Decrescita: nuovi paradigmi culturali.

Decrescita e salute globale

Convegno ISDE Italia (Genova, 11-12 Dicembre 2008)
discute: Maurizio Pallante

Pochi giorni fa, all’inizio di dicembre, la Chem Trust, un’associazione britannica con fini di beneficenza, ha pubblicato un rapporto in cui sono stati riassunti i risultati di 250 studi, effettuati in tutto il mondo, sulla progressiva femminilizzazione degli apparati genitali maschili di tutte le specie viventi causata dagli effetti combinati dell’esposizione alle oltre 100.000 sostanze chimiche immesse negli ambienti. (vedi: Enrico Franceschini, Ciao, maschio. Lo smog minaccia il potere della virilità, la Repubblica, 8 dicembre 2008, pagg. 1 – 23; www.independent.co.uk/, www.chemtrust.org.uk, www.mybestlife.com/sexuality.

Poiché è ragionevole pensare che solo una piccola parte di esse sia stata prodotta per usi bellici, cioè per danneggiare consapevolmente la vita, non è peregrino domandarsi a quale scopo siano state sintetizzate tutte le altre, di cui il 99 per cento, secondo l’Unione Europea, non è adeguatamente regolato. Di cui, in altre parole non ci si è preoccupati di studiare le conseguenze sui cicli bio-chimici. La risposta non è difficile: sono state sintetizzate per aumentare la produttività, ovverosia le quantità di merci prodotte nell’unità di tempo. La seconda domanda che sorge spontaneamente è allora: per quale motivo è stato ritenuto così importante aumentare la produttività da far passare in secondo piano l’analisi delle conseguenze che queste sostanze chimiche avrebbero potuto produrre sugli organismi viventi?

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Anche in questo caso la risposta non è difficile: perché a livello macroeconomico la crescita della produttività è indispensabile per far crescere di anno in anno il prodotto interno lordo, a livello microeconomico è indispensabile per consentire a ogni azienda produttiva di sostenere la concorrenza di tutte le altre e essere competitiva sul mercato. Insomma se l’obbiettivo delle attività economiche e produttive è la crescita, il lavoro degli esseri umani è al servizio di questo totem fino al sacrificio non solo dei singoli individui, ma della propria specie che, in fin dei conti, subisce semplicemente le conseguenze delle sue azioni, e di tutte le altre specie viventi che invece non ne possono nulla.

Si sa, si potrebbe dire a questo punto, che non si può ottenere niente per niente, che tutto ha un costo (in una società che mercifica tutto e un’economia fondata sulla crescita del pil non può che mercificare tutto). Gli effetti collaterali analizzati nel rapporto dell’associazione Chem Trust, e gli altri analizzati in questo congresso, sono le conseguenze inevitabili del miglioramento delle condizioni di vita consentite dalla crescita della ricchezza prodotta, sono il prezzo da pagare al progresso. Affermazioni di questo genere, ripetute come se fossero ovvietà senza bisogno di dimostrazione, si basano sulla convinzione che la crescita del pil sia l’indicatore del benessere di una nazione.

Si basano cioè sulla convinzione che il pil misuri la quantità dei beni che vengono prodotti e più beni ci sono, è lapalissiano, meglio si sta. Ma il pil, nonostante le apparenze, non misura i beni perché è un indicatore monetario e come tale registra soltanto il valore monetario delle merci che vengono scambiate con denaro, degli oggetti e dei servizi che vengono comprati e venduti. Poiché le popolazioni che vivono in sistemi economici fondati sulla crescita del pil sono abituate da alcune generazioni ad acquistare quasi tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere, tendono a confondere il concetto di bene col concetto di merce. Per chi è abituato a comprare tutti gli oggetti e i servizi di cui ha bisogno, i beni si identificano con le merci.

In realtà le due parole indicano concetti diversi che possono non coincidere. Esistono merci che sono beni, ma esistono anche merci che non lo sono (la benzina in più che si brucia quando si sta in coda: se si ritiene che il pil misuri il benessere ogni imbottigliamento dovrebbe accrescere la felicità e il benessere) ed esistono beni che non si possono comprare: le relazioni affettive, o si possono non comprare: ciò che si autoproduce per sé o si scambia per amore, e, quindi, non è una merce. Un’economia fondata sulla crescita del prodotto interno lordo tende a mercificare tutti i beni, perché maggiore è la quantità delle merci scambiate con denaro, maggiore è il valore del pil.

Un’economia che vuole uscire da questa logica perversa tende a ridurre la produzione e il consumo delle merci che non sono beni e ad accrescere la produzione e l’uso di beni che non sono merci ogni qual volta questa scelta comporti dei vantaggi in termini di qualità, di riduzione del consumo di risorse, di riduzione dei rifiuti e del consumo di energia, di riduzione dell’inquinamento e dell’impronta ecologica. Entrambe le opzioni comportano una decrescita del pil. Esempio di una merce che non è un bene: sprechi energetici nel riscaldamento degli ambienti (dai due terzi ai nove decimi. Le ristrutturazioni finalizzate a ridurre questi sprechi comportano una decrescita felice a livello individuale e contribuiscono alla felicità collettiva (riduzione delle emissioni di CO2).

