Hippies – La storia degli ultimi europei liberi

Hippies - ULTIMI EUROPEI LIBERI A distanza di più di sei lustri dal periodo in cui emerse e scomparve la figura dell’hippie, oggi molti credono che su di lui sia stato detto tutto, ma così non è. In realtà, a quanto mi consta, buona parte di ciò che si è scritto in proposito non lo riguarda. L’hippie, nel suo significato più nobile ed essenziale, non aveva infatti nulla a che vedere con il contestatore di sinistra, studente od operaio, con il reazionario di destra, con l’intellettuale impegnato, con il “drogato” o con il barbone mendicante, e neppure con il presunto artista che, insieme all’acqua sporca dell’ipocrisia culturale dominante, gettava via il bambino della bellezza atemporale.

L’hippie, essendo un uomo del Tao, si muoveva (o, meglio, si muove) fuori dal tempo e da una visione dell’uomo e della vita irriducibilmente fondata sull’ignoranza (avidya). L’illusione della Storia, il moto ondoso dell’apparire e scomparire delle civiltà, la teoria dell’evoluzione, con i suoi derivati, e le varie dottrine evoluzionistiche non gli interessavano; i suoi punti di riferimento fondamentali e fonti di ispirazione erano la Natura e il sapere-saggezza. In questo scorcio di Kali-yuga, egli va pertanto considerato come una testimonianza dell’archetipo dell’uomo irriducibilmente libero (l’Adam Kadmon, l’Uomo universale, il Purusha) o, quantomeno, dell’aspirante alla Liberazione.

La fuga dalle città e dalla vita artificiale moderna

Egli, innanzitutto, rifuggiva le città, considerandole un’espressione della grave malattia nella quale è andata gradatamente cadendo l’umanità; le mura, i grandi agglomerati di case, le strade senza asperità, la ricerca della comodità ad oltranza, un’organizzazione sociale negatrice di ogni dignità e libertà da che cosa nascono, infatti, se non dalla paura della Natura sia nel suo aspetto femminile, che in quello maschile? Nelle città l’individuo, pur essendo circondato da migliaia o milioni di altri suoi simili, vive in una condizione di profondo isolamento ed alienazione che lo impossibilita a comunicare.

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L’uso di piante psicotrope per abbattere le barriere mentali del sistema

Evadere dalla prigione-città non è però facile: per abbattere il muro interno ed esterno in cui il burattino-schiavo dell’Era Oscura si dibatte sono necessarie una grande forza ed una precisa conoscenza sovrasensibile che l’istruzione scolastica e quella religiosa, coadiuvate da un esercito di psichiatri, secondini della mente, hanno vie più tentato di negare e cancellare, soprattutto in Occidente.

Ecco allora apparire provvidenzialmente all’orizzonte, insieme ad altre forme di iniziazione valide ma meno deflagranti e rapide, le medicine estreme delle sostanze psicotrope o “acque corrosive”. Il fatto che siano “estreme” sottolinea subito la loro pericolosità, almeno dal punto di vista dell’identificazione nella soggettività. Esse, se utilizzate in senso liberatorio e sacrale, valgono infatti quali scorciatoie, esplosivi o veleni capaci di abbattere resistenze tenaci, corrodendo una coscienza di sé costipata nello spazio ristrettissimo di una visione di vita, quella moderna occidentale, secondo il cui falso sapere l’uomo si riduce ad essere soltanto un corpo ed una mente dicotomica.

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Quanto sopra non dev’essere interpretato, si badi bene, come un incoraggiamento ad usare in modo superficiale le piante di potere, bensì quale argomentazione a sostegno dell’uso spiritualmente valido che ne fecero gli hippies. Le stesse, infatti, se usate soltanto a fini ludici, vanno né più né meno equiparate alle sigarette, all’alcool, alla televisione, agli psicofarmaci e alle numerose altre “droghe”, più o meno nefaste, spacciate come lecite o illecite, a seconda del tornaconto, nella nostra società.

