I ritorni decrescenti delle attuali innovazioni tecnologiche

Il Giornale Online
Inviata da skorpion75
Una crescita dei costi di ricerca e della sua traduzione in attività economiche porta ad una riduzione dei benefici conseguiti per l’apparire anche di un numero crescente di conseguenze collaterali negative. E’ questo un concetto formulato prendendo in prestito la cosiddetta «Legge dei compensi decrescenti», enunciata da Malthus secondo la quale un capitale investito nella terra non porta un uguale aumento di produttività: raddoppiando la somma investita in un fondo, non si ottiene di regola un raddoppiamento della produzione agricola. Anzi si corre il pericolo di renderlo sempre meno produttivo e di pregiudicarne la fertilità futura. Estendendo il concetto possiamo affermare che se la richiesta di capacità innovativa segue una legge esponenziale la reale capacità applicativa segue una legge lineare (1).

Ho preso spunto da questo concetto, per analizzare se veramente le «innovazioni» che, a ritmo quotidiano, ci vengono propinate dai mezzi di informazione sfruttano concetti nuovi e rivoluzionari oppure se non sono altro che applicazioni di scoperte note da tempo a cui si cerca di dare ulteriori sviluppi ed estensioni ma che non possono in definitiva determinare quel plus tecnologico in grado di sostenere la richiesta di progresso futuro dell’umanità. Si fa infatti un gran discutere sul metodo per uscire dalla crisi economica attuale, sulle soluzioni per ovviare alle strette energetiche che stanno limitando sempre più la crescita dell’economia mondiale e si invoca da più parti la necessità di aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo (2).

Si è convinti in altri termini che la qualità e la quantità di invenzioni sia direttamente proporzionale alle risorse economiche messe in campo non rendendosi conto che i principi tecnologici che vengono usati mostrano e mostreranno limiti applicativi sempre maggiori.

Se da un lato sembra che le «scoperte» odierne stiano facendo progredire l’uomo, dall’altro lo stanno sempre più condizionando facendo intravvedere che rimescolando gli stessi ingredienti la pietanza non cambia. Prendiamo per esempio l’automobile del futuro che sarà alimentata ad idrogeno o energia elettrica. Si tratta di fatto di concetti tecnici sviluppati da Volta (1745-1827) e Faraday (1791-1867). Si fa finta, estendendo il concetto, di dimenticare o di non considerare che il cosiddetto mondo post-moderno è in realtà ancora sostenuto da idee ed intuizioni risalenti tra il 1700 ed il 1900 di pochi scienziati che, lavorando con strumenti e metodologie che oggi ci farebbero sorridere, hanno portato le vere innovazioni per l’umanità.

Citerò, oltre a quelle sopra menzionate, altre figure di prima grandezza come quella di Ampère (1775-1836) che, autodidatta, intuì e provò che il campo magnetico nello spazio attorno ad una corrente elettrica è proporzionale alla corrente elettrica che gli dà origine, proprio come il campo elettrico nello spazio è proporzionale alla carica che lo genera (le applicazioni delle sue leggi reggono tutte le applicazioni elettromagnetiche ed elettrodinamiche), la figura di Hertz (1857-1894), grazie al quale è nata l’antenna per emettere e captare le onde radio (da cui è derivata la tecnologia Wi-Fi e dei moderni telefoni cellulari), di Tesla (1856-1943) che ha gettato le basi del moderno sistema elettrico a corrente alternata e della sua distribuzione, di Otto (1842-1891) e Diesel (1858-1913) il quale fece funzionare il suo primo prototipo di motore con olio di arachidi nel 1900 (e ci vengono a dire che oggi i biocarburanti sono una fonte innovativa di combustibile) e ancora di Meucci (1808-1889) e Bell (1847-1922) senza i quali non avremmo avuto internet o Fritz che nel 1883 inventò la prima cella fotovoltaica al silicio e via di seguito.

