronave aliena vista dall'alto, Rutledge e Leonov ne trovarono anche un'altra, triangolare. Ma la maggior parte delle ricerche le fecero all'interno della grande astronave vista dall'alto: le analisi confermarono trattarsi di un un'astronave madre molto grande, che aveva attraversato gran parte dell'universo, e antica circa, a suo dire, un miliardo e mezzo di anni.

V'erano antiche rimanenze di vegetazione all'interno, nella sezione motori, e rocce triangolari che emettevano gocce di liquido giallo dalle proprietà apparentemente guaritive, e tracce di vita extrasolare. Trovarono anche dei piccolissimi corpi alieni, circa 10 cm l'uno, in capsule di vetro, presumibilmente embrioni, ma la scoperta maggiore furono due corpi, di cui uno intatto.

Benché alcuni dei video diffusi da Rutledge non siano esenti da difetti se non addirittura dei falsi, altro materiale, così come la preparazione tecnica dell’ex astronauta e alcuni dettagli da lui rivelati, danno l’idea che ci sia un fondo di verità nelle sue affermazioni. Di recente, come aveva promesso, Rutledge ha diffuso su internet un video che mostrerebbe il rinvenimento e il trasporto sul modulo lunare del corpo di una pilota aliena, da loro battezzata “Monna Lisa”.
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Si trattava di una femmina umanoide, 1.65 di altezza, mani a sei dita (come gli alieni di Roswell). Da quanto capirono, si trattava di una pilota, che pilotava l’enorme astronave con le dita e gli occhi, senza timone o cloche. I due astronauti per smuoverla dalla sedia del cockpit dovettero tagliare via due cavi collegati al suo naso (cosa che si vede parzialmente nel nuovo video). Leonov rimosse il visore elettronico dagli occhi della donna, e quando lo fece alcuni liquidi biologici, forse sangue, le fuoriuscirono dalla bocca, naso, occhi, per congelarsi all'istante nell'atmosfera zero lunare. Alcune parti come i capelli sembravano invece in condizioni insolitamente buone, mentre la pelle sembrava protetta da una sorta di sottile pellicola trasparente. La donna non sembrava né morta né viva, ma come in uno stato di sospensione vitale.

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Quello che colpisce, nei video, è l’aspetto della donna aliena, assolutamente lontana dai canoni degli ET di Hollywood e ben più vicina all’aspetto delle creature descritte nella casistica di molti incontri ravvicinati. L’altezza, l’aspetto peculiare del viso, con il volto quasi triangolare e gli zigomi sporgenti, i grandi occhi e l’attaccatura dei capelli, ricorda molto da vicino la donna aliena che l’agricoltore Antonio Villas Boas incontrò nell’Ottobre del 1957 (a fianco, una illustrazione redatta su descrizione del testimone). In quel caso la donna era forse meno alta, circa 1,55, carnagione bianchissima; i capelli biondo platino/bianchi; grandi occhi azzurri a mandorla; le labbra sottili.

Nel video diffuso di recente, si vede il viso e parte delle spalle della donna aliena incastrate in una struttura che sembra vagamente un sarcofago, i lati della bocca collegati agli occhi grazie a due coppie di asticelle bianche composte da un materiale indefinibile (Osso? Plastica?), e gli occhi a loro volta collegati ad una specie di estrusione sulla fronte che a qualcuno ricorderà le illustrazioni induiste del terzo occhio, anche qui collegati da una coppia di asticelle bianche. Alcune immagini ravvicinate del volto mostrano le mani degli astronauti mentre rimuovono le asticelle e liberano il volto della donna.

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Nella seconda parte del video si vede invece la Monna Lisa sdraiata su di una specie di lettino o altro supporto apparentemente a bordo del modulo lunare LEM dell’Apollo 20 (da un paio di zoomate si vede attraverso il finestrino il suolo lunare con il Rover della NASA parcheggiato). Qui la donna aliena appare già spogliata dei vestiti, fatta eccezione per una specie di garza o tessuto plastico che gli tiene fermo il collo. Nel lato destro del campo di ripresa, a fianco della EBE, un secondo astronauta dopo averci giocherellato un pò posa una telecamera e prende in mano un block notes.

