Il popolo Dogon

Il popolo Dogon

“Nella notte dei tempi le donne staccavano le stelle per darle ai loro bimbi. Essi le bucavano con un bastoncino e facevano poi girare queste trottole di fuoco per mostrarsi tra loro come funziona il mondo. Ma non era che un gioco.” (Parole di Ogo Temmeli).

Il popolo DogonIl popolo Dogon vive tra i dirupi rocciosi dell’arido altipiano del Bandjagara, 100 Km ad est di Moptì, presso il confine con il Burkina Faso, nell’odierna repubblica del Mali, dove fu costretto a rifugiarsi per sfuggire alle spinte espansionistiche dei grandi e potenti imperi medievali nati sulle sponde del Niger, nella regione del Medio Niger, intorno al 1000 d.C..

I membri della comunità Dogon vivono principalmente di agricoltura e di allevamento ed il loro sistema sociale è strutturato in villaggi autonomi federati retti da un capo elettivo, detto “Hogon”, che ha anche funzioni sacerdotali ed il compito di tramandare il sapere e le tradizioni alle generazioni più giovani.

Ogni villaggio è costituito da un certo numero di clan ed ognuno di questi è a sua volta organizzato in famiglie patrilineari, nonostante ancora oggi sia possibile riscontrare nel sistema sociale Dogon residui culturali di antiche istituzioni matriarcali, quali, ad esempio, la libertà sessuale prenuziale, il dualismo simbolico della figura umana, i culti legati all’agricoltura, alla Grande Madre Terra ed agli antenati mitizzati.

I Dogon, il cui ultimo censimento ha stabilito assommare a quasi un milione di individui, credono in un dio supremo, Amma, creatore dell’universo e che il cosmo sia scaturito dai movimenti del cosiddetto “uovo del mondo.

La leggenda narra che i Nommo, gli otto antenati dei Dogon, arrivarono sulla Terra dalle stelle e vi portarono un paniere contenente l’argilla necessaria alla costruzione dei granai dei villaggi.

All’interno di questi granai, che nella cosmogonia dei Dogon rappresentano l’universo, vi sono delle scale, che, oltre a simboleggiare le coppie di maschi e femmine che generarono i Dogon, costituiscono anche la trasposizione a terra di costellazioni e stelle: a nord le Pleiadi, a sud Orione, ad est Venere e ad ovest una stella cometa.

Nella raffinata e complessa mitologia cosmogonica dei Dogon è spiegata l’origine dell’universo, il principio secondo cui l’uomo, la società ed il cosmo sono tra loro intimamente collegati e che il tutto è contenuto in ogni sua più piccola parte proprio come quest’ultima costituisce il tutto. I Dogon sono da sempre abili intagliatori del legno, un’arte ereditata dai Telem che vissero in questa regione molti secoli prima dell’arrivo del “popolo delle stelle.

L’abilità dei Dogon nel lavorare il legno si manifesta soprattutto nel ritrarre figure femminili; tuttavia, molto apprezzate, sono anche le porte e le splendide ed elaborate maschere rituali, quale, ad esempio, quella chiamata Kanga, sormontata da una croce uncinata o svastica, un simbolo, quest’ultimo, antichissimo e ricorrente in numerose culture e civiltà del passato che, secondo il celebre antropologo francese Marcel Griaule, rappresenterebbe l’equilibrio tra cielo e terra e quindi l’ordine universale.

La sconcertante peculiarità antropologica, che differenzia questa etnia da altri popoli tribali, consiste nel fatto che gli anziani dimostrano di possedere delle anacronistiche e complesse cognizioni astro-cosmogoniche incredibilmente precise e dettagliate. Il primo contatto tra i Dogon e la cosiddetta civiltà risale al 1907 e a partire dal 1931 due antropologi francesi, il già citato Marcel Griaule e Germaine Dieterlen, iniziarono a studiare questa etnia, vivendo per molti anni a stretto contatto con i suoi membri e riuscendo persino a conquistare la stima e la fiducia degli anziani e dei sacerdoti.

