Il mondo dei Celti

celtiNon è semplice parlare dei Celti, in quanto si tratta di un popolo ancora oggi avvolto dal mistero.

Storicamente collochiamo i Celti nel I millennio a.C. ma le origini di questo popolo sono sicuramente molto più antiche.

Geograficamente essi occupavano le zone a nord delle Alpi, l’Inghilterra, l’Irlanda, la Francia (soprattutto quella settentrionale) ed ebbero contatti con i Greci e i Romani. La loro cultura era, per alcuni versi, la medesima di quella delle altre popolazioni nordiche (Germani, Vichinghi, Norvegesi), da cui ereditarono, ad esempio, l’uso delle rune. Dei Celti abbiamo poche testimonianze, alcune sono presenti nel De Bello Gallico di Giulio Cesare e in altre fonti classiche. I Celti non erano barbari, tutt’altro, erano un popolo civilissimo.

I Celti erano un popolo molto pacifico ed erano molto legati alla natura; questo loro aspetto viene sovente associato a quello dei nativi americani. Le donne erano molto libere e coraggiose, ci si curava con le piante, la musica, la danza, con la cromoterapia e si credeva nel potere terapeutico di determinate acque. I Celti non edificavano templi poiché per loro la natura stessa era un tempio. Boschi, alture, laghi, stagni, sorgenti erano tutti luoghi in cui ci si poteva mettere in contatto con il divino. Il luogo sacro per eccellenza era il bosco, coniugato ad un profondo rispetto per l’acqua.

Essi avevano moltissime piante ritenute sacre, le cui principali sono la quercia e il vischio. I Celti associavano la quercia al principio maschile ed il vischio a quello femminile. Il vischio era sacro in quanto mettendo le foglie nuove in inverno simboleggia la rigenerazione della vita. Questa pianta simbolica è arrivata sino a noi: a Natale si usa baciarsi sotto il vischio ma noi non sappiamo il perché: il vischio era sacro presso i Celti e questa sacralità è rimasta.

I Celti consideravano la natura la madre sacra di tutti i viventi. Per loro tutte le forze della natura, anche le più sconvolgenti, erano una manifestazione di quella energia che tutto crea e tutto distrugge. Il mondo dei Celti non aveva dualità, non faceva distinzione tra sacro e profano, materia e spirito, corpo e mente: tutto veniva ricondotto ad un unico principio. Inoltre nella cultura celtica non esistono miti di creazione poiché loro vedevano il divino in termini ciclici, cioè il tutto è in continua evoluzione. Il principio unico ed increato veniva designato con il termine OIW e simboleggiato con il Sole.

La mitologia celtica ci è stata tramandata da fonti classiche e da monaci irlandesi che hanno messo per iscritto i dati tramandati oralmente: ciò vuol dire che queste informazioni possono essere state travisate. Le divinità celtiche sono molto simili a quelle greche, cambia solo il nome. Ad esempio Giulio Cesare associava il dio celtico Lugh a Hermes (che corrisponde al dio romano Mercurio). Altri personaggi numinosi furono invece assimilati dal Cristianesimo, come la dea Brigit, da cui nacque Santa Brigida. Anche l’albero che noi addobbiamo a Natale è un ricordo delle popolazioni nordiche: il paganesimo germanico e scandinavo, infatti, comprendeva l’usanza di adornare un abete rosso con ghirlande, luci e dolciumi.

La Chiesa ha cercato di contrastare questa usanza, ma invano. Ci sono comunque altre analogie con il Cristianesimo, questo perché vi fu, alla fine dell’impero romano, una sintesi tra cultura nordica e cultura cristiana. Le popolazioni nordiche infatti festeggiavano l’equinozio di primavera (che corrisponde alla nostra Pasqua). Il mondo presenta la forma di un uovo e presso queste popolazioni esso è associato alla frantumazione e a qualcosa di nuovo (il che simboleggia quindi la rinascita, la resurrezione). Questa rigenerazione è rappresentata dalla dea Ostsara (in tedesco Ostern, in inglese Easter, cioè colei che viene dall’est). Così come noi festeggiamo il Natale, i Celti festeggiavano il solstizio d’inverno. E’ ormai piuttosto noto, infatti, che Gesù non è nato il 25 dicembre e che questa è una data simbolica con cui si ricorda il giorno del sol invictus. Secondo i Celti, durante il solstizio d’inverno rinacque il dio Yule (che sarebbe il nostro Gesù).

