Cerco un centro di gravità impermanente

Cerco un centro di gravità impermanente
Geoide ottenuto nel 2011 con le misure del potenziale gravitazionale terrestre effettuate dal satellite ESA GOCE. In rosso i valori di gravità più alti della media, in blu quelli più bassi. Un forte terremoto provoca spostamento di masse e conseguenti modificazioni del campo gravitazionale locale. Crediti: ESA/HPF/DLR
Geoide ottenuto nel 2011 con le misure del potenziale gravitazionale terrestre effettuate dal satellite ESA GOCE. In rosso i valori di gravità più alti della media, in blu quelli più bassi. Un forte terremoto provoca spostamento di masse e conseguenti modificazioni del campo gravitazionale locale. Crediti: ESA/HPF/DLR

La forza di un terremoto sposta enormi blocchi di roccia, cambiando di conseguenza la gravità locale. Un gruppo internazionale di ricerca, guidato dal CNRS francese, ha riscontrato un segnale di cambiamento della gravità in concomitanza del terribile terremoto giapponese del 2011. In futuro si potranno forse allestire reti di gravimetri, più sensibili di quelli attuali, che forniscano qualche secondo supplementare di anticipo ai sistemi di allerta esistenti, quanto meno per i terremoti più forti. Un gruppo di ricerca internazionale, guidato da Jean-Paul Montagner del CNRS francese, ha appena pubblicato su Nature Communication uno studio in cui si ipotizza la possibilità di utilizzare le modifiche del campo gravitazionale terrestre indotte da una scossa tellurica come sistema di rilevazione in tempo quasi reale di forti terremoti. Un metodo che assolutamente non predice i sismi ma che, se verificato applicabile, potrebbe regalare una manciata di secondi ai sistemi di allerta.

Sistemi che, in paesi ad alta sismicità come il Giappone, sono già in funzione anche per mettere automaticamente in sicurezza alcune infrastrutture (come treni ad alta velocità, ascensori o condutture del gas) quando viene registrata una scossa. Gli attuali sistemi di allerta si basano sulla registrazione delle onde sismiche, che si propagano con una certa velocità nel globo terrestre. Le onde P, le più veloci, sono rilevate dai sismografi con un leggero anticipo rispetto alle onde superficiali, che si propagano più lentamente e sono le principali responsabili dei danni alla popolazione.

Ma lo spostamento repentino di rocce nel sottosuolo che genera le scosse telluriche provoca anche una redistribuzione della massa planetaria. Questa riallocazione deve generare cambiamenti – seppur minimi – del campo gravitazionale terrestre, come in effetti è stato misurato dal satellite GOCE dell’ESA dopo il potente terremoto e conseguente tsunami che l’11 marzo 2011 fece migliaia di vittime in Giappone.

terremoto
La posizione dell’osservatorio Kamioke è indicata dal pallino rosso; la stella indica l’epicentro del simsma del 2011. Crediti: elaborazione INAF su mappa USGS

I cambiamenti gravitazionali si manifestano in maniera istantanea e possono teoricamente essere rilevati da appositi strumenti in maniera altrettanto repentina. Analizzando i dati del sisma nipponico del 2011, il gruppo guidato da Montagner è arrivato alla conclusione che in tale caso esiste effettivamente un segnale gravitazionale, chiaramente distinguibile dal “rumore di fondo” per un evento sismico di tale portata.

I dati analizzati sono quelli raccolti dal gravimetro superconduttore collocato nell’osservatorio sotterraneo di Kamioka in Giappone, una miniera allestita principalmente per ospitare esperimenti di fisica delle particelle, come il rilevatore di neutrini Super-Kamiokande di cui abbiamo recentemente scritto su Media INAF. L’osservatorio si trova a più di 500 km dall’epicentro del sisma del 2011, localizzato al largo della costa nord-orientale nipponica.

«Il lavoro è interessante e può rappresentare un buon inizio per realizzare sistemi di monitoraggio dei terremoti che facciano scattare l’allerta ancora prima di quelli attuali», commenta a Media INAF Francesco Chierici dell’INAF-Istituto di Radioastronomia di Bologna, esperto in sistemi di allerta per i maremoti. «Naturalmente, come segnalano gli stessi autori dello studio, tale tecnica può essere applicata solo ai terremoti più forti, perché il segnale gravitazionale, atteso dopo 65 secondi dall’inizio del terremoto, è molto debole. In ogni caso, per la sua implementazione occorrerà attendere lo sviluppo di una nuova generazione di gravimetri, più sofisticati e sensibili di quelli attuali».

Secondo gli autori del nuovo studio, una rete di tali strumenti avrebbe non solo il potenziale di ridurre il tempo necessario per diramare un’allerta, ma consentirebbe ai sismologi una più veloce stima della magnitudine del terremoto (che attualmente richiede fino a diversi minuti), andando a integrare i sistemi attuali di allerta basati su reti di rilevazioni sismiche e geodetiche.

Stefano Parisini

media.inaf.it