Ciò che più sorprese i due antropologi francesi, non appena ebbero modo di conversare con i sacerdoti e che continua ancora oggi a meravigliare chiunque si avvicini in un modo o nell’altro a questo popolo, consiste nel fatto che, nonostante che i Dogon abbiano stabilito il primo contatto con l’uomo civilizzato alla fine della prima decade del secolo scorso, essi possedevano già a quei tempi conoscenze di carattere astronomico che teoricamente non avrebbero dovuto avere, conoscenze parte delle quali non era ancora stata acquisita dalla stessa scienza ufficiale dell’epoca.

Molti studiosi ritengono che il sapere iniziatico dei Dogon derivi da un retaggio culturale antico migliaia di anni ed il fatto che gran parte di tale sapere sia di carattere scientifico indurrebbe ad accarezzare, anche solo per un istante, l’idea che in epoche remote gli antenati dei Dogon abbiano interagito con una civiltà molto più evoluta e soprattutto, tecnologicamente più avanzata.

Nel 1946 Marcel Griaule venne iniziato dagli anziani della tribù ed ebbe così accesso al “corpus” di conoscenze che fino a quel momento era stato di dominio esclusivo dei membri della casta sacerdotale. Lo sciamano Ogo Temmeli, con cui Griaule strinse una profonda amicizia, spiegò all’antropologo che le conoscenze astro-cosmogoniche, in possesso degli anziani e dei membri della casta sacerdotale, erano state trasmesse loro dai misteriosi Nommo, creature anfibie civilizzatrici originarie del sistema stellare di Sirio.

Nel saggio dal titolo “Le Renarde Pale”, che G. Dieterlen fece pubblicare nel 1965 dall’Istituto Francese di Etnologia dopo la scomparsa di Griaule ed in cui venne trascritta tutta l’esperienza che i due antropologi vissero con i Dogon, è riportato che in un’occasione i sacerdoti tracciarono sul terreno alcuni disegni, dimostrando a Griaule di possedere una solida conoscenza astronomica, soprattutto relativa alla stella Sirio. Quest’ultima, dopo il Sole, è la stella più luminosa dell’emisfero boreale ed è situata nella costellazione del Cane Maggiore, a circa 8,7 anni luce dalla Terra.

In realtà Sirio è un sistema ternario, ossia un sistema stellare costituito da almeno tre stelle, di cui le prime due furono rilevate grazie all’impiego di telescopi mentre l’esistenza della terza fu dedotta matematicamente. Gli astronomi hanno denominato le prime due stelle del sistema di Sirio, Sirio A e Sirio B; l’esistenza di quest’ultimo astro fu per la prima volta teorizzata dall’astronomo tedesco Friedrich Bessel a seguito di una serie di osservazioni di irregolarità nel moto di Sirio A, tuttavia bisognerà attendere il 1862 per la sua scoperta ufficiale, anno in cui l’astronomo statunitense Alvan Clark, utilizzando un telescopio tra i più perfezionati dell’epoca, ne scoprì l’esistenza.

La conferma dell’effettiva scoperta di Sirio B, tuttavia, giunse solo nel 1970, quando venne fotografata per la prima volta. È estremamente interessante notare come i Dogon sapessero e sappiano che Sirio non è un’unica stella, bensì un sistema ternario, un sistema stellare, cioè, costituito da tre stelle e di come siano anche al corrente del fatto che Sirio B effettua una rivoluzione intorno a Sirio A, descrivendo un’orbita ellittica in un periodo di 50 anni. I Dogon, inoltre, conoscono l’esatta posizione che Sirio A assume all’interno dell’orbita ellittica descritta da Sirio B.

