I Custodi dei Regni di Natura

I Custodi dei Regni di Natura
Regni di Natura
Crediti: shutterstock

Noi siamo i Custodi dei Regni di Natura

Respiro. Occhi neri ritratti da sé, affossati nelle orbite asciutte, essenziali, di un cranio magro. I muscoli, fino a poco tempo da guizzanti e potenti, in pochi giorni si sono assottigliati in fasce minime dello spessore di poche miocellule e connettivo.
Un peso sul cuore, blocca il respiro. Sensazione chiara di ineluttabile perdita. I segni, i sintomi e le analisi di laboratorio poi la confermeranno. Inappetenza quasi totale e dimagramento rapido in soli quindici giorni. Assottigliamento atrofico dei muscoli masticatori. Aumento di ben definite linee cellulari nel sangue, in cui il microscopio rivela la presenza di cellule anomale di grosse dimensioni. Non un lamento, solo quegli occhi che ti seguono, piccoli e neri. Attraverso quegli occhi, da qualche parte si è ritirata la sua anima e da li osserva il mondo con dolce rassegnazione. La coda è l’unica parte che conserva ancora il brio e l’entusiasmo che di questo cane, un nero labrador retriever, era il biglietto da visita di ogni nostro incontro. I battiti della coda, frenetici come prima, scandiscono il tempo. Non è per niente facile scrivere di questa vicenda, le emozioni sono abbondanti, colmano e strabordano. E’ necessario il coraggio di trovare il tempo, fermarsi e concentrare l’attenzione a ciò che questa storia nella sua potente verità muove nell’interiorità. Quanto tempo .. non so, solo quello che è necessario, un tempo pulito da distrazioni quotidiane, voci, letture, immagini, obblighi, appuntamenti, scambi ordinari di assenza e fughe tecnologiche dalla realtà.

Predisposizioni di razza, di Spirito e attribuzione di ruoli.
Seppur con importantissime differenze individuali, le attitudini e inclinazioni di una razza canina delineano i confini di un’idea, un archetipo ed anche un contenuto specifico di attribuzione di significati e desideri umani inconsciamente espressi all’universo. Nell’immaginario collettivo il labrador rappresenta (anche) il cane del progetto familiare, della relazione felice e costruttiva tra due persone, un progetto di vita condivisa. E’ anche un cane con facilità di contatto, alimentato da un grande ed inesauribile entusiasmo, voglia di giocare con gli esseri umani oltreché con qualsiasi altro mammifero. Un cane che maturando negli anni diventa saggio senza però ritirarsi dalla vita relazionale. Comunicativo e felice nel gioco, a qualsiasi età. Questo cane, come ogni animale che condivide la vita con gli esseri umani, vive immerso nell’emanazione consapevole e non dei suoi custodi. L’animale di famiglia assume un ruolo, permettendo la manifestazione evidente di tutto quello che l’uomo mette nell’ambiente. Moti consapevoli e non consapevoli, contenuti consci e inconsci. L’animale come ogni altra entità, organica, con vita evidente, oppure anche non organica (l’arredamento per esempio) potendo vivere ed essendo costituito degli stessi elementi di questo universo, risuona con noi. L’animale a differenza di un oggetto inanimato o anche una pianta, possedendo una dynamis di vita non solo molto simile alla nostra ma anche decisamente più rapida ha la capacità di modificare la propria forma in tempi brevi. Gli effetti delle nostre emanazioni sono evidenti, forse anche secondo per secondo. Evidenti al di fuori di noi anche quando sono non consce nell’interiorità (per approfondire: “La via degli animali: dall’Identità all’Individualità” su Bioguida n. 48)

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La storia del labrador nero è quella di un cane che ha accompagnato due persone, una coppia, per sette anni. Ad un certo punto la relazione tra le persone si interrompe, lui rimane a casa con il cane e altri animali, lei si trasferisce in una città molto lontana. Due settimane dopo il cane inizia a rifiutare il cibo e dopo un mese dalla separazione viene portato in visita. La malattia del cane non si ferma con le terapie, le condizioni peggiorano in modo dolce, senza sofferenza, ma inesorabilmente finché, constando che l’energia vitale è ridotta a un filo sottile, viene suggerito alla donna della coppia di far ritorno per poterlo abbracciare un’ultima volta. Il labrador attende, risparmia il più possibile energia, passa ore addormentato nell’erba sotto un grande albero “nutrendosi” , attingendo dal corpo vitale della terra. La donna torna con l’idea di raccogliere gli oggetti rimasti ancora in quella casa, salutare il cane e ripartire. Rimarrà invece per più di dieci giorni. In quel periodo, con coraggio sottratto dalla tirannia degli impegni lavorativi e delle preoccupazioni, questa famiglia umana ed animale, riprende in mano il filo della loro storia e la porta a compimento.