Hippies - ULTIMI EUROPEI LIBERI - fungo psilocybe fig4Gli hippies comunque non consideravano tutte le sostanze psicotrope valide ai fini della liberazione dall’ignoranza, ma tendevano a prediligere quelle naturali, le stesse usate dai sadhu indiani, con l’esclusione degli oppiacei (in particolare, morfina ed eroina) – che ottundono la coscienza invece di espanderla ed acutizzarla – e in genere di quelle che danno gravi effetti di dipendenza. Tra gli allucinogeni (naturali o sintetici) ebbero grande importanza l’LSD – sostanza semisintetica poiché per produrla è necessario partire sempre dall’alcaloide della segale cornuta –, la datura stramonium o, meglio, inoxia (la varietà più potente che cresce ai tropici) e il fungo psilocybe.

La morfina e l’eroina vennero introdotte negli ambienti dei giovani non omologati dall’establishment con il preciso intento di distruggere e vanificare dall’interno le loro istanze di liberazione. «We can change the world» faceva paura: non si poteva accettare che dal recinto degli schiavi produttori di energia qualcuno fuggisse. Molti caddero nella trappola, ma non tutti. Quei pochi che in India vennero iniziati da autentici Baba all’uso sacrale del chilum si sottrassero all’eccidio. La consapevolezza che il chilum di ganja o l’LSD sono soltanto strumenti, il dito che indica e non la luna indicata, permise a costoro di non affondare nei pantani della dipendenza e di volare leggeri verso il Sole ineffabile.

Gli hippies, ovvero gli ultimi europei liberi

Gli hippies furano gli ultimi occidentali a poter calcare la via dell’Oriente in piena libertà.

Essi amavano sia il viaggio interiore che quello fisico, considerandoli un tutt’uno. Percorsero il lungo tragitto dall’Europa all’India e al Nepal con treni, autobus, automobili o pulmini preparati in modo speciale, o altri mezzi di fortuna, spesso senza denaro e passaporto. I popoli islamici li guardarono con simpatia, intravvedendo in essi consonanze con la follia sufica. L’India del Sanatana-dharma li accettò e Shiva li prese sotto la sua protezione.

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Per quanto mi riguarda, cominciai a “viaggiare” a diciott’anni, nel ’65, allorché, dopo essermi fortunosamente diplomato, me ne andai a Roma in Piazza di Spagna, prima con una vespetta cinquanta e poi in autostop. Colà, i primi “capelloni” italiani cantavano le canzoni dei Rokes, solidarizzavano tra loro, bevevano vino e andavano a dormire a Villa Borghese, senza che Carabinieri o Polizia li disturbassero troppo.

Il mondo Islamico degli anni 70

Insieme a Marina e alla sua bambina di tre anni, partii via terra per l’India. Giunti in Afghanistan, dovemmo però fermarci poiché imperversava l’ennesima guerra fratricida – lascito dei civilissimi inglesi – tra l’India e il Pakistan. L’incontro col mondo islamico fu davvero magico e sorprendente: rendersi conto che esistevano tradizioni e modi di vivere del tutto diversi da quelli occidentali valse quale ulteriore e potente rivelazione. Gli afghani guardavano gli hippies con divertita curiosità e rispetto, ma in loro non albergava alcun senso di inferiorità; quegli uomini e quelle donne (queste ultime ebbi modo di vederle a viso nudo all’interno di alcune case in cui venimmo ospitati) erano manifestamente contenti e fieri della propria tradizione e del proprio stile di vita fermo nel tempo.

Agli ottenebrati che credono nella supremazia assoluta dell’Occidente – prima cristiano e adesso tecnologico e scientifica – sembrerà una cosa assurda, ma per gli hippies era assai più gratificante vivere in mezzo a quella gente semplice e fiera piuttosto che nelle inquinate città dalle quali provenivano. In Afghanistan ci si poteva sedere per terra; si poteva fumare hashish puro in meravigliose pipe ad acqua quanto e dove si voleva, sorseggiando tè verde; quotidianamente si ascoltava e suonava musica per le strade; nel raggio di centinaia di chilometri non si intravedeva la benché minima ombra di fabbriche-prigioni sputaveleni e i mezzi di locomozione continuavano ad essere soprattutto cavalli e cammelli; i cibi erano squisiti ed assolutamente naturali; la vita costava pochissimo; il senso del sacro era vivo e palpabile e non di rado capitava di incontrare occhi accesi da una luce particolare.

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In sostanza, in quel Paese, che la propaganda anglo-americana ci ha di recente dipinto quale emblema delle peggiori barbarie, noi ci sentivamo liberi.

