Buchi neri da laboratorio

Il Giornale Online
Saranno creati l'anno prossimo al Cern di Ginevra. Secondo i calcoli di Stephen Hawking non ci sono rischi per il pianeta

Stephen Hawking, il più grande esperto al mondo di buchi neri, lo ha previsto a pagina 14 di questo numero: c’è una probabilità di 1 a 20 che tra pochi mesi si possano produrre buchi neri in laboratorio.
I voracissimi «inghiottitoi» che divorano tutto quanto se ne sta in giro dalle loro parti erano stati finora confinati dagli scienziati a distanze cosmiche di sicurezza: il più vicino è al centro della nostra Galassia, a 26.000 anni–luce da noi, e quando finirà (forse) per succhiare tutta la materia della Via Lattea compresa la sua inquilina di periferia, la Terra, noi non saremo da un pezzo più qui a preoccuparcene.

La previsione di Hawking, condivisa da molti altri scienziati, li sposta invece molto più vicino. E precisamente accanto alle montagne del Giura, la catena montuosa tra Svizzera e Francia che ha dato il nome all'epoca d’oro dei dinosauri, il giurassico. Lì, a circa 100 metri sottoterra, c’è una specie di dinosauro circolare di metallo lungo 27 chilometri sul quale i tecnici del Cern di Ginevra ora stanno montando gli ultimi componenti.

È il Large Hadron Collider, LHC, il più potente acceleratore di particelle mai realizzato. Entrerà in funzione l'anno prossimo, facendo scontrare adroni, cioè protoni e antiprotoni, accelerati alla velocità della luce fino a raggiungere energie di 7 TeV. In altri termini, ciascuno dei due fasci di adroni che ruotano nell'anello di LHC in senso opposto avrà un’energia di circa 350 Megajoule (350 milioni di joule), la stessa di un Eurostar da 400 tonnellate che viaggia a 200 chilometri all'ora, sufficiente nel nostro mondo macroscopico a far fondere di colpo mezza tonnellata di piombo.

La differenza, nel mondo ultramicroscopico delle particelle, è che questa energia viene confinata in dimensioni infinitesime. Viste le energie in gioco, raggiunte dall’universo solo nei suoi primissimi istanti della sua esistenza, un trilionesimo di secondo dopo il Big Bang, Hawking e gli altri scienziati ritengono assolutamente possibile che si possano creare buchi neri all'interno di LHC, al ritmo di uno al secondo. E nessuno potrà sottrarsi all’idea di immaginare titoli di giornale quali: «Buco nero artificiale fugge dal laboratorio e divora Ginevra».

Gli addetti ai lavori però sdrammatizzano. Quasi tutti. Ma non si era detto che per fare un buco nero occorrevano masse gigantesche, tanto che neppure il nostro Sole si sarebbe mai potuto trasformare in uno di questi aspirapolvere cosmici?
«Dal punto di vista dell'astrofisica è vero», confermano i fisici francesi Aurélien Barrau e Jules Grain dell’Università Joseph Fourier di Grenoble in un lavoro pubblicato dalla rivista scientifica dello stesso Cern. «Nel cosmo si possono formare solo buchi neri di masse svariate volte quella del nostro Sole. Ma ora si ritiene possibile creare buchi neri microscopici anche negli acceleratori di particelle».

In effetti, questa eventualità non contraddirebbe la Teoria della Relatività generale di Einstein.

Qualsiasi corpo può diventare un buco nero, se si ha la possibilità di comprimere la sua massa a livelli inverosimili: la Terra dovrebbe occupare lo spazio di una biglia e anche un essere umano (o ciò che ne resterebbe) potrebbe avere questa sorte, se la sua massa venisse ridotta nella dimensione di un elettrone.

La prospettiva di creare buchi neri in laboratorio, tuttavia, non era mai stata presa in considerazione fino a pochi anni fa. Si riteneva che per creare mini buchi neri in un acceleratore occorresse una massa non inferiore a 10 microgrammi, quella di un granello di polvere. Ma per crearla attraverso lo scontro di particelle sarebbe stata necessaria un’energia di 10 milioni di miliardi di Teraelettronvolt, ottenibile solo in acceleratori grandi come tutta la Via Lattea.