Questo astro viene chiamato dai Dogon “Digitaria”, anche se nella lingua iniziatica i sacerdoti lo designano con il termine “Po Tolo”, dove “Tolo” significa “stella” e “Po” è il nome che i Dogon assegnano ad una particolare varietà di cereale la cui peculiarità risiede nel fatto che è piuttosto pesante nonostante le sue ridotte dimensioni, denotando quindi una notevole densità.

I sacerdoti non potevano scegliere un nome più appropriato per designare questo cereale, in quanto, si da il caso che Sirio B sia una nana bianca, ossia una stella caratterizzata da una densità estremamente elevata! Tale peculiarità fisica era conosciuta assai bene da questo popolo, difatti, di Po Tolo, i sacerdoti dicono che sia composta da una sostanza “più pesante di tutto il ferro della Terra”! La cerimonia più importante dei Dogon è indubbiamente il rito Sigui, dedicato a Digitaria, che viene celebrato ogni 50 anni, periodo corrispondente a quello di rivoluzione di Sirio B intorno a Sirio A (l’ultima celebrazione risale agli anni Sessanta).

Durante questa cerimonia rituale i partecipanti bevono una birra ottenuta facendo distillare l’estratto del seme del cereale da cui Sirio B prende il nome. Nel periodo delle celebrazioni in onore di Sirio, gli uomini intagliano la Grande Maschera, detta “Iminana”, dalle fattezze di un serpente allungato che talvolta raggiunge anche un’altezza di 10 metri.

Durante il Sigui, i Dogon mettono in scena danze rituali e narrano la storia delle loro origini servendosi dell’Iminana, la quale viene conservata in una caverna segreta sopra il villaggio ed utilizzata in occasione di questa cerimonia e dei funerali. Secondo una tradizione, difatti, allorché un membro della comunità viene a mancare, il suo spirito vaga inquieto alla disperata ricerca di una nuova “dimora” che lo possa ospitare. Il timore per ciò che potrebbe accadere ad un vivente, qualora lo spirito del trapassato prendesse possesso del suo corpo, spinge i Dogon a recarsi nella caverna nella quale è custodita l’Iminana e a portarla nella casa del defunto per una cerimonia rituale, il cui fine è quello di sollecitare lo spirito a entrare all’interno della maschera anziché del corpo di un vivente.

La profonda conoscenza che i Dogon dimostrano di possedere in merito al sistema di Sirio, comunque, va oltre. Difatti Ogo Temmeli rivelò a Griaule che una seconda compagna di Sirio A accompagna “Po Tolo” nella sua rivoluzione intorno alla stella principale, una compagna che i Dogon chiamano “Emmeia” o “Sorgo Femmina”.

Quando il sacerdote Dogon svelò a Griaule l’esistenza di una terza stella nel sistema di Sirio, si rivolse all’antropologo francese con queste parole: “La stella Emmeia o Sorgo Femmina è più grande e quattro volte più leggera di Po Tolo e viaggia su una traiettoria maggiore nella stessa direzione. È proprio Sorgo Femmina la sede delle anime di tutti gli esseri, viventi e futuri.”

Fino a poco tempo fa, nel mondo accademico, non si faceva menzione di Sirio C, ritenendo il sistema stellare di Sirio binario e non ternario; tuttavia, recentemente, gli astronomi si sono dovuti ricredere, dando ragione ai Dogon, in quanto l’esistenza di Sirio C è stata rilevata a seguito degli effetti perturbatori che questa stella esercita sulle orbite dei due corpi principali. Sirio C orbiterebbe intorno a Sirio A in un periodo di 6 anni ed è quasi certamente una nana rossa di magnitudine 15, vale a dire milioni di volte meno luminosa di Sirio A, quindi la sua luminosità verrebbe celata da quella ben maggiore della stella principale.

