Gli dèi dell’antico Egitto

Gli dèi dell’antico Egitto

Dei EgiziGli dèi Egizi. La scena teologica egizia a prima vista sembra complessa, invece non lo è. È essenziale tener presente che stiamo trattando due gruppi (o strati): quello delle divinità primitive e naturali dell’Africa settentrionale e quello delle divinità archetipiche dalle quali esse probabilmente vennero assorbite.

Col tempo sovrapposero alle teologie esistenti i loro dèi tribali numerosi popoli conquistatori, per cui nacque quello che potrebbe sembrare un guazzabuglio politeistico.

Ma anche nel passato remoto esistevano anime illuminate che sapevano separare il grano dal loglio, come dimostrano le tradizioni e i frammenti che sono giunti fino a noi attraverso i secoli. Naturalmente la magia egizia e il culto che l’accompagna lasciano a desiderare. Ma quale sistema è perfetto?

Alcune parti del pantheon egizio sono conformi ai modelli archetipici di altre culture antiche, altre parti no. Esistono aspetti che, come vedremo meglio in seguito, non rientrano nelle corrispondenze generali. Naturalmente un archetipo che si manifesta attraverso una data civiltà o cultura finisce per ricoprirsi della patina dell’individualità del popolo che lo adotta.

Cosí un archetipo materno in una cultura ad orientamento patriarcale tenderebbe a manifestarsi sotto forme diverse da quelle che assumerebbe in una cultura matriarcale, dove potrebbe acquisire l’identità della dèa della sapienza, o da quella che assumerebbe in una società neutrale (equilibrata), dove potrebbe figurare anche in forma maschile.

Tenendo presente tutto ciò esaminiamo le memorie giunte fino a noi di una delle città piú antiche d’Egitto, Heliopolis (Eliopoli), un nome che sembra avere connotazioni solari sia nella lingua egizia che in quella greca e che potrebbe avere un’origine comune. Qui incontriamo un gruppo di dèi importantissimo, definito Enneade, l’Enneade Divina di Eliopoli. Ma è necessario risalire a un’antichità ancora piú remota per scoprire la famiglia degli dèi dalla quale l’enneade eliopolitana ha tratto origine. La prima di queste divinità ancestrali ad essere menzionata è una personalità astratta conosciuta coi nomi di Atum o Tem, immaginata come una sorta di spirito senza forma, esistente prima della creazione della Terra.

Gli antichi Egizi erano maestri insuperati nell’accoppiare o sposare i loro dèi. Secondo loro non stava bene che una divinità venerata non avesse un compagno, un marito, o quel che sia; e se potevano aggiungere la prole, tanto meglio. Cosí Atum era debitamente ammogliato con una dea, anch’essa astratta, di nome Nebhet-Hotep, che, come si conviene, gli aveva dato le gemelle Shu e Tefnut. Shu veniva abitualmente raffigurata con sembianze umane, Tefnut, sua sorella, con sembianze leonine. Secondo alcuni autori erano entrambe divinità originariamente leonine, e precisamente, le divinità che montavano la guardia ai cancelli del regno di Osiride.

I cultori di scienze esoteriche ci direbbero senza dubbio che la leggenda sulla mescolanza dei due principi fondamentali è in rapporto con altre due schiatte archetipiche, quelle partecipi della crescita e dello sviluppo del nostro sistema solare; mentre altre teorie ancora piú spinte vi ravvisano esseri dotati di un’intelligenza superiore e detentori di conoscenze tecnologiche avanzatissime, provenienti dallo spazio, dall’aspetto diverso dal nostro.

Secondo un’altra ipotesi Atum e la sua amata erano concetti puramente teologici e la loro progenie leonina rappresentava la forza che i fedeli che ne invocavano la protezione aspiravano ad acquistare.

Facendo un passo avanti, o meglio scendendo dalle nuvole, arriviamo al più conosciuto degli dèi egizi, a Ra o Re, creatore e sovrano del cielo.

L’oggetto a lui sacro era l’obelisco, ben-ben, e il tempio a lui dedicato era detto « luogo dell’obelisco ». Secondo la leggenda, Ra si manifestò sulla Terra sotto forma di obelisco e poté immettere l’intelligenza nella creazione grazie ad esso. La « creazione » non è limitata alla Terra ma comprende un’area molto piú vasta.

Molti hanno creduto che Atum o Ra fossero lo stesso dio, che Ra fosse soltanto una versione piú manifesta di Atum. Secondo una leggenda questo dio all’inizio visse nel loto primordiale, nell’oceano primordiale, detto Nun. Ma un giorno, stanco dell’acqua, emerse in tutto il suo splendore sotto forma di Ra. E dopo aver generato Shu e Tefnut avrebbe assunto il ruolo di « padre celeste ».

Fatto interessante, in questa cosmogonia è possibile ravvisare qualche dato scientifico: la sequenza atomica dall’idrogeno all’elio, per esempio, o il passaggio dalla vita nel mare a quella sulla terra. Chi ha il tempo e il desiderio di esaminare questi principi in una luce piú scientifica può attingere una quantità di informazioni da altre fonti. In questo libro, che è un trattato di magia, io non posso indulgere a ulteriori digressioni.

