Il riferimento a Chresto nella Vita Claudii

Il riferimento a Chresto nella Vita Claudii
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Svetonio parla realmente di Gesù? Il riferimento a Chresto nella Vita Claudii 25.4

Gaio Svetonio Tranquillo (70-126 d.C.), scrittore romano d’età imperiale ed esponente di spicco del genere biografico, ricoprì cariche molto importanti: fu archivista, bibliotecario imperiale e segretario personale (magister epistolarum) dell’imperatore Adriano, che regnò dal 117 al 138 d.C. Possiamo quindi supporre che avesse accesso ai documenti più importanti degli archivi imperiali. La sua opera principale, il De Vita Caesarum (trad. “Sulla vita dei Cesari”), scritta sotto forma di biografia, comprende, in ordine cronologico, i ritratti degli imperatori romani da Cesare a Domiziano. In un passo della biografia di Claudio, imperatore dal 41 al 54 d.C., Svetonio riferisce di alcuni disordini provocati dai Giudei su istigazione di un certo Chrestus, per i quali l’imperatore emise un mandato di espulsione.

 Il testo, nell’originale latino presente in Vita Claudii, 25.4, recita: – Iudaeos impulsore Chresto assidue tumultuantis Roma expulit, la cui traduzione in italiano è: “[Claudio] espulse dalla città i Giudei che per istigazione di Cresto erano continua causa di disordine”

Il brano è oggetto di controversie tra gli studiosi accademici. Come riportato anche dallo storico cristiano Paolo Orosio (Historiae adversus paganos VII, 6, 15-16), vissuto a cavallo tra il IV e V secolo d.C., Svetonio si riferisce all’espulsione da Roma dei Giudei avvenuta nel 49 d.C. su istigazione di un certo Chrestus, da alcuni visto come un sobillatore, da altri identificato con il Cristo dei Vangeli (secondo questa seconda interpretazione, i Giudei “cristiani” sarebbero stati istigati dalla sua dottrina).

 Altri studiosi, invece, rigettano completamente l’interpretazione secondo cui Chrestus sarebbe il Cristo dei Vangeli, sostenendo che probabilmente il lessema si debba interpretare come nome proprio. Cresto sarebbe dunque il nome di un sobillatore vissuto sotto il regno di Claudio, che istigò i Giudei a ribellarsi contro i Romani. In effetti Chrestus era un nome piuttosto frequente tra gli schiavi e i liberti nel mondo Romano, variamente attestato anche a ridosso della via Appia già a partire dalla fine della età tarda repubblicana

Il termine deriverebbe dal greco krestòs, che significa “buono”, “valente”, “virtuoso”3 , anche in senso morale. La lettura del termine Chrestus non è apparentemente così scontata: difatti in epoca imperiale era presente un’ambivalenza tra la lettera iota (pronunziata come un “i” italiana) ed eta (pronunziata come una “e”)4. Tale fenomeno comportava che la forma scritta Chrestus veniva nel parlato pronunziata come Christus.

Tali fenomeni, noti come itacismi, sono molto diffusi nelle testimonianze storiografiche degli scrittori arcaici; ne è un esempio un passo di Arriano di Nicomedia (Anabasi di Alessandro 1.13), dove l’autore riporta Telmìsseus con lo iota anziché Telmèsseus con la eta, che è la parola più comunemente utilizzata nel greco classico.5

L’apologeta cristiano Paolo Orosio (375-420 ca.), discepolo e collaboratore di sant’Agostino, riporta il passo di Svetonio nelle sue Historiae adversus paganos (ultimate poco prima di morire), rimanendone colpito e informandoci che di questa vicenda aveva parlato anche Giuseppe Flavio nelle sue opere:

 “Nel nono anno dello stesso regno, racconta Giuseppe che per ordine di Claudio i giudei furono espulsi dall’Urbe. Ma più mi colpisce Svetonio, che si esprime così: “Claudio espulse da Roma i Giudei in continuo tumulto per istigazione di Cristo”; dove non si riesce a capire se egli ordinò di infrenare e di reprimere i giudei tumultuanti contro Cristo, oppure se volle che anche i cristiani fossero espulsi con essi, come gente di religione affine” (Historiae adversus paganos VII 6,15-16).