Non esistono ancora strumentazioni ottiche sufficientemente sofisticate da consentire l’osservazione di un corpo celeste la cui luminosità risulta essere di diversi ordini di grandezza inferiore a quella della stella principale intorno alla quale ruota, né, a maggior ragione, è possibile osservare un simile astro ad occhio nudo. L’esistenza di Sirio C, difatti, è attestata solo da complicati algoritmi eseguiti nel 1997.

La straordinarietà delle cognizioni astro-cosmogoniche relative al sistema stellare di Sirio, come di altri corpi celesti, risiede nel fatto che un tale nozionismo scientifico non può essere in alcun modo acquisito senza l’ausilio di adeguate e sofisticate apparecchiature strumentali.

La conoscenza che i Dogon hanno dell’universo non è tuttavia limitata al sistema stellare di Sirio, difatti i sacerdoti sono soliti raffigurare, ad esempio, il pianeta Saturno con due cerchi concentrici, inducendo a ritenere che essi sappiano che il sesto pianeta del Sistema Solare è circondato da un sistema di anelli. Di Giove i Dogon sanno che si muove assieme a “quattro compagne”, verosimilmente identificabili con i quattro satelliti galileiani, Io, Europa, Ganimede e Callisto, corpi che l’astronomo pisano scoprì nel 1610 grazie al suo rudimentale telescopio.

Anche la Terra sembra non avere segreti per i Dogon, i quali, difatti, amano raffigurarla come una sfera, dando dimostrazione del fatto che un gruppo etnico allo stadio tribale e ad un livello di civilizzazione preindustriale era a conoscenza del fatto che il pianeta che lo ospita non è piatto, come fino a qualche secolo fa riteneva la scienza ufficiale, bollando come eretici chiunque osasse proporre teorie alternative.

Della Terra i Dogon sanno anche che ruota intorno al proprio asse e insieme ad altre sfere, verosimilmente gli altri pianeti del Sistema Solare, anche intorno al Sole. Sanno inoltre che il satellite naturale della Terra, la cara vecchia Luna, è “morta e disseccata” e che l’Universo “è un’infinità di stelle e di vita intelligente”! I sacerdoti, infine, sostengono che la galassia di cui il Sistema Solare fa parte, la Via Lattea, esegue un movimento a spirale cui partecipa anche il Sole con tutti i suoi pianeti. Questo dato venne ottenuto dagli astronomi occidentali solo all’inizio del ventesimo secolo, nonostante i Dogon lo conoscessero, sia pure in forma simbolica, da migliaia di anni.

Molte antiche civiltà svilupparono una conoscenza della volta celeste piuttosto approfondita, basandosi, nella quasi totalità dei casi, sulla paziente osservazione ad occhio nudo del cielo stellato. Tale conoscenza, nella stragrande maggioranza dei casi, era finalizzata all’interpretazione del moto dei corpi celesti, poiché si riteneva che essi potessero influenzare le decisioni, le azioni ed i pensieri degli uomini e perché si credeva che potesse essere utilizzata anche per preconizzare gli accadimenti futuri.

L’etnia Dogon, tuttavia, si differenzia notevolmente da queste civiltà in quanto le cognizioni astronomiche di cui gli anziani ed i sacerdoti sono in possesso costituiscono un vero e proprio nozionismo scientifico, la cui natura e origine sfuggono ancora ad una spiegazione razionale.

I propugnatori dell’ipotesi extraterrestre e gli studiosi di paleoastronautica, ossia di quella disciplina di frontiera che si prefigge lo scopo di studiare ed analizzare gli anacronismi storico-archeologici presumibilmente imputabili a possibili incontri avvenuti nel passato tra l’uomo ed antichi astronauti esponenti di una o più civiltà aliene giunti sulla Terra, avanzano l’ipotesi secondo cui le incredibili cognizioni astro-cosmogoniche in possesso dei Dogon costituiscano una sorta di reminiscenza culturale di contatti verificatisi nel lontano passato tra gli antenati di questi ultimi ed una legazione aliena proveniente da uno o più mondi appartenenti al sistema stellare di Sirio.