Esempio di un bene che non è una merce: l’orto familiare. In relazione alla crescita è un’attività asociale, così come i servizi alla persona scambiati per amore all’interno di una famiglia, perché fanno diminuire la domanda di merci equivalenti. Decrescita felice a livello individuale e contributo alla felicità collettiva.
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In questa accezione la decrescita
– non si colloca nell’ambito etico in cui molti la racchiudono (la riduzione del consumismo, la
valorizzazione della spiritualità, la più equa distribuzione delle risorse tra i popoli, la riduzione
dell’impatto ambientale), ma nell’ambito della razionalità;
– non ha i connotati della rinuncia e del sacrificio, ma quelli della ricerca del benessere;
– travalica dall’ambito dell’economia in quello della filosofia, dai valori monetari ai valori
– richiede uno sviluppo tecnologico finalizzato alla sua realizzazione

Per realizzare la decrescita occorre agire in tre direzioni:
cambiare gli stili di vita (sobrietà, autoproduzione, scambi non mercantili);
orientare in maniera diversa la tecnologia, sostituendo l’obbiettivo della produttività con l’obbiettivo
della riduzione dell’impronta ecologica;

agire politicamente, abbandonando la super-ideologia della crescita che accomuna destra e sinistra per
definire obbiettivi economici e sociali finalizzati alla decrescita.

Solo agendo contestualmente sui tre livelli si può superare la logica difensiva dalle aggressioni agli ambienti e alla salute umana, insite nell’economia della crescita, e aprire nuove prospettive fondate su una diversa progettualità capace di futuro. Se ci si limita ad agire a uno solo di questi livelli, non si può che rimanere in un’ottica difensiva. Esempio: occorre opporsi alla costruzione degli inceneritori, facendo chiarezza sui danni ambientali e sanitari che provocano, ma occorre contestualmente costruire una cultura, in senso ampio, finalizzata ad abolire ogni forma di smaltimento e il concetto stesso di rifiuto per far posto alla riutilizzazione e al riciclaggio.

Tutto ciò che è stato assemblato in un oggetto per fornire una utilità, quando questo oggetto non è più in condizione di fornirla, deve essere disassemblato per poter riutilizzare le sostanze di cui è composto. A tal fine occorre introdurre nella cultura condivisa il concetto che gli attuali rifiuti sono la conseguenza di:
– un modo tecnologicamente arretrato di produrre
– una gestione politica incompetente e predatoria
– stili di vita incivili

Di conseguenza occorre instillare la convinzione che il vero progresso consiste in un cambiamento culturale caratterizzato da
1. Un modo di produrre più avanzato tecnologicamente finalizzato a:

Ridurre gli scarti di produzione.
Allungare la durata degli oggetti.
Progettare oggetti riparabili.
Progettare oggetti anche in funzione del loro smontaggio in tipologie omogenee di materiali riciclabili.

2.Stili di vita responsabili
Riduzione degli oggetti da smaltire (imballaggi, usa e getta).
Raccolta differenziata di tutti gli oggetti che non sono più considerati in grado di fornire il servizio per cui sono stati acquistati.

3.Misure politiche per gestire gli oggetti al termine della loro vita utile, al fine di riciclare tutte le materie prime secondarie di cui sono composti.
Organizzazione della raccolta differenziata in senso economico
Gestione delle possibilità di riutilizzo
Tassazione degli imballaggi

L’effetto combinato di questi tre fattori comporta una riduzione del pil:

– riduzione dell’utilizzo di materie prime vergini da valorizzare economicamente sotto forma di merci destinate a diventare rifiuti in tempi sempre più brevi
– riduzione dei consumi energetici (per ottenere materia riutilizzabile dal riciclaggio occorre meno energia di quella che occorre per produrre materia prima dalle risorse naturali)

Una particolare attenzione in questa sede alla tecnologia, perché, se l’aggravamento e l’estensione dei problemi ambientali e sanitari dipende dalla crescita della potenza tecnologica utilizzata, non si può pensare che questi problemi possano essere ridotti da una semplice imposizione di freni allo sviluppo della tecnologia. Ipotesi del tutto teorica, che è stata avanzata da alcuni sostenitori della decrescita con la formula della moratoria tecnologica. Ciò che occorre non è una riduzione quantitativa della tecnologia, ma un suo mutamento qualitativo. Occorre passare da una tecnologia finalizzata alla crescita, a una tecnologia finalizzata alla decrescita.
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Quali sono le caratteristiche di una tecnologia finalizzata alla crescita del pil attraverso la crescita della
produttività?

a) consumo crescente di risorse
esaurimento delle risorse non rinnovabili (fonti fossili)
consumo delle risorse rinnovabili più rapido dei tempi necessari alla loro riproduzione (ogm)
b) forte impatto ambientale (produzione di 100.000 sostanze di sintesi, il 99 per cento delle quali non è
adeguatamente regolato)
c) produzione crescente di rifiuti.