Gli hippies sfidano il sistema rifiutando passaporto e denaro

Fu quindi nell’ottica di un superamento della dicotomia esterno-interno che il passaporto e il denaro – i quali, pur essendo in sé e per sé solo carta straccia o semplici strumenti per nutrirsi e viaggiare, simboleggiavano l’attaccamento ad una identità artificiosa – vennero rifiutati. Basta un attimo di riflessione impersonale per realizzare, almeno intellettualmente, che, prima di essere un nome e cognome (l’onda), siamo l’Io Sono Vita onnipervadente (l’oceano), in sanscrito l’Atman. Non si semina denaro per produrre grano, riso o frutta, e non abbiamo chiesto noi di vivere e di essere quello che siamo; perciò, se esiste uno stomaco preposto a precise funzioni, esisterà necessariamente un cibo adatto a lui.

Hippies - ULTIMI EUROPEI LIBERI fig7Prima di cacciare o di faticare, coltivando la terra, l’uomo si sostentava raccogliendo quello che la Natura gli offriva. Il concetto di lavorare per vivere è dunque assurdo e sbagliato e contrassegna l’Era Oscura nella quale stiamo annaspando. Ne consegue che l’hippie, rigettando passaporto, denaro e lavoro, aspirava, in pieno Kali-yuga, a vivere nel Satya-yuga, l’Era della Verità e della spontaneità.

Parrà strano e persino crudele, ma il mio Maestro mi insegnò che l’attuale genere umano si divide sinteticamente in due categorie: quelli che, essendo soggetti all’ignoranza principiale (avidya), pagano la vita, e quelli che, essendosene liberati coll’abbandonarsi a Shiva – la Realtà indescrivibile e intelligente che si prende cura di se stessa -, ottengono ricchezza e beatitudine senza compiere il minimo sforzo. I sadhu vanno però distinti dai mendicanti e infatti, nell’India tradizionale, offrire loro cibo costituisce un privilegio e fonte di meriti spirituali, non un’elemosina.

La sacra meta degli hippies: l’India

La Verità è semplice ed accessibile a chiunque voglia fermarsi un attimo a considerare la realtà con la mente sgombra da pregiudizi ereditati per karma o assorbiti dall’ambiente. Ed essa è stata custodita sino a non molto tempo fa in India, senza veli. Ecco perché l’hippie riteneva che la mèta per eccellenza del suo peregrinare fosse quella terra.

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Nel mondo islamico o cristiano la Conoscenza non-duale si è sempre dovuta nascondere, pena la morte o l’anatema, ma nell’India eterna circola libera per le strade. Purtroppo non si può dire altrettanto dell’India occidentalizzata, dove l’ipocrisia religiosa, l’immedesimazione nell’apparenza, il miraggio del benessere tecnologico e la parodia della democrazia sono in fortissimo aumento.

Il cancro della cultura occidentale infetta l’Oriente

Ricordo bene come la sera di Natale del ’72, a New Delhi, un folto gruppo di indostani idolatri del mito occidentale, in blue jeans e magliette, irruppe ad Hannuman Park, dove stazionava una colonia di hippies insieme a qualche sadhu, per bastonare, distruggere e incendiare. Io stesso, avendo tentato di recuperare il sacco a pelo che, dopo otto mesi trascorsi senza neppure una coperta, un amico mi aveva regalato il giorno prima, ricevetti tre colpi violentissimi.

Agli occhi di quei fanatici noi rappresentavamo la mano che strappava il velo delle loro illusioni; la nostra sola presenza diceva loro:
Vedete, pur provenendo da quel ricco e progredito occidente al cui stile di vita agognate, noi siamo tornati nella vostra terra a piedi nudi, a torso nudo, senza denaro, per attingere alla sapienza dei sadhu e delle selve che voi stolidamente rifiutate; sappiatelo: la civiltà occidentale moderna non è in grado di offrire né conoscenza, né felicità“.

La vera origine degli eco-villaggi

Nella loro intensa aspirazione ad evadere dagli schemi ipocriti che la nostra società pretende di imporre urbi et orbi, gli hippies intuirono l’importanza di rimparare a vivere insieme secondo norme adatte a favorire la realizzazione dell’uomo, sia nel suo aspetto universale, dharma, che individuale, svadharma, e non di inibirla, producendo schiavi ed eunuchi dello Spirito.

