Extraterrestri nella preistoria

Extraterrestri nella preistoria

EXTRATERRESTRIIn un’antica icona di stampo medievale possiamo osservare una lancia infuocata posarsi sul monte Sinai causando un incendio, dinnanzi a un esterefatto rabbino. O se ci portiamo in Jugoslavia, nel monastero ortodosso di Visoka Decani, troviamo un affresco trecentesco che illustra la morte di Cristo sul Golgota. E, alle spalle di Cristo, due uomini che sembrano inseguirsi dentro strane astronavi a forma rispettivamente di sole e di luna. Sebbene molte di queste opere pittoriche possano in realta’ essere rilette piu’ convenzionalmente ( gli angeli in astronave di Decani potrebbero essere due beati dentro gli astri, secondo una concezione eretica catara), i continui ritrovamenti di raffigurazioni insolite hanno generato la ‘clipeologia’. Si tratta di un settore dell’ufologia che trae il suo nome dai clipei ardentes, gli ‘ scudi infuocati’ descritti dallo storici latino Tito Livio nei suoi Annali, scudi e travi che sfrecciavano in cielo spaventando la popolazione, che li interpretava come cattivi presagi. Questo tipo di ricerca e’ stata introdotta dallo svizzero Erich Von Daeniken e portata avanti da ricercatori quali Peter Kolosimo, Robert Charroux, Raymond Drake, Alexander Kazantsaev, Jean Sendy, Umberto Telarico, Ion Hobana (in assoluto il piu’ competente ricercatore). Le finalita’ di questo studio sono sorprendenti: dimostrare che creature extraterrestri visitarono la Terra agli albori della civilta’ umana, forse modificando l’uomo preistorico, o la scimmia, per trasformarlo in un essere intelligente. L’ala piu’ ‘moderata’ del movimento si limita a sostenere che i dichi volanti sono comparsi anche nel passato, forse per studiare la nostra evoluzione, a volte imprevedibili. Una delle piu’ antiche testimonianze a favore di queste tesi ci giunge dal lontano Oriente, per bocca di Von Daeniken.

Il Bayan Kara Ula e’ una regione montagnosa fra Tibet e Cina. Cola’, nel lontano 1938, l’archeologo cinese Chi Pu Tei scopri’ in una caverna una fila di tombe contenenti piccolo scheletri dagli enormi crani, accanto ai quali si trovavano circa 700 dischi di granito, larghi mezzo metro e finemente decorati da geroglifici. La traduzione di tali incisioni, a opera del professor Tsum Um Nui (un giapponese), sarebbe stata sorprendente. Vi si narrava di strani esseri scesi 12.000 anni addietro sulla Terra e ferocemente attaccati dai primitivi. Era la cronaca di un remoto incontro ravvicinato? Penso invece sia un falso. Per sostenere le sue tesi, Von Daeniken asserisce che il tema del dio sceso dal cielo per contattare e ammaestrare i primitivi e’ comune nel mondo. Lo si trova continuamente nei testi epico-religiosi, talvolta affiancato da inquietanti immagini. In altre parole, i misteriosi dei altro non sarebbero che potentissimi extraterrestri a bordo di navi intergalattiche. A sostegno della sua tesi, il ricercatore svizzero accosta i dischi tibetani a quello impugnato da una mistriosa divinita’ bifronte raffigurata in un’incisione millenaria nella grotta di Fergana, in Russia. Fatta conoscere dal dott. Wjaceslav Zaisev, la pittura ruprestre mostra il dio con una sorta di casco e un guanto. In mano un disco coperto da una serie di tratti simili all’alfabeto Morse; alle sue spalle, il disegno piu’ inquietante. Chiarissimo, un disco volante in volo e, a terra, un omino con tre occhi, un casco con antenne e una pistola in mano. Se questa pittura fosse risultata autentica, sarebbe stata la prova definitiva del passaggio di un extraterrestre nella preistoria!