Shu e Tefnut si unirono per generare gli dèi Geb e Nut (Terra e Cielo), e infine dall’alleanza di Geb e Nut ebbero origine Iside e famiglia, il che ci riporta all’enneade di Eliopoli. Questo gruppo di dèi viene rappresentato con forme e nomi diversi. In una memoria vengono citati coi nomi di Ra, Shu, Tefnut, Geb, Nut, Osiris (Osiride), Isis (Iside), in un’altra coi nomi di Thoth, Horus, Bast, Anubis, Osiris, Isis, Nephtys, Ptah e Hathor/Sekhmet. Hathor è enigmatica sotto diversi aspetti.

Alcuni studiosi le attribuiscono il duplice ruolo di mucca benevola e di leonessa vendicativa, altri sostengono che questa dea non ha alcun rapporto con la figura leonina ma è un’antica versione di Bast. Per quanto mi risulta, gli influssi di Bast e di Hathor sono completamente diversi; ma tratterò questo argomento nella seconda parte del libro.

Intorno ai primi dèi egizi è stata intessuta una storia molto precisa; e per ricostruirla dobbiamo ritornare a Ra, a quanto gli accadde prima che comparisse sulla scena Iside e relativa prole. La leggenda narra che Ra finché era giovane e forte regnò pacificamente su tutta la creazione, ma quando diventò vecchio fu sopraffatto da un gruppo di dissidenti. Però non dice chi essi fossero e donde fossero piovuti; comunque lascia supporre che non fossero esseri terrestri.

Sarebbe avvenuto un dramma cosmologico. Questa ribellione irritò il dio al punto che fini per sguinzagliare contro i rivoltosi Sekhmet (la dea leonessa che secondo alcuni sarebbe un aspetto di Hathor), il suo occhio divino, che qui figura come figlia di Ra. Sekhmet seminò stragi a non finire tra i malvagi, finché Ra, temendo che potesse esagerare e distruggesse del tutto la sua opera, la richiamò. Sul modo in cui venne convinta a ritirarsi esistono varie versioni, ma poiché per il ruolo archetipico della dea non sono rilevanti, non vale la pena menzionarle.

L’ingratitudine degli esseri che egli aveva creato fece nascere in Ra un profondo disgusto per il mondo, per cui si ritirò in Cielo: per ordine di Nun la dea Nut si tramutò in giovenca e lo portò in groppa nella volta del Cielo; e in quel momento ebbe inizio il mondo presente, si originò la nostra Terra.

Possiamo dedurre da questa storia che la leggenda sia in rapporto con un altro sistema solare, per esempio col sistema di Sirio ipotizzato da Temple, col processo di invecchiamento e il successivo collasso del sole secondario (o binario) e col suo definitivo passaggio dallo stato di globo luminoso (simile a quello di Sirio « A ») a quello attuale di « nano bianco »? La leggenda dice anche che nel momento in cui ciò accadde la gente si caricò dell’energia sprigionatasi dalla gigantesca reazione nucleare, che coincise con l’immissione dell’anima nella creazione, e con la vera nascita del nostro sistema solare.

È sempre bene considerare ogni superstizione una corruzione dovuta al tempo di un fatto scientifico del passato; dopo tutto la storia lascia aperti molti problemi sull’evoluzione e sullo sviluppo dell’homo sapiens ed è sempre essa ad illuminarci sull’origine della vita nella notte dei tempi. Come noi oggi ridiamo della concezione vittoriana del mito di « Adamo ed Eva », di un fatto che sarebbe avvenuto intorno al 4000 a.C., cosí sorrideranno della nostra ignoranza, nei loro libri di storia ricchi di rappresentazioni risalenti ai periodi stellari (avanzate al punto che il nostro limitato pensiero ne verrebbe sconcertato), i nostri posteri.

Ra, in una forma o nell’altra, sembra emergere di continuo nella teologia egizia. Le generazioni successive videro l’incarnazione della suprema divinità solare in Osiride; per cui Horus, in quanto figlio di Osiride, assunse un ruolo simile a quello di certi dèi delle religioni orientali che ogni tanto si manifestano sotto forma di maestri o di redentori. Oltre ai dissidenti sopra menzionati l’unico vero nemico di Ra, era il serpente Apep, rappresentazione, senza dubbio, dell’eterna forza del male e delle tenebre.

Ma inizialmente Ra veniva difeso da queste malvagità da sua figlia Bast, la dea gatta. Fatto degno di nota, nei testi antichi figurano come figlie di Ra sia Bast che Sekhmet, mentre in seguito Bast appare come gemella di Horus e quindi come figlia di Iside e Osiride. È evidente che abbiamo a che fare con lo stesso principio definito con nomi diversi.