Hippies - ULTIMI EUROPEI LIBERI fig9Fu così che sorsero le prime comunità. I problemi da superare erano invero enormi ed essendo noi cresciuti “in quella prigione dove ti hanno insegnato ad amare poche persone alla volta”. A posteriori, si può ben dire che, dopo alcuni anni di intense sperimentazioni, gli ostacoli non vennero superati, almeno all’apparenza, e che il fenomeno delle comunità si esaurì.

C’è però una prospettiva più profonda, secondo la quale tali avventure prepararono la nascita, agli inizi degli anni Ottanta, di comunità magari piccolissime e invisibili, ma capaci di reggere alla prova del tempo e delle difficoltà sopra accennate. Dai tentativi comunitari degli anni Settanta, germinarono pure i Rainbow Gathering e l’idea degli ecovillaggi che oggi affascina tanti “alternativi”, pur stentando a decollare.

Soltanto quando avremo compreso che l’Io Sono che ci sostanzia è lo stesso che anima la nuvola, la formica, l’ago di pino, il nostro miglior amico e parimenti il nostro peggior nemico ci sarà possibile dire: “Io sono, sento, voglio e desidero” e nessuno nell’intero trimundio potrà contestarcelo.

L’immersione amorevole nella natura, accendendo fuochi, cucinando chapati o altri cibi semplici e buonissimi che davano la sensazione di essere ritornati all’alba dei tempi; la musica che, sgorgando improvvisa da chitarre, flauti e tamburi, raggiungeva di frequente apici di grande armonia e univa gli animi più di tante parole; lo sporadico emergere di una sessualità liberata dalla paura, ma non per questo volgare; lo scambio di esperienze interiori, di sogni e di riflessioni utili alla conoscenza di sé; l’emergere di una sintonia immediata con persone mai incontrate prima, quasi si appartenesse ad una medesima corrente sgorgante da una Fonte invisibile.

Hippies - ULTIMI EUROPEI LIBERI fig10L’aspirazione ad una sessualità affrancata dagli schemi in cui l’occidente cristiano l’aveva impastoiata fu un’ulteriore elemento caratterizzante gli hippies. Alcuni giovani intuivano che l’energia sessuale non poteva essere relegata negli ambiti angusti della sola riproduzione o dello sfogo istintuale.

Il declino della cultura hippie e la fine degli ultimi europei liberi

Nel ’76/’77 l’energia che aveva alimentato l’insorgere della sperimentazione comunitaria andava però spegnendosi, soffocata dai venti contrari di una società sempre più alienata e dallo psichismo negativo irrisolto di quelli che avevano tentato il cambiamento.

Fu in quegli anni che tanti ritornarono tra i ranghi dell’establishment; altri decisero, pur non avendo realizzato alcuna autentica conoscenza, di improvvisarsi “maestri”, insegnando nuove mirabolanti tecniche per viaggiare in astrale, far l’amore per sette ore, nutrirsi di luce ed ascendere, ricordare le vite passate, scoprire il bambino interiore, illuminarsi in tre giorni, et similia, aprendo così la strada a quello che di lì a poco sarebbe diventato il fiorente mercato new age; non pochi, purtroppo, finirono nelle mani degli psichiatri, subendo terapie a base di electroshok, serenase e altre schifezze chimiche, dalle quali è quasi impossibile ritornare alla salute; una buona parte morì di eroina o cominciò il calvario tra il buco e la comunità di recupero (recupero, ovviamente, al carcere dal quale aveva tentato di evadere per una via sbagliata).

Verso la fine degli anni Settanta sembrava che nessuno credesse più in nulla e così ripresero il sopravvento quelli che parlavano di marijuana e fucile, di rivoluzione fatta sulla pelle degli altri, di matrimoni tra omosessuali o lesbiche, e altre stupidaggini simili.

Gli orrori della psichiatria e l’invisibile violenza della società

Per quanto mi riguarda, decisi di ritornare dai miei genitori, non per arrendermi all’imbecillità elevata a dogma, ma per verificare in modo decisivo se l’insegnamento ricevuto in India tra i sadhu e nel tempio della natura selvaggia potesse davvero essere realizzato dappertutto, senza l’aiuto di nessuna sostanza psicotropa e senza che fosse necessario identificarsi in questa o quella etichetta spirituale o religiosa e politica: destra, sinistra, estreme destra e sinistra, centro, trasversale, ecc.

