Colonizzare la Via Lattea: difficilissimo ma non impossibile

Colonizzare la Via Lattea: difficilissimo ma non impossibile
Ecco come la NASA immagina la prima colonizzazione di Marte: il Pianeta Rosso appare l'obiettivo più abbordabile per la colonizzazione di un pianeta extraterrestre (Les Bossinas/NASA Lewis Research Center)
Ecco come la NASA immagina la prima colonizzazione di Marte: il Pianeta Rosso appare l’obiettivo più abbordabile per la colonizzazione di un pianeta extraterrestre (Les Bossinas/NASA Lewis Research Center)

Viaggiare nello spazio per colonizzare altri sistemi planetari è un’idea che si ritrova spesso nella fantascienza, ma i problemi che presenta sono ardui da risolvere, e richiedono secoli di esperienze e di preparazione. E un prerequisito essenziale è la creazione di una civiltà sostenibile a lungo termine sulla Terra.

L’idea che gli esseri umani un giorno viaggeranno per colonizzare altre regioni della nostra galassia è stata ben espressa dal pioniere russo dell’astronautica Konstantin Tsiolkovsky, che scrisse: “La Terra è la culla dell’umanità, ma non siamo destinati a rimanere nella culla per sempre”.

Da allora, questa idea è stata un elemento fondamentale per la fantascienza e un’immagine condivisa del futuro dell’umanità. Spingersi verso le stelle è spesso considerato il destino degli esseri umani, e anche una misura del successo della nostra specie. Ma trascorso un secolo da quando fu proposta questa visione, le cose che abbiamo imparato sull’universo e su noi stessi si sono combinate per suggerire che muoversi attraverso la galassia dopo tutto potrebbe non essere il destino dell’umanità.

Il problema di fondo è la vastità dell’universo, che non era nota quando immaginammo la prima volta che saremmo andati verso le stelle. Tau Ceti, una delle stelle più vicine a noi a circa 12 anni luce di distanza, è circa 100 miliardi di volte più lontana dalla Terra della Luna. La differenza quantitativa si trasforma in una grande differenza qualitativa: non possiamo semplicemente far viaggiare delle persone su immense distanze dentro un’astronave, perché è un ambiente troppo povero per sostenere gli esseri umani per il tempo necessario, che è dell’ordine di alcuni secoli.

Invece di un’astronave, dovremmo costruire una sorta di arca per il viaggio nello spazio, abbastanza grande da sostenere una comunità di esseri umani, animali e piante in un sistema ecologico completamente rinnovabile. D’altra parte, dovrebbe essere abbastanza piccola da riuscire a raggiungere una velocità piuttosto elevata, per ridurre i tempi di esposizione dei viaggiatori alla radiazione cosmica e la possibilità di guasti.

Per alcuni versi, vale il motto “grande è meglio”, ma quanto più è grande l’arca, tanto più combustibile dovrebbe essere trasportato a bordo per rallentare una volta raggiunta la destinazione: è un circolo vizioso che non può essere evitato.

Per questo motivo, si potrebbe seguire il principio opposto, “piccolo è meglio”, ma le dimensioni limitate creano problemi al flusso di risorse metaboliche e all’equilibrio ecologico. La biogeografia delle isole terrestri illustra quali problemi potrebbero derivare da questa miniaturizzazione, ma l’isolamento di un’arca spaziale sarebbe molto più drastico di quello di qualsiasi isola sulla Terra. Se si combinano le richieste di progettazione per le grandi come per le piccole dimensioni, tuttavia, non restano molte possibilità per una nave realizzabile.

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Rappresentazione artistica di un pianeta extrasolare (Credit: NASA/JPL-Caltech)

I problemi biologici che potrebbero derivare dalla radicale miniaturizzazione, dalla semplificazione e dall’isolamento di un’arca includono il possibile impatto sui nostri microbiomi.

Non siamo unità autonome: circa l’80 per cento del DNA nel nostro corpo non è umano, ma è una vasta gamma di creature più piccole. Questa pletora di esseri viventi deve funzionare in un equilibrio dinamico per mantenerci in buona salute, e l’intero sistema complesso si è coevoluto sulla superficie di questo pianeta in un particolare insieme di influenze fisiche, tra cui la gravità terrestre, il campo magnetico, la composizione chimica, l’atmosfera, l’insolazione e la carica batterica. Viaggiare verso le stelle significa allontanarsi da tutte queste influenze, cercando di sostituirle artificialmente.