Eliopoli era la città sacra al dio Sole, di qui il suo nome. Oltre ai nove dèi (o enneade) già nominati la religione di Eliopoli contemplava parecchi altri dèi. Forse erano soltanto divinità minori, locali, simili agli dèi pagani che il cristianesimo utilizzò per diffondere la propria dottrina nei primi secoli dopo Cristo. La storia della famiglia di Ra continua attraverso Shu e Tefnut per terminare con Iside e relativa stirpe.

Shu e sua sorella Tefnut erano gemelle. Shu era l’Atlante d’Egitto, cioè aveva il compito di sorreggere il Cielo; ma quando sarà chiamata Anhur verrà raffigurata anche come un guerriero. Tefnut, la leonessa, era la dea del sole e della rugiada; secondo la leggenda riceveva il sole appena nato ogni mattina.

I figli di Shu e Tefnut, Geb e Nut, evidentemente rovesciarono Ra, loro nonno; in che modo non è detto. Il vecchio dio nella sua ira decretò che non dovessero generare figli in nessun mese dell’anno, per cui la coppia, angosciatissima, cercò l’aiuto di Thoth, il mago. Preso da compassione per la loro pena Thoth sfidò la Luna al gioco della dama e nel corso di piú partite vinse una settantaduesima parte della luce della Luna, con la quale compose cinque giorni supplementari. Poiché questi giorni non facevano parte del calendario ufficiale egizio, che era di 360 giorni, Nut poté dar vita a cinque figli: Osiride, Iside, Horus, Nephthys e Set.

Una storia affascinante che per il ricercatore rappresenta una formidabile sfida. A me vien fatto di pensare che Geb (il cielo) e Nut (la terra) siano usciti in qualche modo dall’allineamento col Sole che impediva al pianeta di occupare un’orbita piú produttiva e piú stabile. Li aiutò in questa impresa Thoth, « deva » del tempo e della magia e conservatore delle memorie akashiche, ma per farlo dovette imbrogliare la Luna mediante giochi di destrezza. Ne sarebbe conseguito un leggero cambiamento dell’angolazione della Terra rispetto al Sole e quindi l’aumento dell’anno da 360 a 365 giorni.

I calendari antichi riportano un periodo nel quale il Sole sorgeva e tramontava in punti diversi da quelli che osserviamo oggi, quindi il mito sembrerebbe riflettere un’epoca della storia della Terra nella quale ebbe luogo un cambiamento della sua rotazione intorno al proprio asse, probabilmente accompagnato da inondazioni e da drammatiche modificazioni del clima in tutto il pianeta – fenomeni ben documentati dai miti e dalle leggende della maggior parte dei paesi. Gli Egizi non fecero che osservare e tramutare in storia una serie di modificazioni cosmologiche coinvolgenti la Luna e responsabili forse dell’inizio di una nuova èra nella storia e nell’evoluzione del pianeta.

Secondo molti studiosi dell’occulto l’inclusione dei giorni supplementari coinciderebbe con la sommersione dell’Atlantide e i cinque dèi sarebbero i governanti immigrati che insegnarono agli indigeni tutto ciò che abbiamo detto e poi se ne andarono. Ma l’altra scuola di pensiero sosterrebbe senza dubbio che si trattava di divinità spaziali sopraggiunte in quel periodo critico per riportare la civiltà e fare un po’ di « ingegneria genetica », per poi ritornare subito nel sistema di Sirio, o chissà dove, con la loro cosmonave. « Paga il tuo debito e vattene », come si suol dire.

Questo mi conduce al gruppo di divinità piú importanti del pantheon egizio, ai principi che costituiscono la base della magia egizia.

Osiris (Osiride). I Greci lo chiamavano Plutone o Dioniso. Era un dio della natura e un re, il signore dell’universo. Secondo la tradizione abolí il cannibalismo, insegnò la religione solare, insegnò agli uomini a produrre il grano ecc., costruí templi con belle immagini e istituí leggi (religiose) severe. Inoltre fondò città, diede al genere umano la civiltà e inventò due tipi di flauto per accompagnare i canti cerimoniali. Nei suoi viaggi era sempre accompagnato da Thoth, il suo « gran visir », e da suo nipote (secondo alcuni suo figlio) Anubis. Iside era sua moglie e Horus suo figlio.

Osiride viene sempre raffigurato con il volto verdastro e vestito di bianco. Regge un bastone col manico ricurvo (pastorale) e il coreggiato, insegne dell’ordine e della disciplina, e qualche volta è ritratto assiso in trono, circondato dall’acqua dalla quale nasce il loto primordiale. Il suo simbolo è il djed, o tet, un albero stilizzato.

Isis (Iside) o Aset (Isis è la versione greca di Aset), che significa semplicemente trono, il simbolo che questa dea porta sul capo: come il suo consorte era altamente civilizzata e un’ottima governante. Insegnò agli uomini a coltivare il grano (un grano che le era sacro), a filare, a tessere e a farsi gli abiti. Istituí il matrimonio e insegnò al suo popolo l’arte di guarire le malattie.