Quando avevo tentato lo stesso esperimento, un triennio prima, a ventisette anni, tra un viaggio in India e l’altro, ero stato ricoverato in modo coatto all’ospedale psichiatrico di Brescia. Mi si imputava di essere uno squilibrato perché meditavo, non volevo lavorare, leggevo e disegnavo, mi prendevo cura dell’orto, cucinavo pane, riso ed erbe selvatiche, amavo la solitudine, aborrivo televisione e giornali e osavo tacciare i miei parenti cattolici di crassa ipocrisia: “somiglio un incapace / per i veri incapaci”.

Un luminare della psichiatria sentenziò, dopo avermi osservato dal buco della serratura, mentre, seduto in padmasana, assaporavo l’eterno Sivo’ham (“Sono Shiva”) del respiro: “sta diventando catatonico”, e tutti gli credettero. Anche quella fu una lezione assai istruttiva circa il volto nascosto della nostra società, e mi diede l’opportunità di verificare quanto salda fosse la mia convinzione di essere sano; se avessi nutrito il più piccolo dubbio su me stesso, non sarei qui a scrivere.

Hippies - ULTIMI EUROPEI LIBERI fig11In un tale inferno, qualsiasi cosa si dicesse, anche la più scontata e normale, diventava prova di squilibrio mentale; ed era atroce vedere le facce deformate dall’ira o dall’odio di medici, infermieri, parenti e pseudoamici dichiarare a gran voce di volere il mio bene mentre mi torturavano e mi privavano delle più elementari libertà e dignità. Per “fortuna”, tuttavia, dopo un mese venni “cacciato” dall’ospedale perché mi si attribuiva la colpa di esercitare un pessimo influsso sugli altri malati: alcuni intorno a me iniziavano a rendersi conto che le paranoie mentali sono solo illusioni e che in noi c’è una presenza-testimone capace di osservarle, trasformando l’inferno in paradiso.

Ritorno a casa

Tornare a casa a trent’anni fu dunque una prova durissima e indispensabile. Perdonare i miei genitori mi aiutò a purificare la coscienza dal rancore che avevo maturato nei loro confronti. Per alcuni mesi mi parve di vivere immerso nella vacuità e nel grigiore più estremi, ma, a poco a poco, le cose migliorarono, sino a che imparai a sentirmi libero, realizzando almeno in nuce la saggezza che invita ad “essere nel mondo ma non del mondo”.

Per verificare la mia libertà scelsi persino di lavorare (preferibilmente a mezza giornata o per quattro giorni alla settimana): feci l’impiegato, il professore, l’antennista, il vendemmiatore, il venditore di libri e il bidello. I lavori manuali all’aperto, soprattutto se in nero, erano naturalmente i miei preferiti, poiché mi lasciavano mentalmente libero con il cielo sopra il capo e non mi incatenavano alla macchina tritacarne della burocrazia previdenziale.

Tra i miei amici ero diventato “famoso” perché riuscivo a vivere con diecimila lire al mese; il resto dei miei magri guadagni li spendevo in libri, dischi ed incenso. Molti mi domandavano se non avessi paura della malattia, della vecchiaia o della solitudine. Nei lunghi periodi trascorsi nelle comunità sopra accennate e sulla strada avevo conosciuto, dentro e fuori di me, le molte miserie che impediscono agli uomini di vivere insieme in modo amorevole, gioioso e creativo. Ma non avevo perso la speranza che una comunità libera da immedesimazioni ideologiche, religiose o neospiritualiste fosse possibile.

In un mondo dedito a perseguire l’apparenza, rivestendola di parole altisonanti quali “sviluppo” e “progresso”, desidero concludere queste modeste riflessioni con alcuni versi tratti dal Tao Te Ching, nei quali, in modo succinto, viene riassunto un immenso sapere:

Colui che si applica allo studio aumenta ogni giorno.
Colui che pratica la Via diminuisce ogni giorno.
Diminuendo sempre di più si arriva al Non-agire.
Non agendo, non esiste niente che non si faccia

Giuseppe Gorlani

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