Ma purtroppo lo studioso rumeno Ion Hobana ha scoperto trattarsi di un moderno disegno, opera di Zaisev, spacciato da Von Daeniken per un antichissimo reperto. Il disegno, nelle intenzioni di Zaisev, doveva comunque raffigurare il modo con cui un nostro antenato avrebbe potuto immaginare il primo incontro alieno della storia. A sostegno delle proprie teorie, Von Daeniken propone un’incisione vecchia di 7000 anni, sulla tomba Katsuhara a Matsubase, provieniente dalla baia delle Fiamme Enigmatiche, in Giappone, che riproduce perfettamente un razzo con alettoni in volo. La configurazione del veivolo sembrerebbe dimostrare che le civilta’ interplanetarie hanno seguito la nostra stessa evoluzione tecnologica. Ma cosa vogliono, e volevano, questi inafferrabili dei? Se seguiamo le tradizioni antiche, essi vennero per dirozzarci. Per gratitudine, gli indigeni custodirono l’immagine di questi esseri e li divinizzarono. Ma alcuni ricercatori si spingono ancora piu’ oltre: gli extraterrestri, in realta’, sarebbero i nostri creatori. Le prove? Nei libri sacri di tutto il mondo.

Helena Petrovna Blavatsky era un’originale viaggiatrice vissuta nel secolo scorso, che spese parte della propria vita alla ricerca di insegnamenti esoterici in Egitto, India,e Tibet. In quest’ultima nazione, la controversa esploratrice avrebbe visto, in una lamaseria custodita da monaci buddisti, un antichissimo testo cosmogonico, che la tradizione voleva “anteriore alla creazione del mondo”. Il libro, intitolato ‘Le stanze di Dzyan’ riportava, nel secondo capitolo, la cronaca della creazione di uomini mostruosi a opera di sei scesi dal cielo, divinita’ planetarie conosciute con il nome di Dhyani, che secondo i clipeologi, altro non sarebbero che “esseri spaziali discesi sulla Terra in tempi remoti col compito di sterminare razze-prova ed esseri mostruosi”. Su questa linea il ricercatore Valentino Compassi, conoscitore delle religioni orientali che interpreto’ come segue un ‘grano’ della ‘Stanza II’ del testo. “La ruota giro’ per trenta crore ancora. Dopo trenta crore si rivolse. Giacque sul dorso, sul fianco. Essa creo’ dal proprio grembo . Sviluppo’ uomini acquatici, terribili e malvagi. I Dhyani vennero e guardarono. Vennero dal lucente Padre-Madrem dalle Bianche Regioni, dalle Dimore dei Mortali Immortali. Essi furono malcontenti. Non dimore per le vite. Le fiamme vennero. I fuochi con le scintille; i fuochi della notte e i fuochi del giorno. Essi prosciugarono le oscure acque torbide. I L’ha dall’alto e i Lhamayin dal basso vennero. Essi uccisero le Forme che avevano due e quattro facce. Combatterono contro uomini-capra e contro uomini dal capo-di-cane e contro gli uomini dal corpo di pesce…”.

“Venire dalle Bianche Regioni e dal Lucente Padre-Madre”, spiega Compassi, “significa venire da un punto lontanissimo della galassia, se non da un’altra galassia. E per coloro che percorrono tali distanze l’immortalita’ potrebbe essere un fatto automatico. Sta di fatto che i Dhyani vennero e, con l’aiuto dei L’ha e di Lhamayin in una vera e propria azione d’attacco, distrussero le forme mostruose che popolavano un settore della Terra; forse una razza-prova non perfettamente riuscita…”. Sebbene il libro probabilmente non esista – nessuno l’ha mai visto – il testo potrebbe derivare da narrazioni locali autentiche. Extraterrestri creatori dell’uomo? Sono in molti a pensarlo, soprattutto quando si mettono a confronto i piu’ antichi poemi cosmogonici. Prendiamo, per esempio, il Popol Vuh, il libro sacro dei Quiche’ del Guatemala, un testo privo di contaminazioni del mondo occidentale, che curiosamente mostra straordinari parallelismi con la Genesi biblica: “(Gli dei) dissero: ‘Non sara’ ne’ gloria ne’ grandezza nella nostra creazione, finche’ non sara’ formato l’uomo’… Poi passarono alla creazione, alla formazione: dalla terra, al fango fecero la carne dell’uomo”. Una storia che ci rammenta immediatamente la vicenda di Adamo. E non solo quella, visto che la creazione dell’uomo di fango parrebbe essere patrimonio comune dell’umanita’. L’uomo che nasce dalle pietre compare nel mito greco di Deucalione, nella mitologia giapponese dei guerrieri Haniwa che nascono dalle viscere della terra, nella nascita del dio Mitra, generato dalle pietre. La tradizione ebraica in un bassorilievo egiziano del tempio di Luzor il dio creatore Chnum modella i corpi umani con la creta, su una ruota di vasaio. Stranamente il poeta greco Aristofane (ca. 400 a.C.) definiva l’uomo “un’immagine di creta”. Un’ analoga concezione compare nella radice della parola latina homo (uomo) che deriva da humus, terra.