Un ciclo che si chiude
Quando un ciclo si chiude, il processo di chiusura è bene che venga realizzato con la massima cura e precisione. Uscendo da una stanza, dove pensate non tornerete mai più, è doveroso verso quell’ambiente, verso gli altri occupanti e verso voi stessi, osservarlo bene prima di chiudere la porta. Riordinare, decidere cosa portare con sé, cosa buttar via e cosa lasciare. Pulire ogni angolo per essere sicuri di non aver dimenticato nulla e lasciare la possibilità alla stanza di poter accogliere qualcun altro. E’ cosa buona ringraziare l’ambiente per quanto ci ha protetti e accuditi, infine chiudendo la porta augurare a quella stanza ogni bene, senza rancore, senza rimpianti. Le difficoltà che si incontrano in questa sorta di “elaborazione di un lutto” in tempo reale, sono inversamente proporzionali al livello di maturazione emotiva della persona e dipendono da quanto la scelta fatta sia definitiva e sufficientemente metabolizzata. Una stanza lasciata ben pulita e ordinata non solo permetterà di averne un buon ricordo rendendola poi disponibile al suo futuro, ma anche concede la possibilità a noi stessi di poter aprirci a esperienze veramente nuove, a poter abitare nuove stanze lasciandoci accogliere, senza inciampare continuamente nei legami del passato.

Il coraggio di restare
Dal ritorno della donna, il cane rallenta il suo processo di chiusura, fino al giorno prima sembrava pronto per l’ultimo viaggio, ma ora attende. Nessun lamento, occhi che seguono, accenni di gioco con la palla, coda che scodinzola, ore passare a riposare tra gli alberi, disinteresse verso il cibo e l’acqua. Sensazione di attesa. E’ doveroso, verso chi legge, preannunciare che questa storia si conclude nel miglior modo possibile senza però sconfinare nella favola di un lieto fine in cui tutto si salva sottraendosi al mutamento. Pur lasciando sempre la porta aperta ad un miracolo, è onesto verso se stessi, pazienti, custodi o terapeuti, riconoscere che il corpo fisico obbedisce a leggi di natura e la reversibilità dei processi non è senza fine, superata una certa soglia di cambiamenti fisici, redimere le cause che li hanno prodotti, per quanto sia proprio questo il miglior risultato cui giungere, non è sufficiente a cancellarne gli effetti. Ancor più duro da digerire, e qui risiede una delle difficoltà nell’accettare la morte come un aspetto sacro della vita, è che il trapasso naturale, quando avviene dolcemente, sia sintomo della risoluzione del conflitto e non sinonimo di sconfitta terapeutica.

Cambiare i ruoli
La domanda che mi faccio è cosa la malattia del cane rappresenti per il sistema familiare. Trovo per analogia la risposta nel progetto di coppia. Mentre il sentire è recettivo, con il razioncinio ricerchiamo la strada, il nodo da sciogliere affinché l’esperienza del cane che sta morendo sia evolutiva per il cane (che pazientemente ci attende) e tutti gli umani coinvolti, incluso colui che guida i passi terapeutici. Attraverso una rielaborazione condivisa e co-condotta di quanto è avvenuto, sciogliendo i nodi essenziali e riportando la possibilità di fluire nel cambiamento, l’animale può finalmente sentirsi libero e sollevato dal ruolo di protettore silenzioso. L’umano finalmente assume il legittimo ruolo di custode del mondo animale e della natura in generale, uscendo (e’ possibile!) dallo stato neonatale/neotenico, nel quale normalmente riuscirebbe a vivere anche un’intera esistenza. In questo senso non è molto lontano dalla realtà affermare che per ogni 10 animali domestici in meno sarebbe necessario uno psichiatra in più. Ogni volta che riusciamo ad addentrarci, che ci avviciniamo agli argomenti giusti da esplorare, il cane si sveglia e dal giardino rientra in casa per mettersi vicino a noi.