 Dalla testimonianza dello storico cristiano, veniamo a sapere che anche lo storico ebreo Giuseppe Flavio in un brano delle sue opere, oggi andato perduto, riferiva dell’espulsione dei Giudei da Roma, avvenuta nell’anno 49 sotto il regno di Claudio; lo stupore di Orosio nel leggere l’opera di Svetonio lascerebbe tuttavia trapelare che lo storico ebreo non avesse identificato i Giudei espulsi da Roma con i Cristiani seguaci di Gesù6.

L’errore commesso da Orosio nello scambiare i Giudei seguaci di Chrestus con i Cristiani del Nuovo Testamento, è reso evidente dalla analisi comparativa che segue.

 Della espulsione dei Giudei da Roma avvenuta nel 49, fanno menzione anche gli Atti degli Apostoli, dove l’evangelista Luca ci informa che in quel periodo l’apostolo Paolo fu ospite di due Giudei, Aquila e Priscilla, che furono espulsi in seguito al decreto di Claudio Cesare:

 “Dopo di ciò Paolo partì da Atene e venne a Corinto, dove trovò un Giudeo di nome Aquila, nativo del Ponto, appena giunto dall’Italia con sua moglie Priscilla, perché Claudio aveva ordinato che tutti i Giudei se ne andassero da Roma. Paolo si reco da loro, e poiché erano dello stesso mestiere, prese alloggio presso di loro e lavorava: erano infatti fabbricanti di tende” (At 18,1-3).

Aquila, citato in questo passo, è un Giudeo espulso da Roma per ordine di un decreto di Claudio. Se egli fosse stato istigato dal Gesù dei Vangeli, l’evangelista lo avrebbe definito “Cristiano”, non Giudeo. Infatti Luca è esplicito: Paolo soggiornò dai Giudei non perché essi erano cristiani, ma perché erano dello stesso mestiere, cioè fabbricanti di tende, e perciò l’apostolo trovò lavoro presso di loro.

 Riassumendo

Negli Atti degli Apostoli, l’evangelista Luca riferisce che, recatosi a Corinto, Paolo trovò soggiorno presso due Giudei, Aquila e Priscilla, espulsi dall’Italia a causa del decreto dell’imperatore Claudio emesso nel 49, che imponeva a tutti i Giudei (Pàntas toùs Ioudaìous) di andarsene da Roma. Se dunque il Chrestus di Svetonio fosse stato il Gesù dei Vangeli, l’evangelista Luca (il redattore degli Atti) l’avrebbe certamente precisato, trattandosi del proprio dio; invece non solo non lo riferisce, come sarebbe naturale che facesse se i Giudei fossero stati ispirati da Gesù, ma addirittura non identifica Aquila e Priscilla con i Cristiani del Nuovo Testamento, chiamandoli Giudei e lasciando intendere che Paolo avesse alloggiato presso di loro non perché condividevano la stessa dottrina, ma perché erano dello stesso mestiere (At 18,2). Infatti Aquila e Priscilla diverranno “Cristiani” solamente in seguito (vedi At 18:18 e At18:26) e, precisamente, un anno e mezzo più tardi (vedi At 18:11), quando Lucio Giunio Gallione divenne proconsole dell’Acaia1.

 

Se dunque i Giudei istigati da Chrestus fossero stati i Cristiani seguaci di Gesù, l’evangelista, presumibilmente, lo avrebbe riferito, invece così prosegue:

 “Quando Sila e Timòteo giunsero dalla Macedonia, Paolo si diede tutto alla predicazione, attestando ai Giudei che Gesù è il Cristo. Ma resistendo essi e lanciando bestemmie, scosse la polvere dalle vesti dicendo: “Il vostro sangue cadrà sul vostro capo: io non ne ho colpa. Da ora in poi andrò dai pagani” (At 18:5,6).

 In seguito a questi fatti, Paolo andò via dalla casa di Aquila e Priscilla per trasferirsi da un certo Tizio Giusto (vedi At 18:7), e la loro conversione non avverrà prima di un anno e mezzo dopo (vedi At 18:11).

Anche Eusebio di Cesarea, nella sua Storia ecclesiastica, riferisce il passo di Luca relativo ad Aquila e Priscilla, ponendolo in relazione con il decreto di Claudio contro i Giudei:

In quel tempo, mentre Paolo concludeva il viaggio da Gerusalemme e dai suoi dintorni fino all’Illirico, Claudio cacciò da Roma i Giudei. Aquila e Priscilla, costretti a lasciare la città insieme con gli altri Giudei, approdarono in Asia, dove vissero con l’apostolo Paolo, che vi consolidava le fondamenta delle Chiese da lui appena poste, come ci insegna il sacro testo degli Atti” (Storia Ecclesiastica II,18.9).