Le tecnologie della crescita non hanno capacità di futuro. Minacciano la sopravvivenza stessa della specie umana dal punto di vista sanitario. Sono causa di conflitti internazionali per il controllo e l’accaparramento delle risorse. Costituiscono ormai una tecnosfera che interagisce con la totalità della biosfera. Obbiettivi delle tecnologie finalizzate alla decrescita sono di ridurre progressivamente:

-Il consumo di energia per unità di prodotto (sprechi superiori al 50 %).
-Il consumo di materie prime a parità di produzione (diminuzione dei rifiuti industriali).
-la produzione dei rifiuti progettando:
-oggetti finalizzati a durare il più possibile
-oggetti riparabili
-oggetti che alla fine della loro vita utile possano essere smontati in tempi e modi
-industriali suddividendo i materiali di cui sono composti in tipologie omogenee riutilizzabili.

Le tecnologie della decrescita hanno una grande capacità di futuro, il loro sviluppo consente di ridurre l’impatto ambientale e sanitario della produzione di merci, di attenuare le cause dei conflitti internazionali e di effettuare una più equa distribuzione delle risorse tra i popoli (miglioramento della qualità della vita dei popoli poveri), di ridurre l’inquinamento e l’effetto serra. Le tecnologie della decrescita, oltre a ridurre la produzione di merci che non sono beni consentono anche di ampliare la sfera dei beni auto producibili, invertendo la tendenza contraria in atto.

Esempio: la politica energetica: tre passaggi in successione logica:

a) Ridurre gli sprechi, le inefficienze e gli usi impropri (almeno il 70 per cento di tutti i
consumi energetici)-
b) Sostituire progressivamente le fonti fossili con fonti rinnovabili.
c) Impianti di fonti rinnovabili di piccola taglia per autoconsumo (non hanno impatto ambientale, nessuna perdita di trasporto nell’autoconsumo, minime perdite per i trasporti a brevi distanze delle eccedenze, maggiore flessibilità del sistema energetico. Opposizione dei
monopoli energetici).

Queste tre misure, oltre a fornire vantaggi tecnologici, favoriscono un uso più responsabile dell’energia perché la trasformano da merce in bene. Analogia con la produzione contadina tradizionale. Recupero di un metodo del passato e sua applicazione ai più avanzati processi tecnologici. Da questa sintesi, in cui consiste il vero progresso (conservazione e aggiunta), deriva una capacità di futuro non altrimenti
ottenibile. In sostanza, quello che oggi occorre è un diverso paradigma culturale che sia in grado di riorganizzare le relazioni della specie umana con l’ecosistema terrestre. Siamo in una fase di passaggio.

L’egemonia culturale della crescita si va affievolendo giorno per giorno. Fino alla fine del secolo scorso, gli incrementi della potenza tecnologica, della produzione e della produttività sono stati considerati fattori di progresso e di miglioramento della qualità della vita. Ogni nuovo impianto industriale veniva considerato una benedizione, la modernizzazione era considerata una sorta di dovere morale e la modernità la via luminosa verso il futuro. Da qualche anno a questa parte non c’è proposta di insediamento industriale che non susciti movimenti di opposizione, la tradizione è uscita dai musei in cui era stata rinchiusa e dà vita a movimenti finalizzati alla riscoperta di prodotti artigianali, di cultivar locali, di modi di cucinare del territorio, di filiere corte.

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Non è ancora un’inversione di tendenza, ma la rinascita di una cultura che sembrava essere stata annientata e sta lottando per riconquistare il diritto di tornare all’onor del mondo. L’abbandono del paraocchi della crescita ha liberato energie e intelligenze che si stanno applicando all’analisi dei guasti terribili che ha inferto alla specie umana e all’ecosistema terrestre. Voi siete uno degli esempi più alti di questo approccio scientifico non subordinato al denaro, ma guidato dall’etica. Avete abbattuto dei muri e fatto vedere cosa nascondevano. Ma questa è solo la
premessa di un lavoro più profondo, è la pars destruens che precede, presuppone e prepara una pars construens, un nuovo progetto culturale che abbia capacità di futuro.

Credo che la decrescita possa fornire il riferimento culturale complessivo di cui c’è bisogno per compiere questo passaggio. Credo che la decrescita sia la strada obbligata che consente di arrivare alle cause ultime dei problemi che voi denunciate. Ma non è la meta. La meta è un nuovo Rinascimento in cui tutte le nostre conoscenze, il nostro sapere e il nostro saper fare vengono messi a servizio della vita, non di un obbiettivo economico fine a se stesso che subordina e sacrifica la vita alla sua realizzazione.

Fonte: http://www.decrescitafelice.it/wp-content/uploads/2008/12/decrescita_e_salute_globale.pdf