Il riferimento piu’ immediato si ritrova nella Genesi, allorquando un misterioso dio (Yahweh Elohim nei testi originali) plasma il primo uomo dall’argilla e gli soffio’ nelle narici per portarlo alla vita. Ma il primo verso della Genesi, “In principio Iddio fece il cielo e la terra”, se letto nell’aramaico originale, causa non poche perplessita’. “in principio Elohim fece i cieli e la terra”, riporta la versione ebraica, e lo sconcerto nasce nel momento in cui si apprende che la parola “Elohim” significa “gli Dei”. Quindi non un dio, ma piu’ divinita’, che, assieme, formano e plasmano l’universo. I Costruttori e i Formatori, come vengono chiamati nel Popol Vuh. Inoltre, nel febbraio del 1990, un cattedratico sovietico, il professor Vladimir Scherback (un curioso personaggio convinto che l’uomo di Cro-Magnon provenisse da Atlantide), stupiva il mondo scientifico con una conferma “biochimica”. il russo, studiando attentamente l’immagazinamento delle informazioni genetiche, aveva scoperto una serie di relazioni piu’ antiche di quelle conosciute. Le relazioni simmetriche del DNA si combinavano, secondo il cattedratico, seguendo uno schema vecchio tre miliardi e mezzo di anni e pertanto anteriore alla comparsa dell’uomo su questo pianeta. Da qui l’ipotesi che le simmetrie di “secondo livello”, quello piu’ profondo, fossero giunte sulla Terra grazie a un microrganismo inviato da ‘esseri razionali presenti nell’universo’ che , in tal modo, avrebbero fecondato altri pianeti, con una sorta di seme cosmico geneticamente manipolato. “Se si attraversava la preistoria con gli occhi aperti”, scriveva lo studioso di mitologia R. Steinhauser, “ci si imbatte in una certa quantita’ di prove ce indicano che in passato alcuni cosmonauti hanno soggiornato sulla Terra, hanno insegnato agli uomini, hanno trasmesso loro conoscenze, li hanno portati con se’ e in certi casi si sono mescolati a loro, mentre altre volte li hanno annientati, come nel caso di Sodoma e Gomorra.

“Se da tonnellate di pietre non riusciamo a estrarre che qualche grammo di radio e se per portare alla luce vecchie navi si devono togliere strati di conchiglie di vari metri di spessore, gli stessi sforzi devono essere impiegati per liberare e filtrare l’autentico sapere degli antichi. Si puo’ riconoscere la veridicità di quei fatti e continuare a studiarli oppure rigettarli in blocco, ma quest’ultima soluzione appare sempre piu’ difficile. E’ naturale che in tal modo ci si trovi di fronte a indicazioni che non possono costituire prove conclusive e che a tutta prima sembrano frutto di un’immaginazione sfrenata, ma che poi, dopo matura riflessione, divengono illuminanti”. Fra i tanti misteri che passano sotto il silenzio troviamo le misteriose raffigurazioni delle grotte del Sahara, vecchie di migliaia di anni e raffiguranti strani esseri con caschi da astronauta. Ci troviamo nella “Fase delle teste rotonde”, 7000 a.C. Il Sahara ha una vegetazione rigogliosa, con laghi e fiumi. Le popolazioni negroidi vivono di caccia, pesca e raccolta di frutti. Ed ecco strani oggetti discoidali scendere dal cielo, lasciare sull’erba tracce circolari e uscirne “divinita’” con caschi, guaine attorno al collo e ai polsi e vestiti aderentissimi. Cosi’, nelle rocce del Tassili, l’archeologo Henri Lhote trovava un’intera galleria di uomini in processione, tutti con un casco in testa, munito di antenne. In un’altra parte della grotta, un individuo completamente inguainato, con stivaloni e un casco con due giganteschi cerchi concentrici al posto degli occhi. Se non sapessimo che l’incisione e’ antichissima, potremmo scambiarlo per un sommozzatore. Ma e’ nella parte piu’ alta della parete della grotta dei Tassili-n-djaer cheLhote ritrovera’ la piu’ famosa di queste incisioni, il “Grande Dio Marte”.