È interessante sottolineare che i Nommo, le creature civilizzatrici provenienti dalle stelle e considerate semidivine, sono raffigurati per metà umani e per l’altra metà pesci, ossia come esseri anfibi.

Una leggenda Dogon narra che i Nommo raggiunsero la Terra a bordo di una grande arca circolare, la quale atterrò producendo un rumore assordante e provocando una violenta tempesta di sabbia.

Ogo Temmeli descrisse l’evento a Marcel Griaule con le seguenti parole: “Il dio dell’universo Amma aveva mandato sulla Terra il Nommo. Il Nommo atterrò nell’arida valle della volpe. Mentre la sua arca scendeva, un’enorme nuvola di polvere si alzò dal terreno. Il Nommo era rosso come il fuoco, ma quando atterrò divenne bianco. Intanto, una stella era apparsa nel cielo, ma sparì quando il Nommo se ne andò.”

Alcuni studiosi interpretano alla lettera questa rivelazione ed ipotizzano che il Nommo sia in realtà la rappresentanza aliena incaricata di stabilire un contatto con la nostra civiltà e che la frase “atterrò nell’arida valle della volpe” si riferisca al fatto che la legazione extraterrestre atterrò da qualche parte in Egitto a bordo di un veicolo spaziale. Nel corso della manovra di atterraggio, l’arca dei Nommo, ossia la navicella spaziale, avrebbe sollevato una tale quantità di polvere e di sabbia dal terreno da sembrare a tutti gli effetti una vera e propria tempesta di sabbia naturale.

La quarta frase, sempre secondo i fautori dell’ipotesi extraterrestre, è particolarmente illuminante, in quanto il Nommo sarebbe il veicolo alieno mentre il cambiamento di colore dal rosso al bianco di quest’ultimo, verificatosi durante la manovra di atterraggio, richiama alla memoria una caratteristica che contraddistingue gli odierni UFO (“Unidentified Flying Objects”, oggetti volanti non identificati) in numerosi avvistamenti; ossia il fatto che il colore della luminescenza da loro emessa muta a seconda della manovra che stanno compiendo.

Al fine di comprendere la causa della variazione cromatica associata alla modificazione dell’assetto di volo di tali velivoli di presunta natura aliena, è inevitabile fornire qualche dettaglio tecnico. L’intensa luminosità che caratterizza la maggior parte degli oggetti volanti non identificati avvistati nei cieli di tutto il mondo e che potrebbe celare al suo interno un oggetto strutturato sarebbe in realtà una sorta di involucro di plasma formatosi intorno al veicolo a seguito della ionizzazione delle molecole dei gas presenti nella regione di spazio atmosferico localizzata nelle sue immediate vicinanze.

Il sistema propulsivo del veicolo comporterebbe l’emissione di un campo energetico radiante di natura elettromagnetica, la cui intensità sarebbe tale da eccitare e rimuovere gli elettroni della configurazione elettronica esterna degli atomi costituenti le molecole di determinati gas atmosferici.

In questo modo verrebbe a costituirsi una sfera di plasma in cui coesistono molecole ed atomi ionizzati ed elettroni liberi; stato della materia, quest’ultimo, molto particolare, in cui gli elettroni liberi sono caratterizzati da un’elevata energia e sono responsabili dell’eccitazione di quelli contenuti nelle molecole dei gas.

Tale eccitazione, a seguito della collisione tra gli elettroni liberi e le molecole dei gas atmosferici, è sufficiente a scagliare gli elettroni di queste ultime ad un livello energetico superiore e non appena essi ritornano allo stato energetico fondamentale (ossia di riposo) le molecole dei gas cedono l’energia precedentemente assorbita attraverso l’emissione di fotoni, la cui lunghezza d’onda è compresa nella banda del visibile dello spettro elettromagnetico e corrisponde, ad esempio nel caso in cui l’oggetto si muova in quota, al colore rosso.