Individuiamo finalmente il momento in cui la coppia ha cessato di avere un futuro, il momento in cui viene scritta la data di scadenza e inizia un count-down alimentato da un’inconscia selezione di nutrienti e dal rifiuto sistematico del cibo che per molti anni aveva alimentato questo progetto. Esiste un momento preciso nella storia di questa relazione in cui una delle due parti umane inizia a vivere nella percezione di non essere abbastanza per l’altra parte. Da questo momento si attivano tutta una serie di pensieri, che mi piace definire parassiti, i quali cercano, alimentandosi di contenuti inconsci ed esperienza vivente, di prendere il controllo della situazione e portare alla decisione della divisione. Questo accade circa nove mesi prima della separazione. L’idea che emerge è quella di una gestazione e gestione di questa decisione, priva di una riflessione vera e reale, condita di personalismi, confirmation bias che servono a dar valore ad una scelta in realtà già fatta, evitando la paura di mettersi in discussione; la comunicazione in questo processo è frammentaria e orientata a costruire un muro di ineluttabilità. Arriva il momento in cui fisicamente ognuno dei due prende la sua strada ma, tornando all’esempio della stanza, è come se al momento di lasciarla questa sia ingombra di pacchi, vestiti impilati e polverosi, disordine. Entrambi escono dalla stanza, nessuno pulisce, nessuno chiude la porta. Il ruolo assunto dal cane, il progetto creativo di coppia, viene meno e non si trasforma in qualcosa di nuovo; è come una strada a fondo cieco dimenticata dalla propria cartografia di riferimento.

Assunzione di Responsabilità
Il grande medico argentino, Tomas Pablo Pasquero, scrive: “Nella misura in cui il paziente assume le sue responsabilità riguardo alle sue sofferenze, prendendo coscienza che la loro origine è dovuta ad un porsi in modo sbagliato nei riguardi della vita, e accetti le conseguenze di questo modo erroneo, potrà realizzarsi maturando psicologicamente e questa crescita completa lo condurrà alla vera libertà Spirituale, a quell’equilibrio che abbiamo chiamato “atarassia”, che è il massimo raggiungimento della vita”. (Il pensiero e gli appunti di pratica omeopatica – ed. Salus Infirmorum)
La guarigione passa attraverso la presa di responsabilità. I contenuti inconsci, che assieme a quelli censurati hanno guidato le scelte, devono essere scoperti e portati sull’altare della Verità. Viene proposto che ognuno dichiari all’altro le proprie responsabilità, ovvero quelle che ritiene abbiano contribuito alla fine della relazione e se le assuma. Anche le più dure, soprattutto quelle che non proteggono l’immagine bella e corretta che tanto si vorrebbe potesse vivere nella mente dell’altro e, soprattutto, nella propria (essere il senza peccato, lapidando il peccatore in noi). E’ un percorso molto commovente, pensieri mai espressi prima si sciolgono ora in lacrime. La trasformazione dei sensi di colpa in assunzione di responsabilità, genesi della maturazione emotiva, permette l’ingresso in una nuova età adulta. Ogni cassetto della stanza viene aperto e controllato, le cose prima poste a riparo dagli occhi dell’altro vengono ora esposte, ognuno prende gli oggetti che gli appartengono, sollevando l’altro dal loro peso.

Chiudere con consapevolezza
I due adulti possono quindi esaminare cosa rimane in quella stanza e trovare gli oggetti ricevuti in dono: l’arricchimento del sé che senza l’incontro con l’altro non sarebbe forse mai avvenuto. In una lunghissimo “botta e risposta” di riconoscimento e gratitudine per quanto ricevuto, nominano tutte quelle scoperte fatte grazie agli occhi, al sorriso dell’altro, sentendosi autorizzati a farne tesoro. Un tesoro che porta con dignità il nome di chi lo donò, perché venisse usato continuando a vivere. Il cane ascolta, respiro leggero e senza sforzo. La stanza è ora pulita e ordinata. Dopo un abbraccio sincero e conclusivo, mentre tutto quanto detto inizia il suo lungo processo di sedimentazione, entrambi escono dalla porta che viene quindi chiusa alle loro spalle. Il ciclo è concluso, il presente da adesso in poi può esprimersi con molti meno limiti di prima. Quel giorno stesso, nel tardo pomeriggio, si incamminano con il cane verso il bosco e rimangono tutti e tre assieme fino a che il sole, allungando le ombre degli alti larici, scompare dietro la distesa di colline. La mattina seguente il cane si alza, percorre le stanze della casa una ad una, ancora un’ultima volta esce in giardino e poi torna nella sala, li si stende, chiude gli occhi e dopo aver atteso nove giorni lascia il suo corpo: le parti della sua Anima divina sono adesso ricongiunte.

Dott.Andrea Sergiampietri

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