Una figura alta due metri, dal corpo immenso e, al posto del viso, un gigantesco casco, chiuso sul collo da una spessa guarnizione. Prendeva corpo allora l’ipotesi del dio giunto sulla Terra per ammaestrare gli uomini, un dio sin troppo umano ma dotato di una tecnologia strabiliante, in grado di muoversi su un ‘carro di fuoco’ la cui descrizione lascia intravedere una potentissima struttura meccanica di origine non terrestre. Tracce di queste aeronavi compaiono in ogni epoca e in ogni luogo. In una Bibbia tedesca del XVII secolo e’ raffigurata l’apparizione dell’angelo dell’Apocalisse, forse nella visione di un mistico teutonico. L’angelo ha due gambe metalliche stranamente simili a quelle dei nostri LEM. Sempre nella Bibbia, e’ descritta la visione di Ezechiele, il profeta ebraico che, nel deserto, vide volare una macchina composta da strani ingranaggi, forme infuocate e ruote concentriche. Sulla base di queste descrizioni un ingegnere della NASA, Joseph Blumrich, inizialmente scettico , realizzo’ un modello grafico dal quale dedusse che la misteriosa visione non riguardasse la “gloria di Dio” ma bensi’ una macchina volante . Allo stesso modo un anonimo pittore raffiguro’ la visione d’un veivolo con ruote, ali e una sfera presumibilmente abitata, interpretando il tutto come la ripetizione dell’ascensione di Gesu’ in cielo. La preziosa miniatura risale al VI secolo ed e’ inserita nel ‘Codice di Rabula’, custodito nella biblioteca Laurenziana di Firenze.

Stesso discorso sul ‘fronte induista’. Negli antichissimi poemi epici dell’India, quali il Ramayana, il Vimanika Shastra, il Samarangana Sutradhara, vecchi di 5.000 anni, si parla di misteriose vimana che sfrecciavano in cielo, la cui ricostruzione, secondo l’attuale tecnologia, presenta un’aeronave a piu’ motori dalle prestazioni eccezionali. E tutta la storia antica e’ costellata da dei armati con macchine volanti, tutti con l’identica missione di indirizzare l’uomo sulla via tecnologia, dopo avergli insegnato a vincere le proprie ataviche paure. Il cinese Tsu-Yu giunge su un carro di fuoco per sterminare i varani che distruggono i raccolti degli indigeni; gli dei sumeri sfrecciano in cielo dentro bolle trasparenti, giungendo direttamente dalle Plejadi; dal cielo giungono sulla Terra esseri bellissimi, quali il tebano Osiride o l’indiano Krishna, iniziatori di culti rigidamente organizzati. Dalle viscere della terra escono Mitra e Tarchies. Quest’ultimo, descritto con un abito argenteo, insegna agli etruschi a dividere e cintare i campi, a istituire il diritto e la religione, analogamente la mitica babilonese Semitramide, vestita sempre non una tuta “aderente come una pelle” insegna a un popolo non suo il segreto dell’arco a sesto acuto e la tecnica dei giardini pensili, una delle sette meraviglie del mondo. Stesso discorso per il mitico Romolo, il fondatore della citta’ eterna, volato in cielo dopo aver fondato la legge e il culto. Non molto differentemente dall’ateniese Licurgo, il mitico legislatore scomparso nel nulla.

Tutti questi esseri leggendari erano in realtà divinità extraterrestri? Sicuramente erano uomini, almeno a detta dello storico cristiano Tertulliano, autore dell’ Apologeticum.