È lecito a questo punto ipotizzare che una variazione dell’assetto di volo, finalizzata ad esempio a compiere una manovra di atterraggio, comporti una modificazione dei parametri del sistema di navigazione e che tale modificazione si rifletta in una variazione delle modalità di funzionamento del sistema propulsivo ed in un conseguente mutamento dell’intensità del campo elettromagnetico emesso dall’oggetto.

Al variare dell’intensità del campo elettromagnetico varierebbe anche il grado di ionizzazione delle molecole dei gas atmosferici e la natura stessa di tali gas ed in ultima analisi la lunghezza d’onda dei fotoni emessi, lunghezza d’onda che potrebbe corrispondere ad un colore dell’alone di ionizzazione, nella fattispecie il bianco, diverso da quello associato allo spostamento dell’oggetto in quota.

L’ultima frase del sacerdote Dogon induce gli studiosi di paleoastronautica ad ipotizzare che la stella apparsa nel cielo durante l’atterraggio dell’arca dei Nommo sia in realtà un’astronave madre di grandi dimensioni rimasta in quota e da cui sarebbe partita l’arca, identificabile, a questo punto, in una sorta di navicella di ricognizione.

Tale ipotesi, peraltro, sarebbe coerente con l’ultima parte della frase, quella in cui Ogo Temmeli racconta che la stella apparsa in cielo scomparve non appena il Nommo se ne andò, fatto che potrebbe essere interpretato come la partenza dell’astronave madre dopo il rientro della navicella di ricognizione. Sempre secondo quanto narrato da questa leggenda, le creature anfibie provenienti dalle stelle, una volta ‘sbarcate’ dall’arca, cercarono un luogo in cui vi fosse dell’acqua in cui immergersi, comportamento che avrebbe ingenerato negli antenati dei Dogon la credenza che i Nommo fossero effettivamente esseri anfibi.

Lo studioso statunitense Robert Temple, nel libro “The Sirius Mystery” – “Il Mistero di Sirio”, avanza l’ipotesi secondo cui il presunto “incontro ravvicinato” che i Dogon avrebbero avuto con la delegazione aliena proveniente da Sirio non abbia avuto luogo in realtà nella regione in cui oggi risiedono i Dogon, cioè il Mali, bensì altrove, in quanto i loro antenati vi si stabilirono a ondate successive in epoca relativamente recente, tra il 1200 ed il 1500 d.C..

Secondo quanto riportato da Temple nel suo libro e postulato anche da alcuni etnologi, questo gruppo etnico in realtà sarebbe costituito dai diretti discendenti di un antico popolo di origine mediterranea, i Garamanti, i quali, in un remoto passato, stabilirono contatti culturali e commerciali con gli antichi Egizi e gli Assiro-babilonesi in Mesopotamia. Nel corso dei secoli i Garamanti si sarebbero progressivamente spinti verso le regioni situate a sud-ovest del deserto del Sahara, dove si sono definitivamente stabiliti.

Il fatto che in Egitto e soprattutto in Mesopotamia, siano state rinvenute curiose raffigurazioni e bizzarre statuine di creature anfibie, quali, ad esempio, il mostruoso istruttore Oannes babilonese ed i mitici Dagon e Atargatis dei Filistei, nonché testi in cui tali ibridi uomo-pesce sono i protagonisti di leggende e tradizioni, induce i fautori dell’ipotesi extraterrestre a ritenere che gli antenati dei Dogon, i Garamanti, abbiano acquisito le conoscenze astro-cosmogoniche, che in futuro avrebbero reso così famosi i loro discendenti, a seguito degli scambi culturali con le popolazioni dell’antico Egitto e della terra del Tigri e dell’Eufrate, popolazioni che avrebbero interagito nella notte dei tempi con una civiltà proveniente dal sistema stellare di Sirio.