Giocattoli «al piombo» Mattel, suicida il capo della fabbrica in Cina

Il Giornale Online
Pechino domina i commerci, ma deve alzare la qualità e la sicurezza dei suoi prodotti

Per un'azienda cinese il divieto d'esportare equivale a una condanna a morte. E Zhang Shuhong, cinquantenne direttore della LeeDer di Foshan, ne ha tratto le conseguenze. Si è impiccato in un capannone della fabbrica che produceva giocattoli per FisherPrice, uno dei marchi della Mattel. Quelli che all'inizio di agosto la multinazionale americana ha ritirato dal mercato globale perchè colorati con vernici tossiche, ad alto tasso di piombo.

Secondo un quotidiano locale, a rifornire di vernice la LeeDer sarebbe stato «il miglior amico» del direttore. Il che aggiungerebbe al suicidio la componente dell'amicizia tradita. Nella Cina tumultuosa, dove arricchirsi è «glorioso», la corruzione è di casa e l'attenzione all'ambiente e alla qualità dei prodotti latita (come in Occidente fino a qualche anno fa), si possono fare altre ipotesi. Forse i due amici erano d'accordo e Zhang faceva la cresta sulle forniture di vernice, sapendo che dentro c'era troppo piombo. O, forse, alla LeeDer lo sapevano tutti e andava bene così, visto che la vernice con tanto piombo costa meno di quella con poco o senza.

Sia come sia, una sequela di «infortuni» industriali sta mettendo in cattiva luce la Cina a un anno dalle Olimpiadi. Per ora il danno è più d'immagine che di sostanza. La crescita del pil viaggia sempre a due cifre, l'attivo della bilancia comerciale supera costantemente le più rosee previsioni. Però l'immagine conta e Pechino, dopo lo sciroppo killer per la tosse, i pesci congelati inzeppati di antibiotici, il cibo per gatti che fa stramazzare la bestiola, i copertoni che si disfano, il dentifricio al solvente, deve recuperare con un severo giro di vite. Il divieto ad esportare, che per la LeeDer equivale al blocco della produzione, rientra in queste misure «esemplari».

Il direttore suicida della fabbrica di Foshan non è il primo morto della campagna di rieducazione. Qualche giorno fa è stata eseguita la condanna a morte di Zheng Xiaoyu, ex capo dell'agenzia preposta ai controlli di qualità su cibi e medicinali. La sentenza di primo grado, emessa alla fine di maggio, è stata confermata con velocita supersonica da altre due Corti per far cadere la testa dell'ex potente nel momento di massima difficoltà per Pechino. Zheng era accusato d'aver incassato tangenti da aziende che hanno messo in commercio farmaci taroccati. Accusa quasi sicuramente vera, il che non toglie che sia stato il classico capro espiatorio.

La condanna di Zheng è stata accompagna dall'annuncio di restrizioni sulle licenze per i farmaci e del ritiro di alimenti non a norma. Ma agli annunci non sempre seguono i fatti e comunque bonificare il settore in Cina è impresa titanica. Nel 2005 un terzo delle aziende alimentari cinesi operava senza licenza e il 60% non effettuava test di sicurezza sui suoi prodotti.
Per tornare ai giocattoli, si stima che siano made in China due terzi dei giocattoli prodotti nel mondo.

Mattel ha una cinquantina di stalimenti in Cina. Ma il grosso della produzione dei giocattoli avviene ancora in una miriade di fabbrichette e di laboratori difficili da controllare, ammesso che lo si voglia fare. Mattel ha «richiamato» un milione e mezzo di pupazzetti (nessuno era in vendita in Italia). A giugno RC2 Corp. aveva ritirato dagli scaffali altrettanti trenini prodotti in Cina. Sempre per la stessa ragione: troppo piombo nelle vernici, con rischio di danni neurologici per i bambini che, si sa, mettono in bocca dita e giocattoli. Interpellato dalla Reuters, Feng Guoqiang, pediatra dell'Unversità di Pechino, vede il rischio per i bambini ma lo moltiplica anche per gli adulti:

«In Cina il piombo è dappertutto, nelle vernici domestiche, nelle vecchie tubature, nelle fabbriche». Detto altrimenti: i cinesi accettano di vivere tra schifezze che gli occidentali ricchi rifiutano. Il punto è che buona parte di quel che si produce in Cina lo comprano e lo usano americani ed europei. Per questo la Cina sarà obbligata ad alzare qualità e controlli sulle merci che esporta. Il che farà aumentare, anche se di poco, i prezzi. Se non lo farà, darà un'arma in mano a chi nella Ue e negli Usa spinge per imbrigliare con quote e dazi le importazioni dalla Cina. Discorsi un po' a babbo morto perchè ormai la Cina ha dispiegato il suo dominio commerciale sul mondo, è in grado di differenziare sempre più l'offerta: prodotti di qualità per i paesi ricchi, scadenti per quelli poveri.

Il vero problema della Cina non è la qualità delle merci, ma la devastazione ambientale (che si combina con la fame di fonti energetiche). Il grande balzo in avanti ha ridotto in uno stato pietoso aria e acque. E' di ieri l'ultimo allarme: c'è troppo arsenico nel fiume Chongan, nella provincia sud-occidentale del Guizhou. Ce l'ha buttato una fabbrica di fertilizzanti, un'azienda a capitale misto attiva dal 2002. Le concentrazioni di fosfati nelle acque del fiume superano di 300 volte i limiti tollerati. Adesso si è aggiunto l'arsenico.

Il 70% dei fiumi e dei laghi cinesi è inquinato.

diManuela Cartosio

fonte:ilmanifesto.it