Sono solo alcune figure che pur avendo contatti con i colleghi del tempo non lavoravano in gruppo. Erano al contrario figure che spiccavano con la loro solitudine e coraggio. Oggi non saprei ricordare un nome che possa essere paragonato a queste personalità.
Di fatto non c’è un padre delle cosiddette «innovazioni moderne» che ambiguamente e prosaicamente ci vengono propinate come scoperte rivoluzionarie e che sembrano aprirci nuovi ed inesplorati orizzonti. Ci dicono che le scoperte si possono fare solo lavorando in equipe, che i singoli scopritori che lavoravano nei loro laboratori sono solo un ricordo nostalgico dei tempi che furono. Eppure l’interazione dei cervelli attuali non ha prodotto, in proporzione, la stessa accelerazione innovativa. Potrei al contrario citare decine e decine di grandi scienziati del secolo scorso e di quello precedente che per metodo di indagine sarebbero classificati oggi come disadattati scientifici.

La causa del rallentamento di scoperte veramente rivoluzionarie si spiega perché non sono di fatto invenzioni ed innovazioni del nostro tempo ma sono solo miglioramenti e sofisticazioni di scoperte datate ma ancora valide. La spinta innovativa di fatto si è arrestata nell’immediato dopoguerra e da allora è iniziato solo un processo di massiccio utilizzo delle scoperte fatte in precedenza senza più l’emersione di personalità ed idee innovative. La verità è che siamo di fronte ad una crisi del metodo di indagine che non considera più l’uomo nella sua singolarità ed introspezione.

E’ l’intuizione di pochi che ha portato beneficio ai molti e non il contrario. Senza il leader che dà l’esempio l’insieme di buoni cervelli non sortisce una moltiplicazione intellettiva ma al contrario un appiattimento. In altre parole il nostro tempo si caratterizza solo e solamente per la messa a rendita delle precedenti scoperte che dovendo essere migliorate, diffuse e sviluppate sono dovute cadere nelle mani delle multinazionali che ci sbandierano come grandi risultati spesso brevetti tenuti in un cassetto da tempo o occultati in attesa che i tempi ( per specularci su) maturino.

Gli scienziati odierni di conseguenza devono essere a libro paga di queste ultime, sottomessi all’utile aziendale o al servizio di qualche progetto sovvenzionato da fondi europei che servono per sviluppare inutili e contraddittorie prove di laboratorio volte a creare pubblicazioni necessarie per la carriera di qualche docente universitario non perseguendo più la ricerca come capacità di aprire nuovi varchi nel futuro.

Dobbiamo ammettere che, rispetto alla voracità tecnologica del nostro vivere quotidiano stiamo andando, paradossalmente, verso una limitazione dell’espansione del benessere e i rischi e le controindicazioni che si dovranno accettare saranno progressivamente sempre maggiori.

Ingegnere Polastri Ludovico

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1) E’ una legge che vale anche nel campo manifatturiero. All’aumentare del volume di produzione se aumento il numero di operatori aumenta anche la produzione fino al punto in cui la complessità della gestione rende questo metodo controproducente e dannoso (infortuni, ritardi, perdite di materiale, ecc.). Devo provvedere allora a riorganizzare le attività lavorative e la loro impostazione generale. Questo però mi porta a valutare le risorse di cui posso disporre (sia tecnologiche che logistiche). Se sono limitate o vincolanti devo accettare un inevitabile rallentamento della mia attività.

2) La crescita economica deriva dalla capacità di trasformare risorse da configurazioni a basso valore a configurazioni a valore elevato. Il progresso non è solo proporzionale alla capacità di reperire nuove fonti di approvvigionamento (che sulla Terra sono limitate) ma anche alla capacità di ricombinare le conoscenze a nostra disposizione in modo da poterne ricavare più di quanto non se ne ricavi ora. Esaurita questa fase, o progetto innovazioni totalmente nuove o sono destinato a fermarmi. Ora se prima della globalizzazione abbiamo sempre trovato modi più efficienti per soddisfare i nostri bisogni riuscendo ad evitare la trappola prevista da Malthus questa certezza sta man mano svanendo con l’aumentare della richiesta di benessere dei paesi emergenti.

Fonte: http://www.effedieffe.com/content/view/3588/171/