Il vescovo cristiano Eusebio di Cesarea, dunque, in accordo con l’evangelista Luca, non riconosce i giudei espulsi da Roma con i Cristiani neotestamentari.

Di decisiva risoluzione potrebbe essere il riferimento ai Christiani riportato da Svetonio in Nero 16, definiti dallo scrittore «razza di uomini di una superstizione nuova e malefica»2. Difatti se lo scrittore latino con il termine Chrestus avesse voluto indicare il Cristo neotestamentario, la forma corretta della lezione Christiani contraddirebbe la forma errata della parola Chrestus riportata in Vita Claudii 25.4.

In definitiva possiamo stabilire che i Giudei citati da Svetonio non possono essere identificati con i Cristiani del Nuovo Testamento; più verosimilmente è possibile interpretare Chrestus, citato come istigatore delle rivolte in Vita Claudii 25.4, come un nome proprio di persona, peraltro variamente attestato nella Roma imperiale dell’epoca, probabilmente da indentificare come uno schiavo o liberto di origine giudaica.

Alessio De Angelis

Studioso e ricercatore neotestamentario


1 Il testo latino, reperibile online e tradotto da Maximiliam Ihm, è disponibile nel seguente sito alla voce Divus Claudius: http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Roman/Texts/Suetonius/12Caesars/home.html

2 Vedasi, exempli gratia, l’iscrizione CIL VI, 28659 denominata di «Vettenia Afrodisia» e databile a I secolo d.C., che riporta: Vettene Afrodisia, liberta dei due Gaii, eresse da viva a Gaio Vetteno Cresto liberto di Gaio e a se stessa. Cfr. Spera L., Mineo S., Antiche strade. Lazio. Via Appia vol. I. Da Roma a Boville, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 2004, pag. 157.

3 Così il Montanari, uno dei più autorevoli dizionari di greco in commercio, alla voce χρηστός.

4 Il fenomeno è grammaticalmente noto come itacismo.

5 Confusioni tra eta e iota per “Cristo” e/o “Cristiani” sono attestate anche dai primi Padri apologisti, come Giustino (Apologia I, 4, 1-5) e Tertulliano (Apologeticum, Cap. III), che riporta: “Cristiano, per quanto concerne il significato del nome, deriva da unto. E anche quando viene erroneamente pronunciato da voi come Crestiano (giacché non conoscete neppure accuratamente quel nome che tanto avversate) proviene da dolcezza e da benevolenza.”

6 Come detto il passo di Giuseppe Flavio riferito dallo storico cristiano Orosio non è, purtroppo, pervenuto fino a noi. La totale assenza di questo brano nelle opere dello storico ebreo contribuirebbe, pertanto, a mettere in seria discussione l’affidabilità storica della citazione di Orosio.

7 Ovvero nel 52 d.C., come testimoniato dall’iscrizione di Delfi, i cui frammenti furono rinvenuti nel corso degli scavi condotti dalla Scuola francese di Atene fra il 1892 e il 1905. L’epigrafe, tradotta in italiano e ricostruita nelle sue parti frammentarie, riporta: «Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico [nel XII anno della sua] potestà tribunizia, acclamato imperatore per la sua XXVI volta, padre della patria, saluta […]. Già da tempo verso la città di Delfi sono stato non solo ben disposto, ma ho anche avuto cura della sua prosperità e sempre ho protetto il culto di Apollo Pitico. Ma poiché ora si sente dire che viene abbandonata anche dai cittadini, come mi ha da poco riferito L. Giunio Gallione, amico mio e proconsole, desiderando che Delfi conservi intatta la sua primitiva bellezza, vi ordino di chiamare anche da altre città a Delfi degli uomini liberi come nuovi abitanti e che a essi e ai loro discendenti sia integralmente concessa la stessa dignità di quelli di Delfi, in quanto cittadini in tutto e per tutto uguali […]» (traduzione italiana di Penna R., L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane. Una documentazione ragionata, La Bibbia nella Storia, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna, 1984, pp. 251-252.

8 Il testo latino, reperibile in http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Roman/Texts/Suetonius/12Caesars/home.html alla voce Nero, riporta: afflicti suppliciis Christiani, genus hominum superstitionis nouae ac maleficae (Svetonio, Nero 16.2).