Glioblastoma: veicolare i farmaci con ultrasuoni

Glioblastoma: veicolare i farmaci con ultrasuoni

barrieraIl primo studio clinico su un dispositivo a ultrasuoni per aprire un varco nella barriera ematoencefalica, e permettere così il passaggio dei farmaci, è stato condotto da un gruppo di neurochirurghi francesi degli Ospedali Universitari Hôpitaux Universitaires La Pitié-Salpêtrière di Parigi.

Il problema da risolvere
La barriera ematoencefalica svolge una funzione protettiva, impedendo l’accesso al cervello di tossine e sostanze pericolose. Lo stesso meccanismo difensivo viene però messo in atto dalle proteine di membrana della barriera anche contro i farmaci. Questo riduce l’efficacia dei trattamenti per le malattie neurologiche o oncologiche: solo una minima percentuale dei farmaci iniettati per via endovenosa o arteriosa raggiunge infatti la sede tumorale.

Aprire un varco nella barriera 
Da tempo si cerca un metodo per attraversare la barriera senza provocare alcun danno permanente a questo meccanismo per consentire il passaggio dei farmaci senza dover ricorrere ad una loro iniezione in loco direttamente nel cervello. E tra le alternative sotto esame rientrano proprio gli ultrasuoni. Un gruppo di ricercatori francesi ha messo a punto un dispositivo a ultrasuoni, chiamato “SonoCloud”, delle dimensioni di 11 mm che, impiantato nel cranio dal neurochirurgo in anestesia locale o nel corso di un intervento di biopsia o di rimozione di un tumore cerebrale, permette di aprire un varco nella barriera. I risultati dello studio, il primo trial clinico condotto su 15 pazienti con glioblastoma, un aggressivo tumore cerebrale, sono apparsi sulla rivista Science Translational Medicine.

Come funziona il dispositivo a ultrasuoni 
I ricercatori hanno combinato l’iniezione endovenosa di microbolle di un gas innocuo (PFC) con gli ultrasuoni. Dopo soli due minuti di somministrazione degli ultrasuoni, generati dal “SonoCloud”, dispositivo prodotto da una spin-off privata, hanno iniettato nei pazienti il trattamento chemioterapico. Ebbene, l’esame di risonanza magnetica con mezzo di contrasto ha rivelato la presenza del farmaco nel tessuto cerebrale tumorale, indice che queste sessioni di ultrasuoni avevano aperto un varco nella barriera ematoencefalica. Alla base del meccanismo vi è l’energia impressa dagli ultrasuoni alle microbolle che, vibrando all’interno dei vasi sanguigni, indeboliscono temporaneamente la barriera per qualche ora. Uno studio clinico di fase III, hanno annunciato gli autori, partirà nel 2017. L’obiettivo è quello di ridurre la dose di farmaci, rendendo temporaneamente permeabile, in modo sicuro e controllato, la barriera ematoencefalica, veicolando i farmaci fin dentro il cervello. Il prossimo passo sarà quello di indagare l’efficacia degli ultrasuoni anche in caso di altre patologie neurologiche e ideare un dispositivo meno invasivo e che non richieda l’impianto.

Nicla Panciera

lastampa.it