Per capire appieno la magia egizia è necessario conoscere la leggenda di Iside e Osiride, perché essa fa da sfondo al sistema magico egizio sin dagli albori della storia. Gli studiosi che propendono per la ricerca scientifica per conoscerne i dettagli sono ricorsi a Plutarco. La leggenda comunque narra essenzialmente quanto segue:

Osiride e sua sorella (moglie) Iside governarono la terra che poi verrà chiamata Egitto. Erano entrambi divinità del Cielo (?), scese sulla Terra per aiutare il genere umano ad evolversi. Osiride aveva un fratello, Set (Typhon), e i due fratelli con le loro mogli, Iside e Nephthys, vivevano in buona armonia ad Abydos. Osiride era molto amato dal popolo, cui aveva portato salute e benessere e aveva insegnato le arti della civilizzazione.

Mentre era in viaggio in Asia per visitarne la parte sud-orientale (alcuni dicono l’India) insieme alla moglie, improvvisamente Osiride fu richiamato in patria dal fratello. Durante la sua assenza Set insieme ad altri settantadue (di nuovo il numero settantadue) aveva cospirato contro di lui e aveva organizzato un banchetto per festeggiare il ritorno a casa del re. Nel corso dei festeggiamenti per far divertire gli invitati fu introdotta una strana cassa; e uno dopo l’altro tutti tentarono di entrarvi, ma soltanto Osiride riuscí a sistemarvisi comodamente.

Dopo di che i cospiratori si affrettarono a chiudere la cassa e a sigillarne il coperchio. La leggenda narra che Osiride entrò nella cassa, o tomba, il 7 athyr (13 novembre), esattamente il giorno e il mese in cui si suppose che Noè sia salito sull’arca. Poi la cassa fu spinta nel Nilo, o nel mare, e l’inondazione la portò a incagliarsi infine tra i rami di un tamerisco.

Iside, che era in visita a Chemnis, ebbe notizia di quanto era accaduto. Richiamò immediatamente suo nipote Anubis e parti alla ricerca del corpo del consorte. A Byblos trovò l’albero, che però era stregato, per cui lei non poté avvicinarsi alla cassa. Mentre la vegliava sopraggiunse il re di Byblos che era alla ricerca di un albero che potesse servire da colonna per il suo palazzo. E scelse proprio quello sul quale si trovava Osiride. Iside, sotto forma di colomba, tentò in tutti i modi di dissuadere gli uomini dall’abbatterlo, ma a nulla valsero le sue grida e i suoi pianti, per cui prese di nuovo sembianze umane e si recò al palazzo, dove divenne la balia del figlio della regina.

Essendo entrata nelle grazie dei suoi padroni, Iside riuscí a neutralizzare il maleficio di Set e ad assicurarsi la cassa. Ma i suoi guai non erano ancora finiti. Set, venuto a conoscenza di quanto Iside aveva fatto, mentre ella dormiva trafugò la cassa, l’apri, fece a pezzi il corpo di Osiride (14 pezzi) e li disperse in luoghi diversi. Allora Iside si mise alla ricerca di ogni singolo pezzo. Con sua sorella Nephthys e suo nipote Anubis andò in ogni luogo finché riuscí a trovare tutti i pezzi, tranne il fallo. Era stato divorato da un ossirinco, secondo altri da un ragno.

Pertanto Iside costruí un simulacro di legno a forma di fallo e portò il corpo intero ad Abydos per seppellirlo. Insieme a sua sorella Nephthys, suo nipote Anubis, e Thoth, suo zio, pianse amaramente sul consorte morto e cantò salmi magici. Le lacrime e le preghiere e i poteri occulti di Thoth furono cosí efficaci che il membro di Osiride diede segni di vita e fecondò Iside, la sua fedele consorte. Indi Osiride ascese in Cielo, dall’alto del quale continuò a vegliare su Iside mentre portava in grembo e poi dava alla luce il suo unico figlio maschio, Horus.

Benché questa parte della leggenda dica che Horus fu concepito in questo modo prodigioso, in altri testi egli risulta essere semplicemente la reincarnazione del proprio padre; e in altri scritti si legge che fu concepito da Iside e Osiride mentre erano ancora nel grembo della loro madre e non erano ancora nati. Questa ultima ipotesi piacerà senza dubbio a coloro che vogliono la famiglia osiriaca piovuta dallo spazio, insieme al bambino, a bordo di un UFO.

Ma ritorniamo al mito: Set, resosi conto che il figlio di Iside sarebbe stato il vendicatore del padre, decise di eliminarli entrambi. Ma Iside, con l’aiuto della magia, riuscí a sottrarsi alle sue grinfie. Secondo alcuni andò a vivere sul Sole, secondo altri andò ad abitare in riva al mare, protetta dalle ninfe. Una storia meno fantasiosa dice che trovò rifugio sull’isoletta di un lago nei pressi di Buto, dove mise al mondo il figlio. In solitudine allevò il figlio, che nei primi anni di vita era cagionevole di salute, ma poi crescendo mi irrobustí. Diventato uomo, Horus provvide a regolare i conti con Set. Nella piana al di là di Siout ebbe luogo uno scontro violento e Horus ne uscì vittorioso.