Se ci portiamo in Bolivia, a Tiahuanaco, troviamo l’antichissima Porta del Sole. Cola’ vi e’ scolpito il dio Kon-Tiki, colui che scendeva dal cielo muovendosi sulle acque. Kon-Tiki ha un casco raggiato e impugna armi sconosciute. Ai suoi lati, 42 figure (metope) si ripetono alternandosi e vengono illuminate a fasi alterne dal sole nei suoi spostamenti. Un’analisi al computer ha rivelato – secondo Von Daeniken – che le 42 metope rappresentano le altrettanti fasi di rivoluzione del pianeta Venere. E fin qui non vi sarebbe nulla di strano, se non sapessimo che il bassorilievo e’ antichissimo e gli indigeni non potevano assolutamente conoscere la rivoluzione di Venere…Qual era stata dunque la loro fonte d’informazione? A Oaxaca’, in Messico, ne Tempio della Morte gli archeologi han ritrovato un piccolo pettorale raffigurante il dio della morte. Curiosamente, il pettorale del dio e’ coperto da strani simboli, linee e punti, che altro non sono che date e numeri secondo i caratteri aztechi e mixtechi. Niente di strano dunque, se Von Daeniken non si dicesse sicurissimo che i simboli corrisponderebbero in realta’ ai collegamenti di un modernissimo circuito integrato…. Il caso piu’ sconcertante, in questo senso, e’ rappresentato dai Dogon, una popolazione ferma all’eta’ della pietra, scoperta negli anni Trenta nel Mali, fra i monti del Bandjagara. Ogotemmeli, il vecchio stregone locale, mise a parte delle sue conoscenze l’etnologo francese Marcel Griaule, per primo accettato nella comunita’.

Il vecchio narro’ la complessa cosmogonia Dogon. Nella notte dei tempi, per ordine del dio Amma, otto creature acquatiche, i Nommo, erano scese sulla Terra per istruire gli uomini. La macchina volante dei Nommo produsse un gran fragore e sollevo’ molta polvere. Gli esseri si dimostrarono gentili e dissero di provenire da Potolo, una stella fatta ‘della materia piu’ pesante dell’universo’. Durante il loro viaggio, i Nommo avevano visto un pianeta con anelli (Saturno), uno con molte lune (Giove) e uno, un satellite della Terra, morto e disseccato: la Luna. Ancora, i Dogon, grazie ai Nommo, sapevano che i pianeti ruotavano attorno al Sole e l’architettura dei loro santuari presentava precisi riferimenti a Venere. Spiegavano correttamente la rotazione terrestre e intrecciavano canestri che, una volta aperti e srotolati, risultavano essere mappe stellari della via Lattea! Ma c’era di piu’. I Dogon disegnavano la rotazione di Sirio B, una stella invisibile a occhio nudo e fino a qualche decennio fa ignota ai nostro astronomi, quasi con la stessa precisione dei nostri studiosi, ponendo un’altra stella, Sirio A, non al centro ma in uno dei fuochi dell’ellisse. Questo sistema binario Sirio A-Sirio B altro non era che un sistema Digitaria-Potolo da cui i Nommo dicevano di venire!

Quando lo studiose Robert Temple ebbe modo di leggere i resoconti di Griaule, essendo un discreto conoscitore dell’astronomia rimase sbalordito scoprendo che i Dogon sapevano da secoli di Sirio B, una stella mai vista a occhio nudo, la cui esistenza era stata confermata in quegli anni dai telescopi. Sirio B era invisibile in quanto era una ‘nana bianca’, cioe’ una stella piccolissima ultracompatta e per questo pesantissima. Composta, appunto, “della materia piu’ pesante dell’universo”. Ma i Dogon non sono gli unici fra i popoli che hanno ricevuto conoscenze ‘impossibili’ dagli dei. In Armenia e’ stato rinvenuto di recente un tempio i cui massi sono disposti con precisione millimetrica in modo tale da rappresentare il moto di stelle visibili a occhio nudo, mentre in Uzbekistan una spedizione scientifica ha rinvenuto in una grotta un’incisione che mostra con estrema precisione il lato oscuro della Luna…

Alfredo Lissoni

alfredolissoni.net