Si nota il corpo della donna, apparentemente umanoide (a parte le sei dita di cui parlava Rutledge che però non si vedono), l’apparato mammario, addirittura un ombelico che suggerisce un sistema di riproduzione simile al nostro, la pelle un po’ rovinata, apparentemente indurita se non addirittura calcificata da qualche sostanza protettiva trasparente o dal tempo stesso.

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I capelli sono raccolti da una sorta di reticella scura che ha probabilmente dato ai cosmonauti l’idea di somiglianza con la donna raffigurata nel capolavoro di Leonardo Da Vinci. Nell’intervista Rutledge affermava che la donna non avesse narici, e per quanto sembri averle, guardando bene il video si nota che le narici non hanno fessure, sembra quasi che siano “tappate” chirurgicamente con della pelle per questioni insondabili. Possiamo ipotizzare sia stato per evitare perdite di ossigeno, dato che a quanto afferma Rutledge in origine Monna Lisa avesse la bocca collegata a una sorta di tubo (cosa che non si vede nel video), che probabilmente tra l’altro le forniva ossigeno, oppure – ipotesi affascinante – per evitarle di sentire odori, cosa che forse l’avrebbe distratta dalle sue funzioni di pilota concentrata a trovare una pista tra le stelle.

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Cosa dire di questo ennesimo video? La donna aliena potrebbe essere un falso, ma ben fatto, e molto costoso. L’interno del LEM stavolta è meglio visibile che nei precedenti video, e non può trattarsi di un montaggio di vecchi video NASA, visto i protagonisti presenti in scena. Inoltre alcuni ricercatori hanno già stigmatizzato come tutta l’apparecchiatura di bordo visibile nella scena sia perfettamente congrua con quando risulta dai manuali tecnici della NASA riguardo la strumentazione degli Apollo. E in una zoomata si vede anche l’esterno del suolo lunare con il Rover. Inoltre, uno degli astronauti ripresi possiede una tuta da astronauta coerente con quelle indossate dagli astronauti dell’epoca. Ma un dubbio ci coglie, mentre scriviamo. Chi è l’uomo ripreso dalla telecamera, che prende il block notes? Leonov? O lo stesso Rutledge?

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Di William Rutledge ovviamente non c’è materiale in giro, nessuna foto o biografie, viene da chiedersi se questo sia il suo vero nome. Come si sa, a detta di Rutledge, Leona Snyder era in volo, a bordo del modulo orbitante. Di Alexei Leonov invece le foto abbondano: in Russia è diventato un eroe nazionale, primo uomo ad aver compiuto la “passeggiata” extraveicolare nel vuoto dello spazio in orbita il 18 marzo 1965, e intrepido astronauta che nel 1975 compì lo storico incontro in orbita tra una navetta USA e una Sovietica: il rendez-vous Apollo-Soyuz.

Leonov per l’occasione venne addestrato a Houston, in Texas, imparò l’inglese e venne apprezzato da tutti per le sue qualità tecniche e di pilota, il suo carattere e la sua simpatia. Con una certa riluttanza vado a salvare i fotogrammi del video – come al solito di scarsa qualità – e li importo in Photoshop. Cerco di alzare la qualità visiva dei fotogrammi, l’astronauta si muove, la camera che riprende si muove, ci sono oscillazioni nei colori, e il video è stato salvato a bassa qualità. “Un lavoro inutile, come al solito”, penso tra me. Riesco a ottenere dei fotogrammi quasi chiari, un paio.