Restituí il trono ad Iside, ma la dea lo rifiutò per affidare la carica al figlio. Poi ritornò in Cielo, dove si riuní allo spirito del suo sposo. Horus prese in moglie Hathor, secondo altri Bast, la sua gemella, dopo di che tutti vissero per sempre felici e contenti. Nonostante la vittoria di Horus gli Egizi continuavano a temere Set, che identificavano col male, il loro « diavolo ». Sotto le spoglie del serpente Typhon — nemico di Ra — esso viene spesso raffigurato mentre fugge da Horus che lo insegue armato di una lancia, come San Giorgio, o mentre viene fatto a pezzi con un coltellaccio da Bast, sotto forma di gatta, sorella di Horus.

Poiché tutta questa storia abbraccerebbe uno spazio di tempo enorme molti studiosi pensano che rifletta l’intera storia del nostro pianeta e non soltanto fatti avvenuti nell’antico Egitto. L’eone di Horus è l’Era Acquariana, dicono i mistici, un’èra nella quale il figlio di Iside ritornerà per vendicare il proprio padre, eliminare Set e portare pace, luce e amore a tutto il genere umano. Tutto questo ci piace! Le nostre sofferenze dei secoli scorsi corrispondono alle peregrinazioni di Iside in luoghi selvaggi mentre Horus cresceva in forza e saggezza. Visto in questa luce, tutto appare molto promettente.

I quattordici pezzi di Osiride dei quali Iside va alla ricerca potrebbero corrispondere ai centri di energia o chakra della Terra, o a quelle « capsule del tempo », di cui tanto si discute, che dovrebbero venire alla luce in determinate epoche della storia della Terra. Il mito può essere interpretato in mille modi, quindi, prima di addentrarci ulteriormente nei dettagli, ritorniamo alla descrizione degli dèi e dei loro attributi.

Iside era una maga, probabilmente archetipo della grande sacerdotessa dei tarocchi. Aveva appreso le arti magiche da Thoth, oppure, secondo un’altra versione, ne aveva carpiti i segreti allo stesso Ra con un trucco, inducendolo cioè a rivelarle il suo nome e cosi acquisendo tutta la sua sapienza. Della magia dei nomi abbiamo già detto, perciò è facile capire come sia nata questa idea. Iside e Hathor spesso vengono confuse. Le rappresentazioni piú antiche di Iside la ritraggono — come è giusto — col trono in capo a mo’ di corona. Il disco, provviso di corna, è il simbolo di Hathor e figura come attributo di Iside solo in epoca posteriore. I simboli di Iside sono il trono, il nodo o fibbia e il sistro; quest’ultimo lo ha in comune con Hathor e Bast. Il suo colore è il celeste pallido.

Set, fratello di Osiride e Iside, era il « cattivo » per gli antichi Egizi. Era rappresentato coi capelli rossi, per cui il rosso era ritenuto un colore negativo nella magia egizia e non veniva mai usato nel servizio della luce. Indicava le forze del caos e della distruzione, o della magia negativa. Era la manifestazione di Apep o di Typhon, nemici del potere della luce. Nella pratica magica Set è considerato l’aspetto negativo di ciascuna delle altre forze. In altri termini Set è l’antipotere che, se non viene contrastato, cancellerà o distruggerà ogni forma emergente.

Nephthys, nella quale i Greci vedono talvolta Afrodite (Venere), era la sorella e moglie di Set, che però non lo aiutò a perseguitare Osiride. Infatti lo abbandonò per sposare la causa di Iside. Secondo alcune fonti sedusse Osiride per avere un figlio e da questa unione nacque Anubis (sembra che Iside non ne sapesse nulla).

In realtà questo ci dice che i principi rappresentati da queste forze, se uniti, producono un terzo principio. Osiride rappresentava la luce e la verità e Nephthys la recettività psichica, rivelatrice. I maghi egizi constatarono semplicemente che quando la luce e la verità si uniscono alla rivelazione nasce una forza che redime dalle tenebre degli inferi. In altri termini per poter abbandonare il regno segreto degli stati di coscienza alterata dobbiamo sviluppare in noi l’Anubis.

Nephthys è la custode delle cose nascoste e occulte, cioè di ogni tipo di invisibilità o di oscurità. Dovrebbero sceglierla come dea da tutelare le persone che desiderano mantenere l’anonimato. Il suo colore è il verde pallido o l’argento e i suoi simboli sono il loto e la tazza o calice. Il suo nome egiziano è Nebhet e viene rappresentata con una cesta o recipiente in testa. È considerata una dea « oscura », e alcuni autori la ritengono l’aspetto nascosto di Iside, non un archetipo a sé stante, individuale e autonomo, cosa, a mio avviso, sbagliata. Bisogna stare comunque attenti a non confondere l’idea del significato di « oscuro », « buio », con la connotazione negativa che il termine può avere per i credenti piú ortodossi.