Un’altra analogia è quella tra Adamo ed Eva ed Ask ed Embla, rispettivamente il primo uomo e la prima donna (secondo la mitologia nordica) creati da Odino, tramite un soffio. Si afferma che alcune popolazioni celtiche non si cibassero di volatili. Non si sa di preciso il motivo ma molto probabilmente era per lo stesso motivo presente in culture animiste e sciamaniche, che considerano i volatili animali intermediari tra cielo e terra. I Celti avevano il dono della chiaroveggenza e molte altre virtù che noi non possediamo più, come ad esempio l’apertura del terzo occhio. Essi sapevano che oltre alla parte esterna e visibile dell’uomo ve n’è una più interna, cioè l’essenza. Credevano, inoltre- secondo alcune fonti classiche – nella reincarnazione.

I Celti ponevano poche barriere tra il visibile e l’invisibile e sostenevano che l’Aldilà fosse accessibile anche ai vivi. Nella mitologia celtica un elemento molto importante è il drago. Il drago ha una forza bivalente: aiuta e distrugge. Esso rappresenta una parte di noi, precisamente i nostri difetti psicologici: infatti l’eroe deve uccidere il drago per liberare la fanciulla nella torre, che rappresenta la nostra coscienza intrappolata. Per diventare eroi bisogna vincere le proprie passioni e debolezze, cioè il drago che è in noi. I difetti, però, vanno superati in un certo modo perché servono a farci capire qualcosa. Talvolta il drago rappresenta la materia.

Chiunque abbia modo di avvicinarsi alla mitologia celtica (e nordica in generale) può facilmente notare che in essa vi è una certa componente notturna e tragica, per questo si parla sovente di crepuscolo degli dei. Invero il concetto di crepuscolo degli dei, presente anche nella mitologia norvegese, è ben più complesso. Il crepuscolo degli dei si definisce con la parola Ragnarok, termine composto da Ragna e Rok. Si tratta di due vocaboli islandesi traducibili con destino ineluttabile: è cioè la visione profetica della fine dell’universo, molto simile all’Apocalisse dei cristiani. Nel dodicesimo secolo gli Scaldi (poeti norvegesi) aggiunsero alcune sillabe, quindi invece di Ragnarok si ebbe Ragnarokkr, tradotta ambiguamente con crepuscolo degli dei.

La civiltà celtica comprendeva una classe sociale molto importante: i Druidi. Secondo Plinio la parola druido deriva dal greco druz che significa quercia. Gli storici hanno invalidato questa ipotesi ma non sarebbe improbabile, visto che la quercia era ritenuta sacra.

I Druidi sono conosciuti come sacerdoti, ma invero erano molto di più: erano uomini di conoscenza, conoscevano in particolar modo le leggi della natura e le tramandavano all’aperto e oralmente; proprio per questo è molto complesso ricostruire il pensiero e il misticismo dei Drudi: non ci hanno lasciato nulla di scritto.

Alcuni sostengono che i Druidi tramandavano i loro precetti oralmente per il fatto che probabilmente non conoscevano la scrittura ma questa ipotesi è forse falsa, perché in Gallia c’era l’alfabeto greco e le popolazioni nordiche, come i Celti, conoscevano anche l’alfabeto runico. Nei loro insegnamenti, i Druidi tramandavano la conoscenza della natura, le sue energie telluriche e cosmiche e le sue leggi. I Druidi insegnavano inoltre a venerare gli dei a non commettere ingiustizie e a mantenere sempre una condotta virile, così come un druido dichiarò allo storico Diogene Laerzio. La figura dei Druidi era pregnante nel mondo celtico, infatti essi esercitavano anche una funzione politica ed erano al vertice della piramide sociale.

I Drudi potevano possedere anche delle ‘specializzazioni’ ed essere quindi sacerdoti, astrologi, maghi, uomini di scienza. Alcuni sostengono che i Druidi non fossero necessariamente dei bravi astronomi ma si deve tener presente che in queste civiltà antiche i saperi erano tutti collegati e c’era una forte coesione tra astrologia ed astronomia, quindi un druido esperto di astrologia conosceva sicuramente anche l’astronomia. Non a caso altre fonti sostengono esattamente il contrario, cioè che i Druidi possedevano larghe competenze astronomiche. L’animale più vicino ai Druidi era il cinghiale.

