Fusione nucleare low-cost

Fusione nucleare low-cost

Fusione nucleareUn progetto privato di fusione nucleare a basso costo cerca nuovi investitori. Sul piatto, un sistema di confinamento del plasma ad alta pressione che sembra funzionare, secondo una ricerca a cui ha partecipato anche l’italiano Giovanni Lapenta, professore all’Università Cattolica di Leuven, in Belgio

Molti ritengono che riuscendo a controllare la fusione termonucleare, lo stesso matrimonio atomico che fa ardere il sole e l’altre stelle, si risolverebbero la maggior parte dei problemi energetici dell’umanità, senza sporcare ulteriormente il pianeta. Tuttavia la strada per arrivare a tale risultato sembra ancora lunghissima e costosa. Per esempio, il grande reattore sperimentale del progetto internazionale ITER costerà non meno di 15 miliardi di euro e sarà pienamente operativo attorno al 2030.

La fusione nucleare richiede temperature elevatissime (milioni di gradi) del plasma, che deve essere perciò “confinato”.

Per ITER il confinamento del plasma sarà ottenuto in un campo magnetico all’interno di una macchina denominata Tokamak, ma sono possibili ed esistono altri metodi. Uno di cui si sa abbastanza poco è la fusione Polywell, un nome che deriva dall’unione delle parole “poliedro” e “buca di potenziale” (potential well). La tecnologia, molto più economica delle altre, è stata sviluppata dalla EMC2 Fusion Development Corp, una ditta statunitense finora piuttosto defilata dai riflettori a causa di clausole di segretezza imposte dal suo principale finanziatore, la Marina militare americana, che ha investito nel progetto una dozzina di milioni di dollari. Ora però il flusso di denaro si è interrotto e l’azienda scopre le sue carte in cerca di nuovi investitori, proponendo un programma di ricerca triennale da 30 milioni di dollari per verificare se la tecnologia Polywell sia, o meno, la strada più rapida per ottenere a prezzo conveniente energia da fusione nucleare.

“L’obbiettivo è quello di ottenere un insieme di dati concreti che ci permettano di decidere se, quando e come potremo costruire un dispositivo a fusione”, ha dichiarato in proposito alla NBC News Jaeyoung Park, il presidente e capo della ricerca della EMC2 Fusion. Park e soci non hanno mai ottenuto energia da fusione nucleare Polywell, ma ritengono di essere sulla buona strada. Con il loro dispositivo sperimentale WB-8 sono infatti riusciti a validare l’effetto di confinamento Wiffle-Ball, così chiamato perché la forma che assume il campo magnetico prodotto dal reattore assomiglia a una palla di plastica perforata, usata negli USA per l’omonimo sport.

Questo è uno degli aspetti meno “ortodossi” della tecnologia e dei fattori chiave per il suo eventuale successo. I dispositivi Wiffle-Ball possono spingere il confinamento fino a valori di pressioni irraggiungibili da apparecchi come ITER, permettendo in teoria di progettare reattori molto compatti e meglio controllabili. Proprio l’effetto di confinamento ad alta pressione è descritto nell’articolo scientifico pubblicato in anteprima su ArXiv con primo firmatario Park. Alla ricerca ha partecipato anche un italiano, Giovanni Lapenta, professore di Space Weather all’Università Cattolica di Leuven, in Belgio.

“Il mio coinvolgimento”, ha spiegato Lapenta a Media INAF, “è stato quello di fornire parte del contributo teorico sulla fisica dell’esperimento e la gran parte del supporto di simulazione su supercomputer. Abbiamo infatti sviluppato un metodo e condotto svariate simulazioni dei processi poi confermati nell’esperimento. In particolare, abbiamo sviluppato la prima simulazione mai prodotta dell’effetto che conduce a quella che viene chiamata Wiffle-Ball, che poi l’esperimento ha realmente osservato. Il lavoro procede ancora e speriamo presto di pubblicare un articolo specifico sulla parte teorica.”

Non è possibile sapere a questo punto se un reattore Polywell funzionante sarà mai costruito, però è interessante appuntarsi, a futura memoria, un paio di dati propagandati della EMC2 Fusion. Un generatore da 100 Mega Watt risulterebbe delle dimensioni di un cubo di 3 metri di lato e un primo prototipo costerebbe “soltanto” 350 milioni di dollari, che scenderebbero a 200 milioni con la produzione in serie. Non male per un’energia pulita.

Stefano Parisini

Per saperne di più:

Il preprint dello studio “High Energy Electron Confinement in a Magnetic Cusp Configuration” di Jaeyoung Park, Nicholas A. Krall, Paul E. Sieck, Dustin T. Offermann, Michael Skillicorn, Andrew Sanchez, Kevin Davis, Eric Alderson, Giovanni Lapenta

media.inaf.it

https://www.youtube.com/watch?v=7f5d-bRgieI