Horus. Secondo alcuni studiosi esistono due Horus: uno equivalente a Shu, l’altro al figlio di Iside. Abbiamo senza dubbio a che fare con lo stesso archetipo; le differenze sono dovute alle interpretazioni locali. Horus corrisponde all’Apollo greco, e il suo colore è il giallo chiaro o oro. Figura in varie forme archetipiche: come guerriero che vendica la morte del padre, come sommo maestro di profezia, come protettore di tutte le cose belle. La profezia secondo la quale Horus ritornerà per restaurare il ciclo solare del padre con l’aiuto di sua moglie Hathor/Sekhmet o di Bast rispecchierebbe l’avvento dell’Era Acquariana. I suoi simboli sono lo sparviero e l’occhio onniveggente. È associata a lui anche la famiglia dei gatti; infatti Bast era ritenuta sua sorella gemella.

Hathor (Athyr), equiparata anch’essa ad Afrodite, era la figlia di Ra, detentrice del suo occhio divino. Hathor era una dea dal duplice aspetto: quale benevola mucca celeste era ritenuta la nutrice degli dèi, protettrice delle donne, patrona dell’arte dell’astrologia e dispensatrice degli agi della vita. Era detta anche « signora del sicomoro », e si credeva che presiedesse a tutti gli aspetti della bellezza muliebre: il trucco, gli ornamenti, i gioielli, eccetera. Invece secondo alcuni autori Hathor ha un altro aspetto. Quale Sekhmet sarebbe una dea dalla testa leonina. Forse gli antichi cercavano semplicemente di farci capire che l’energia, se applicata costruttivamente può giovare, mentre se usata distruttivamente può nuocere e annientare.

Come la maggior parte delle dee guerriere (antitetiche agli dèi guerrieri) tendeva a combattere solo a scopo di difesa, o per riparare a un’ingiustizia a vantaggio di chi amava, caratteristica tipica anche della dea greca Atena (Sapienza), la piú potente di tutte le guerriere. È un altro modo per dire che la sapienza in fondo è superiore alla forza. Anche sotto le spoglie di Sekhmet questa dea poteva essere benevola e giusta; è come la donna dalla testa leonina che figura talvolta nella triade di Memphis insieme a Ptah e a Imhotep (o Nefertum), dio della medicina. Da un documento apprendiamo che il suo culto era tanto antico che nel 3500 a.C., quando Cheope restaurò il suo tempio a Denderah, quest’ultimo cadeva a pezzi… I suoi colori sono il rosa corallo, il rosa pesca e il rame. Gli oggetti a lei sacri sono lo specchio o scudo e il sistro, che divide con Iside.

Anubis, il tramite fra questo mondo e il futuro, viene rappresentato di solito come un cane da caccia egizio di colore scuro, o come uno sciacallo. Difende tradizionalmente le forze dell’astrale inferiore e possiede in parte la natura di Cerbero. Protettore degli anestesisti, degli psichiatri e di tutti coloro che cercano cose e persone perdute, Anubis, il cane-guida, indirizza i « cercatori » alla propria madre, Nephthys, la rivelatrice, o ad Osiride, nelle sale del giudizio.

Lo si invocava abitualmente prima di qualsiasi tipo di intervento medico o chirurgico che richiedesse la perdita della coscienza, perché si riteneva che questo dio proteggesse lo spirito, o ba, mentre era lontano dal corpo (il suo involucro fisico) e lo aiutasse a ritornare dentro di esso dopo il trattamento terapeutico. Il suo colore è il terracotta e il suo simbolo il sarcofago o cassa (che qualche volta è rappresentato come una scatola o una colonna).

Thoth, o Tehuti, uno degli antichi dèi egizi piú interessanti, figura spesso come lo zio della famiglia. In alcune rappresentazioni ha le sembianze di un babbuino con la testa di cane, ma piú spesso ha l’aspetto di un uomo con la testa di ibis. Thoth è il dio della medicina e figura come figlio di Nun, per cui sarebbe fratello di Ra. Sono ovvie le connessioni con un altro sistema solare. Un’altra leggenda dice che alla sua parola apparvero quattro dèi e dee e che fu lui a pronunciare le parole sacre che liberarono in Ptah l’energia necessaria per compiere la creazione dell’universo. (Riflessi del Vangelo di Giovanni: « In principio era il Verbo »).

Nel Libro delle piramidi, uno dei piú antichi menzionati nei documenti, si legge che Thoth era il figlio primogenito di Ra; in altri testi risulta essere il fratello di Iside e di Osiride, è detto che la sua voce era dotata di poteri magici; che fu lui, quale giudice divino, a legiferare in favore di Horus contro Set dopo la celebre contesa. Patrono della storia, conservatore degli archivi divini, signore del karma, araldo degli dèi, il suo aspetto femminile è Maat, dea della verità, che spesso ha una personalità autonoma.

Qua e là si legge che aveva sposato Maat, ma secondo un’altra leggenda sua moglie era Seshat, una dea astrale protettrice degli architetti che insegnò agli uomini a costruire con l’aiuto delle stelle. La maggior parte degli studiosi ritiene che tutti questi « dèi » fossero soltanto aspetti dello stesso Thoth e non divinità a sé stanti. I suoi simboli erano la penna bianca e il caduceo, il suo colore l’ametista e l’uccello a lui sacro era l’ibis.