Quindi, nessuno, giustamente, si preoccupava di una simile eventualità. Ma le nuove teorie sull’esistenza di altre dimensioni nell'universo, rivelabili solo a piccolissima scala, fanno ora ritenere possibile produrre mini buchi neri in acceleratori con energia di alcuni Teraelettronvolt. «I 14 Teraelettronvolt che si sviluppano nel centro di massa–energia di due particelle che si scontrano in LHC possono trasformare l’acceleratore in una fabbrica che produce un buco nero al secondo», confermano i fisici francesi.

E ci si pone allora la domanda: c’è il rischio che questi 86.400 mini buchi neri prodotti ogni giorno possano cominciare a mangiare l’acceleratore un protone dopo l'altro e poi piano piano inghiottire Ginevra, la Svizzera e in ultimo tutto il Pianeta? La domanda non è una semplice provocazione giornalistica.

Gli scienziati se l’erano già posta nel 2000, quando negli Stati Uniti iniziò a funzionare l’acceleratore RHIC, con energie però molto inferiori a LHC. Tanto che Robert Jaffe, fisico teorico del Mit di Boston, affermò che i timori legati alla formazione dei buchi neri «devono essere presi in seria considerazione ogni volta che uno strumento apre una nuova frontiera di energia».

Lo stesso Cern, al momento di varare il progetto LHC, ha istituito una commissione di esperti proprio per valutare tutti i possibili rischi legati agli esperimenti che arriveranno a livelli di energia mai raggiunti prima in un laboratorio. E i risultati sono tranquillizzanti. «Abbiamo considerato», dice il rapporto finale della commissione, «tutti gli oggetti potenzialmente pericolosi che potrebbero essere teoricamente prodotti da LHC, fra cui i buchi neri. Non abbiamo trovato alcuna ragione plausibile di rischio». Resta da chiedersi, allora, perché i buchi neri artificiali sarebbero così mansueti.

Stephen Hawking ha la risposta pronta: i mini buchi neri vivrebbero al massimo per un centomilionesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo e poi evaporerebbero senza alcun danno. Sa bene di cosa sta parlando perché la teoria in base alla quale i buchi neri possono evaporare emettendo energia è sua. E risale addirittura agli anni ’70.

È una teoria che ha reso gli scienziati molto più ottimisti sul futuro dell'universo. Prima di allora si riteneva che un buco nero avrebbe continuato a divorare la materia intorno a sé, aumentando sempre più le proprie dimensioni, fino a che nell’universo non sarebbe rimasto più nulla da mangiare. Il cosmo si sarebbe trasformato in un solo, enorme buco nero.

La possibilità di evaporare, invece, non solo rende i buchi neri più «umani», soggetti anch’essi alla vita e alla morte, ma allontana l’eventualità che quelli creati in laboratorio possano fare danni. E comunque, spiega a Newton Massimo Giovannini, fisico teorico del Cern, «le energie raggiunte da LHC non sono sufficienti alla formazione di buchi neri stabili».
C’è quindi, secondo lo scienziato, una «barriera di protezione» fisica che LHC non è in grado di sfondare. «Noi fisici», prosegue Giovannini, «siamo tutti convinti della teoria di Hawking.

Il fenomeno che conduce all'evaporazione dei buchi neri si fonda sulla nostra conoscenza della Relatività Generale e della Meccanica quantistica e in questo senso possiamo dire che l’evaporazione dei buchi neri è una certezza». Le teorie scientifiche, così, sdrammatizzano.

Ma paradossalmente, la creazione dei mini buchi neri in LHC sarà proprio il mezzo per capire se queste teorie funzionano. E anche molto di più.

Per questo gli scienziati sono così eccitati. Per la prima volta si potrebbe dimostrare sperimentalmente la teoria della gravità quantistica, dato che i mini buchi neri sarebbero le più piccole strutture possibili nello spazio–tempo, tali da permettere il verificarsi degli effetti della gravità quantistica, teoria che molti considerano come l'unica che potrà condurre all’unificazione delle quattro forze fondamentali della natura. Per la fisica sarebbe un traguardo eccezionale.
Per Stephen Hawking vedere un buco nero evaporare, come da lui predetto, sarebbe il coronamento di tutta la sua vita da scienziato. Speriamo che abbia ragione.

di Giovanni Siniscalchi (ha collaborato Paola Catapano)

Fonte: newton.corriere.it