Sarebbe impossibile essere sicuri in anticipo di quali siano i parametri vitali che dovrebbero essere presenti, perché la situazione è troppo complessa da modellizzare. Qualsiasi arca spaziale sarebbe quindi un esperimento, e i suoi occupanti le cavie. La prima generazione di esseri umani a bordo sarebbe costituita da volontari ma non i loro discendenti, che nascerebbero in un insieme di stanze mille miliardi di volte più piccolo della Terra, senza alcuna possibilità di fuga.

In questo ambiente radicalmente ridotto, dovrebbero essere istituite delle regole per garantire il funzionamento dell’esperimento in tutti i suoi aspetti. La riproduzione non sarebbe una libera scelta, poiché la popolazione nell’arca dovrebbe mantenersi tra un numero minimo e uno massimo. Molti lavori sarebbero obbligatori per garantire il funzionamento dell’arca, e così anche il lavoro non sarebbe scelto liberamente. Alla fine, alcune rigide limitazioni influenzerebbero la struttura sociale dell’arca per far rispettare norme e comportamenti. La situazione, in definitiva, richiederebbe la creazione di qualcosa di simile a uno stato totalitario.

Naturalmente, sociologia e psicologia sono i campi in cui è più difficile fare previsioni, poiché gli esseri umani sono molto adattabili. Ma la storia ha dimostrato che le persone tendono a reagire male in stati e sistemi sociali rigidi. Se aggiungiamo a questi vincoli sociali rigidi una costrizione fisica permanente e l’esilio dalla superficie del pianeta su cui ci siamo evoluti, la probabilità di avere problemi di salute e di andare incontro a difficoltà psicologiche e disturbi mentali appaiono piuttosto alte. Nell’arco di più generazioni, è difficile immaginare che tale società possa rimanere stabile.

Eppure, gli esseri umani sono adattabili e ingegnosi. È concepibile che tutti i problemi delineati fin qui potranno essere risolti, e che le persone confinate in un’arca potranno attraversare con successo lo spazio per arrivare in un sistema planetario vicino. Ma se così fosse, i loro problemi sarebbero appena iniziati.

Un corpo planetario i navigatori cercassero di colonizzare potrebbe ospitare forme di vita, e il contatto con una biologia aliena potrebbe rivelarsi letale o viceversa innocuo, ma sicuramente richiederebbe un’attenta indagine. D’altra parte, se fosse privo di forme viventi, allora i nuovi arrivati dovranno terraformarlo utilizzando solo le risorse locali e l’energia che hanno portato con sé. Questo significa che il processo avrà un inizio lento, e richiederà un tempo dell’ordine di alcuni secoli, durante i quali l’arca, o il suo equivalente sul pianeta alieno, dovrebbero continuare a funzionare senza intoppi.

È anche possibile che i coloni non siano in grado di dire se il pianeta ospiti o meno forme di vita, come accade ora a noi per Marte. Dovrebbero quindi affrontare un problema in entrambi i casi, ma senza sapere quale: si tratta di una complicazione che potrebbe rallentare ulteriormente scelte e azioni.

Quindi, per concludere: un viaggio interstellare presenterebbe una serie di problemi estremamente ardui da risolvere, e l’arrivo in un altro sistema planetario un insieme di problemi diverso.

Tutti questi problemi insieme non determinano l’impossibilità assoluta di un progetto, ma la sua estrema difficoltà, con chance di successo molto esigue. Le inevitabili incertezze suggeriscono che perseguire questo progetto in modo etico richiederebbe molti prerequisiti: il primo dei quali è dimostrare la sostenibilità di una civiltà umana sulla Terra stessa, che dovrebbe insegnarci molte delle cose che avremmo bisogno di sapere per costruire un microcosmo praticabile in un’arca.

In secondo luogo, si dovrebbe accumulare molta esperienza in un’arca in orbita intorno al Sole, per poter studiare e fare pratica di riparazioni, fino alla dimostrazione che il progetto può avere successo; terzo, si dovranno effettuare estese esplorazioni robotiche dei sistemi planetari vicini, per verificare se esistano candidati idonei all’insediamento.

Se non si percorreranno tutte queste tappe, difficilmente gli esseri umani potranno viaggiare con successo nello spazio e abitare altri sistemi stellari. La stessa preparazione è di per sé un progetto che richiederà diversi secoli e che si basa essenzialmente sulla sua prima fase, ovvero la creazione di una civiltà sostenibile a lungo termine sulla Terra. Questo risultato è una precondizione necessaria, anche se non sufficiente, per il successo di qualsiasi viaggio interstellare. Se non realizziamo la sostenibilità sul nostro mondo, non ci sarà alcun Pianeta B.

(La versione originale di questo articolo è apparsa su www.scientificamerican.com il 13 gennaio. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)

Kim Stanley Robinson

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