Buchi neri al comando nella formazione stellare

Immagine composita di Centaurus A, uno dei nuclei galattici attivi più vicini alla Terra. Crediti: Eso/Wfi (ottico); MPIfR/Eso/Apex/A.Weiss et al. (submillimetrico); Nasa/Cxc/Cfa/R.Kraft et al. (raggi X)

Il buco nero supermassiccio che troneggia al centro di ogni grande galassia incide profondamente sull’evoluzione della galassia stessa. Un nuovo studio su Nature ha trovato che più è grande il buco nero e più intensamente e velocemente un meccanismo di feedback smorzerà il succedersi di nuove generazioni di stelle.

Le giovani galassie sfavillano grazie al fatto che sempre nuovi astri si accendono a ritmo sostenuto; tuttavia, a un certo punto dell’evoluzione galattica la formazione stellare rallenta, fino a cessare. Un nuovo studio, pubblicato nel primo numero del nuovo anno della rivista Nature, dimostra che a determinare quanto presto si verifichi questo smorzamento della formazione stellare è la massa del buco nero al centro della galassia.

Ogni galassia di una certa dimensione ospita al proprio centro un buco nero supermassiccio, con una massa di oltre un milione di volte quella del Sole. Oltre che dagli effetti gravitazionali sulle stelle circostanti, a volte l’ingombrante presenza del buco nero è rivelata dall’emissione energetica di un fenomeno chiamato nucleo galattico attivo (in sigla, Agn), di cui è protagonista lo stesso buco nero per periodi relativamente brevi.

Gli autori del nuovo studio hanno dimostrato come l’energia riversata dal nucleo attivo nella galassia circostante influenzi la formazione stellare dissipando del gas che altrimenti si sarebbe condensato in nuove stelle.

Questa idea non è affatto nuova, ed è consolidato il fatto che i modelli teorici di evoluzione galattica realizzati al computer riproducono correttamente le proprietà realmente osservate solamente se si introduce nel modello stesso l’effetto di feedback del buco nero centrale. Tuttavia, finora mancava “la pistola fumante”, ovvero la prova osservativa certa di questa connessione diretta tra buchi neri supermassicci e tasso di formazione stellare.

Il nuovo studio si concentra su un campione di galassie massicce per le quali era già stata determinata in precedenza la massa del buco nero centrale. La “storia evolutiva” delle stelle presenti in queste galassie è stata ricavata da indagini spettroscopiche compiute con il telescopio Hobby-Eberly Telescope all’Osservatorio McDonald in Texas.

Le analisi hanno rivelato un’osmosi continua tra l’attività del buco nero e la formazione stellare durante tutta l’arco di vita delle galassie, un interscambio che riguarda tutte le generazioni di stelle. In particolare, quando il gruppo di ricerca ha paragonato la storia della formazione stellare avvenuta in galassie con buchi neri di masse diverse, ha riscontrato differenze vistose, correlabili unicamente con la massa del buco nero, e non con altre proprietà come morfologia o dimensione.

Buchi neri di massa più grande hanno smorzato più precocemente e più velocemente la formazione stellare nella loro galassia ospite rispetto ad altre galassie con un numero paragonabile di stelle ma con un buco nero centrale meno massiccio.

La chiave del risultato di questa ricerca, spiegano gli autori, è di avere preso in considerazione la massa dei buchi neri anziché le proprietà dei nuclei galattici attivi. Un nucleo galattico diventa “attivo” – e quindi osservabile – quando il buco nero supermassiccio espelle violentemente parte del materiale che sta per essere ingoiato dal buco nero stesso. Tuttavia, i nuclei galattici attivi sono fenomeni estremamente variabili, e le loro proprietà dipendono da diversi fattori concorrenti, quali dimensioni del buco nero, tasso di accrescimento di nuovo materiale, e così via.

«Abbiamo usato la massa del buco nero come misura indiretta dell’energia profusa nella galassia dal nucleo galattico attivo», commenta Ignacio Martín-Navarro dell’Università della California a Santa Cruz, primo autore del nuovo studio, «perché fenomeni di accrescimento attorno a buchi neri più massicci conducono a un feedback più energetico dai nuclei galattici attivi e, di conseguenza, a uno smorzamento più repentino della formazione stellare».

Stefano Parisini

media.inaf.it