A onta di chi sostiene che quella dei Celti non può essere definita una civiltà, possiamo asserire che grazie ai Druidi quella dei Celti non solo era una civiltà ma anche un vero impero, unificato dal druidismo e dalla classe sacerdotale. Secondo antichi storici, il Druidismo si sviluppa in Britannia ed in Gallia dove questi uomini di conoscenza avevano una grande fama come filosofi già dall’inizio del II sec. a.C. Abbiamo testimonianze dei Drudi da parte di Cicerone, Giulio Cesare e Diodoro Siculo. Quest’ultimo, parlando dei Druidi, li considera proprio dei filosofi. Periodicamente si tenevano delle assemblee dei Druidi appartenenti a varie tribù, che potevano essere anche in conflitto tra loro.

Il metodo divinatorio celtico era basato sulle rune, cioè su simboli utilizzati come lettere dell’alfabeto e utilizzate altresì per invocare divinità e per predire il futuro. Le rune non sono di origine celtica ma di origine germanico-scandinava e furono introdotte tra i Celti tramite i Vichinghi intorno al 100 a.C. Esse sono considerate a tutt’oggi un efficace metodo divinatorio perché basato su simboli (i simboli penetrano direttamente nell’inconscio, il loro messaggio è subliminale) e vengono utilizzate anche nella magia Wicca. Le rune venivano incise per lo più su pietre, ma anche su argilla, metallo e legno.

Il vero significato delle rune è molto profondo e per questo non si può trasportare completamente nella mentalità dei giorni nostri, infatti originariamente ogni runa rappresentava un intero universo concettuale. La parola runa significa, non a caso, segreto e chi era in grado di interpretarle veniva considerato molto potente. Abbiamo testimonianze delle rune nell’opera Germania di Cornelio Tacito, il quale asserì che le divinazioni compiute con le rune erano molto più evolute delle altre. Esistono tre sistemi runici: il Futhark più antico (24 rune), il Futhorc anglofrisone (29 o 33 rune) e il Futhark più giovane (16 rune). La parola Futhark deriva dalle prime sei lettere dell’alfabeto runico antico, ad ogni lettera corrisponde un suono e le prime sei lettere formano la parola Futhark.

E’ interessante notare che alcune lettere del nostro alfabeto (ad esempio f, u, r, c, h, i , s, b) hanno una certa somiglianza grafica con i simboli runici corrispondenti a queste stesse lettere (ad esempio la runa corrispondente al suono B è graficamente uguale alla nostra B, solo che è un po’ più “appuntita”).

I Celti si dichiarano discendenti degli Iperborei, cioè la razza che ha preceduto gli Atlantidei. Gli Iperboerei derivavano, a loro volta, dai Polari, così chiamati perché dicevano di esser stati portati dalla stella Polare. I Polari vivevano nella calotta polare ma forse vi vivevano anche gli Iperborei e anticamente queste zone forse non erano state ancora rivestite dal Circolo polare artico.

I Polari insegnavano la scienza del magnetismo e la canalizzazione delle energie (ad esempio la funzione dei menhir e dei dolmen era proprio quella di canalizzare energie e creare luoghi di forza), vivevano nell’isola di Thule nel periodo corrispondente al Cenozoico e Mesozoico, dove i libri di storia non vedono la presenza dell’uomo. Erano dei giganti ed in realtà sono stati ritrovati anche i loro resti (un adulto della nostra razza corrisponde ad un femore dei Polari) ma nessuno ce lo viene a dire. I Celti conoscevano la natura ed il cosmo nella sua interiorità, infatti nelle fiabe celtiche abbiamo molti giganti, gnomi, elfi, folletti: non si tratta di invenzioni né di fantasia bensì di ricordi, poiché questi esseri esistevano davvero e forse esistono ancora ma noi non li riusciamo più a vedere. (Foto di copertina J. S. Clingman)

Leonella Cardarelli
baffinet@lycos.it

Bibliografia:
Cerinotti, A. (a cura di) (1998), I Celti, Demetra, Colognola ai Colli (VR)
Duvall, J. (2001), Stonehenge e l’antica civiltà dei Druidi, Lito-Rama, Napoli
Caland, M. (1997), Voorspellen met runen, Uitgeverij Schors, Amsterdam – Olanda; trad. it. (2000), Rune, Xenia edizioni, Milano

Altre fonti:
Conferenza I Celti, tenuta dal C.E.A. a Popoli (PE) il 12/9/05