Bast, o Bastet/Pasht, che i Greci associavano ad Artemide, è ritenuta anche un aspetto di Tefnut o di Sekhmet. Poiché è moglie di Ptah, esiste una chiara connessione fra Bast e le divinità dalla testa leonina. I sacerdoti egizi la ritenevano sorella di Horus e figlia di Iside e Osiride. Bast, come Horus, era una dea della musica e della danza. La forma piú antica del suo nome, menzionata in documenti che risalgono al 3000 a.C., è « Pasht ». Però il suo culto fiorì nelle dinastie successive, e le cerimonie di Bubastis sono narrate da Erodoto.

La Triade di Memphis

Nell’antichità Memphis era importantissima e le sue discipline occulte sono giunte fino ai nostri giorni. La triade di Memphis era costituita da Ptah, Sekhmet (o Bast) e Nefertum/Imhotep.

Ptah. Questo benevolo dio era patrono dei costruttori e degli artigiani e il suo titolo di « architetto dell’universo » parla chiaramente dell’esistenza di associazioni « massoniche » già in quei tempi. Operava miracoli ed era molto amato dalla gente comune. Alcuni lo ritengono un aspetto di Osiride, io invece lo considero un archetipo a sé. I suoi simboli sono gli strumenti del muratore e la corda.

Sekhmet, sua moglie, viene rappresentata con la testa di leonessa e il disco del Sole a mo’ di corona. Come abbiamo già detto, figura anche come Hathor, la nutrice, mentre come leonessa è la sposa di Ptah. Alcuni pensano che Sekhmet e Bast rappresentino lo stesso archetipo. Se cosí fosse, non sarebbe piú enigmatica la sigizia Horus/Hathor, marito e moglie, e Horus/Bast, fratello e sorella. Mi limiterò ad esporre le prove di cui disponiamo; passeremo all’applicazione del principio quando parleremo della magia pratica.

Nefertum, figlio di Ptah e di Sekhmet, porta sul capo un loto. Secondo la leggenda vegliava sul Sole durante la notte. Piú tardi la sua posizione di terzo membro della triade fu usurpata da Imhotep, il dio medico. I Greci ritenevano che Imhotep equivalesse al loro Esculapio o anche ad Ermete; e reperti archeologici sembrano provare la reale esistenza di una persona con questo nome e questi attributi che fu sepolta con grande pompa e poi deificata, allo stesso modo in cui i cristiani canonizzano i loro santi per i miracoli compiuti dalle loro reliquie.

La Triade Tebana

Un gruppo di dèi importantissimo, questo, che ha influenzato in forte misura la storia dell’Egitto. Era costituito da Amon (Amen o Amun), Mut, sua consorte, e Khonsu, loro figlio.

Amon veniva identificato dai Greci con Zeus. Fu adottato dai Tebani da fonti piú umili. Secondo alcuni fu introdotto in Egitto dagli Hyksos, perciò corrisponderebbe a Jehovah o Jahvé; secondo altri Tebe in passato era un villaggio e Amon era la sua primitiva divinità locale. Durante la famosa XVIII dinastia Amon regnò supremo, il suo nome veniva associato a quello del faraone regnante ad indicare l’estrazione divina del re. L’unica eccezione è rappresentata da Amenhotep VI, successivamente chiamato Akhanaton, che non approvava Amon e tentò con durezza di eliminarne il culto dal sistema religioso corrente.

La sua divinità era Aten, un concetto astratto i rappresentato dal disco del Sole, e il suo celebre « inno ad Aten » è considerato uno dei capolavori della poesia antica. Akhanaton morì in circostanze alquanto sospette, e quando salì al trono suo genero, il famoso Tutankhamen, ripresero il controllo della situazione i potenti sacerdoti di Amon, che consentirono alla loro divinità di appropriarsi addirittura del mantello di Ra. Amon viene rappresentato con la testa di ariete (Era Arietana?), e il suo nome significa « occulto ».

Mut, consorte di Amon, veniva identificata dai Greci con la loro Era. Ma in realtà è una divinità scarsamente definita il cui nome significa semplicemente « madre ».

Khonsu, il navigatore, sembra venisse adottato da Amon e Mut perché non avevano figli propri. Khonsu era un dio benevolo, rinomato per le sue capacità terapeutiche e le sue inclinazioni letterarie. Si diceva che la sua statua guarisse i malati. Associato alla Luna, era per natura misericordioso e gentile e in nulla dissimile dal terzo membro della triade di Memphis, Imhotep, del quale aveva senza dubbio assunto i poteri.

Menzionerò alcuni degli altri dèi e dee unicamente a scopo di informazione, perché pochi fra essi hanno ruoli importanti nell’ambito della magia.

Harmarkhis, nome divino della sfinge, sembra fosse un altro aspetto di Horus. Sul significato e sulla funzione della sfinge, sia dal punto di vista metafisico che da quello scientifico, è stato detto tutto e il contrario di tutto. Sembra possedesse forti connotazioni occulte che probabilmente sono associate alla magia siriaca e al remoto rapporto fra gli ominidi e la famiglia dei leoni che predava questo sistema solare da innumerevoli eoni di tempo.