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Ma è solo quando pongo accanto a questi fotogrammi il volto bonario e lievemente scimmiesco di Leonov che lentamente si fa largo in me una sensazione di stupore. I capelli radi, le sopracciglia alte, le profonde rughe ai lati della bocca, la peculiare distanza tra la radice del naso e l’attaccatura della bocca, la curva delle spalle, sono incredibilmente somiglianti ai tratti del volto di Leonov. Poi, trovo una foto scattata a bordo del Soyuz durante il Rendez-Vous del 1975 (quindi, appena un anno prima della suddetta missione narrata da Rutledge). Lo stretto abitacolo, la tuta che indossa il cosmonauta sovietico, la fioca luce di bordo, e per puro caso nella foto tiene in mano la medaglia ricordo della missione, assumendo una posa incredibilmente simile a quella che si vede nel video di Rutledge: tutto simile, e tutto incredibilmente combacia.

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Nonostante la pessima qualità del fotogramma, si evince chiaramente una somiglianza fortissima. Nel video, dunque, c’è qualcuno che assomiglia incredibilmente a com’era Leonov nel 1975. Scoprii in seguito che Leonov aveva una fama di giocherellone, sempre scherzoso e di buon umore nonostante le difficoltà. Sarebbe stato consono col personaggio mettersi a giocherellare con una telecamera, anche di fronte a una situazione limite come l’aver ritrovato il corpo di una donna aliena.

I pezzi mancanti: la doppia missione

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Una collaborazione USA-URRS negli anni ’70 era ben strana, la tensione tra i due paesi era ancora alta, e la missione nota come Apollo-Sojuz (ASTP) fu la prima collaborazione tra gli Stati Uniti d'America e l’Unione Sovietica nel settore dei voli nello spazio di sempre. Un forte impegno politico, scientifico e militare, solo per una passeggiatina nello spazio. Perché? Altro discorso interessante: nell’emblema della missione Apollo 20 diffuso da Rutledge, si notano due navette sollevare la nave aliena e portarla via (cose che era forse l’auspicio, non realizzato, della missione). Ma perché due navette?

Può darsi che una delle due rappresenti il LEM, oppure si trattava di due navette diverse, proprio come quelle che si agganciarono nello spazio il 17 luglio 1975, una navicella spaziale del programma Apollo ed una capsula Sojuz. Chissà, forse si trattava di una preparazione alla missione che si sarebbe tenuta l’anno seguente. Perché agganciarsi in orbita?

Forse era una manovra che si sarebbe resa necessaria nel corso della missione, ma in orbita circumlunare, ben lontano dagli occhi dei curiosi. E perché? Forse questa è la domanda a cui è più facile rispondere: i russi all’epoca forse avevano scoperto che esisteva questa nave di 3 km nel cratere Itzak, e non volevano essere tagliati fuori dall’impresa. Inoltre, due equipaggi con due astronavi avrebbero potuto trasportare il doppio del materiale, avere più personale per le attività extraveicolari, più esperienze diversificate. Per certo, Leonov sembra apparire fantasmicamente nei video di Rutledge sulla Luna, un anno dopo l’aggancio tra la Soyuz e l’Apollo. Un caso?

È ovvio che c’era una collaborazione con l’URSS per la missione dell’Apollo 20 se la presenza di Leonov fosse confermata, così come è ovvio che l’aggancio in orbita del ’75 potesse essere stata la preparazione a qualcosa di più importante. Se venisse confermata l’ipotesi del “doppio” viaggio URRS-USA verso la Luna, apparirebbe evidente che Rutledge avrebbe rivelato le cose solo a metà. Non sarebbe improbabile allora che la reale identità di Rutledge sia quella di uno degli altri astronauti americani noti all’epoca, magari uno di quelli che avevano già lavorato con Leonov alla ASTP: Deke Slayton, Thomas Stafford o Vance D. Brand. Slayton però morì nel Giugno del 1993. Le ipotesi rimangono aperte.

PABLO AYO

Leggi anche la [link=https://www.altrogiornale.org/news.php?extend.5192]Prima parte[/link]

Fonte: http://www.strangedays.it/aliendream/astronavi_biologiche_monalisa02.html