Wepwawet, che viene rappresentato come uno sciacallo, ma completamente diverso da Anubis, aveva un’indole bellicosa e probabilmente rappresentava un concetto primitivo locale le cui vere origini sono ignote.

Nekhebet, corrispondente alla greca Eileithyia, dea del parto, sembrerebbe appartenere alla categoria degli esseri soprannaturali, che erano semplicemente primitive personificazioni di idee o principi.

Buto era la dea serpente alleata di Iside. Trae il nome dal luogo in cui Iside si sarebbe nascosta per sfuggire all’ira di Set. Se ne deduce che abbiamo a che fare semplicemente con un toponimo e non con un concetto teologico vero e proprio.

Mont era un vero « rimasuglio » di tempi antichissimi. Era stato un dio del Sole, Mu-an, il cui culto è stato abbandonato molto presto.

Neith era la patrona di Sais; il suo segno, le frecce che trafiggono una pelle di animale, indusse i Greci a collegarla con Atena. Divinità antichissima, Neith molto probabilmente coincideva con Nut, o addirittura con Iside. Altro simbolo a lei sacro era la spola.

Knumm, rappresentato talvolta come un ariete o un capro, era il vasaio divino che aveva costruito il mondo; un dio amatissimo, bravo e costruttivo. Dobbiamo supporre che fosse un aspetto di Ptah, cui venne dato un nome locale.

Harsaphes veniva anch’esso rappresentato con la testa di ariete, il che lo colloca nell’Era Arietana. Insieme alle mogli, Sati e Anuket, anche questo dio corrisponde a un’entità primitiva locale penetrata in una teologia piú sofisticata.

Min veniva associato sia a Pan che a Horus. Era un dio della vegetazione e il suo emblema era il fulmine, sebbene fosse essenzialmente un dio della fertilità e non avesse alcun rapporto con Zeus.

Hapi era il nome divino del Nilo; Apet era la dea ippopotamo protettrice della maternità; Heket era una dea rana protettrice delle levatrici.

Le Hathor, che non avevano alcun rapporto con la dea omonima, erano benevole madrine che facevano la loro comparsa alla nascita delle persone famose o destinate ad avere un destino straordinario. Corrispondono agli angeli « annunzianti » dei cristiani.

Shai in realtà non era una dea ma il nome con cui veniva designato il destino.

Renenet era un’antica divinità Mu-an: si riteneva che nutrisse i neonati durante il periodo dell’allattamento.

Khepera, lo scarabeo, era il dio della trasformazione, probabilmente un concetto puramente teologico personificato per essere reso comprensibile a un popolo primitivo. Lo scarabeo ha assunto spesso un significato magico, perché i non-iniziati vedevano nelle sue abitudini sessuali qualcosa di misterioso.

Renpet era la dea della primavera e della crescita; Bes, giullare degli dèi, un nano della cui deformità le persone meno illuminate potevano trarre spunto per ridere, risale con sicurezza a tempi molto antichi nei quali il gruppo Iside/Osiride era essenzialmente benevolo.

Selket, la dea scorpione, era la protettrice dei coniugi.

I quattro figli di Horus erano in realtà i quattro elementi. Erano nati in un loto e figuravano sempre nelle scene del giudizio, con Osiride; avevano il compito di giudicare come l’anima aveva trattato i quattro elementi durante la vita. I loro nomi erano:

Imsety (con testa umana) – acqua;

H’api (con testa di scimmia) – terra;

Duamutef (con testa di sciacallo) – fuoco;

Qebhsnuf (con testa di sparviero) – aria.

Ament, benché incluso fra gli dèi egizi, era in realtà una divinità libica.

Mertseger non era affatto un dio; il suo nome significa semplicemente « silenzio ».

Maat, come abbiamo già detto, rappresenta il concetto teologico di verità, simboleggiato dalla penna. Probabilmente un aspetto femminile di Thoth o Tehuti.

Nehet significa « eternità ».

Esistevano molti animali sacri; il piú famoso probabilmente è il toro di Apis. Ritenuto la personificazione di Osiride, Apis fu molto onorato in epoca piú tarda perché era anche il capro di Mendes e la gru. Ma tutte queste creature erano senza dubbio portatrici degli emblemi dei vari « distretti » in cui era diviso il paese prima della sua unificazione.

Esistono molti libri sugli dèi, le loro numerose leggende e la loro storia. Io qui non ho la possibilità di soffermarmi piú a lungo su questi argomenti. Coloro che desiderano conoscere maggiori dettagli in materia sappiano che le biblioteche pubbliche sono ben fornite di opere importanti.

La mia trattazione degli dèi è stata breve e concisa; vuol essere semplicemente una guida per capire meglio le reali forze magiche dell’antico Egitto e come esse possano venir distinte dalla magia locale, naturale. Ovviamente tutti i sistemi magici hanno i loro elementi di efficacia, ma in Egitto, come vedremo, abbiamo a che fare con qualcosa di piú.

societa-ermetica.it