Il segreto perduto di Göbekli Tepe

Il segreto perduto di Göbekli Tepe
Göbekli Tepe, un mondo di 12˙000 anni fa sepolto dai suoi costruttori

– La scoperta dell’antico tempio neolitico

Il momento in cui Klaus Schmidt poté osservare da vicino quella singolare collina con uno strano dosso nella sua sommità che gli abitanti del luogo chiamavano confidenzialmente “pancia” modificò per sempre il nostro concetto della storia dell’uomo. Una maestosa opera architettonica si celava sotto quella terra arida, un edificio religioso composto da più templi circolari eretta intorno al 10˙000 a.C. da una cultura che avrebbe dovuto essere di soli cacciatori-raccoglitori.

Il sito è chiamato Göbekli Tepe (letteralmente collina con la pancia) ed è dislocato nell’odierna Turchia Sud-orientale nella provincia di Sanliurfa vicino al confine con la Siria. La forma apparentemente “artificiale” del pendio portò gli addetti ai lavori a valutarne il peso archeologico fin dagli anni ‘50 ma dopo gli iniziali sopralluoghi venne bocciato nel 1960 sia dall’Università di Chicago che da quella di Istanbul considerandolo un semplice un tumulo medievale in cui emergevano delle “singolari” lapidi in roccia calcarea.

Nel 1994 nuove segnalazioni degli abitanti del luogo riguardo i frequenti affioramenti di possibili reperti archeologici fanno muovere lo stesso museo di Sanliurfa che solletica con insistenza una nuova verifica ed è proprio Klaus Schmidt (che in quel momento stava lavorando in alcuni siti neolitici più a nord), che dopo aver letto la lapidaria relazione del 1960 dell’archeologo Peter Benedict si incuriosisce alla vicenda e si reca con la sua squadra a fare un sopralluogo nella “Collina con la pancia”.

Schmidt ricorda che appena giunto con la sua spedizione non aveva avuto il minimo dubbio su cosa celasse il ventre della collina, «era evidente fin da subito che quello era stato un gigantesco sito dell’età della pietra». «Avevo due possibilità» ama ricordare Schmidt «Andare via senza dirlo a nessuno o passare il resto della mia vita lavorativa qui».

Appena iniziarono gli scavi Schmidt comprese immediatamente che i bianchi megaliti affioranti che erano stati considerati decenni prima semplici lapidi tombali (d’epoca medievale) erano in realtà degli imponenti pilastri a forma di T d’epoca neolitica. Questo tipo di manufatto era noto all’archeologo che ne aveva studiati alcuni di simili qualche anno prima nel sito neolitico di Nevali Çori ma la grandiosità dei pilastri di Göbekli Tepe non aveva pari.

Gli scavi ne portarono alla luce decine di dimensione variabile dai 2 ai 7 metri d’altezza. In qualche anno gli archeologi di Göbekli riuscirono a ricostruire quattro grandi cerchi megalitici dal diametro variabile dai 10 ai 30 metri composti interamente da questi pilastri a forma di T spesso sostenuti (e recintati) da dei muri a secco strettamente adiacenti.

Secondo Schmidt i pilastri rappresenterebbero degli esseri umani stilizzati a cui venivano scolpiti dei tratti umanoidi, ma l’archeologo tedesco va oltre nella sua interpretazione simbolica ipotizzando in quelle immagini una prima forma di “religione moderna” «penso che qui siamo faccia a faccia con la prima rappresentazione degli dei. I pilastri non hanno né occhi né bocca ma hanno le armi e le mani. Essi sono quindi responsabili».

– Il culto degli animali

Göbekli TepeL’elemento più stupefacente del sito neolitico consiste senza dubbio nella moltitudine di bassorilievi scolpiti che decorano gli stessi Pilastri. Serpenti, volpi, avvoltoi, leoni, cinghiali e tori si intrecciano sulla pietra calcarea insieme ad animali meno feroci come Ibis, gru, anatre, asini senza dimenticare le grandi immagini di ragni e scorpioni.

Un vero e proprio «zoo dell’età della pietra» secondo gli archeologi.

Gli uomini di Göbekli scolpivano la pietra calcarea con dei semplici utensili di selce scheggiata ma con una straordinaria abilità raffigurando il mondo che vedevano dinanzi ai loro occhi di cacciatori-raccoglitori, un mondo che assomigliava a un antico Paradiso Perduto ricco di flora e fauna di cui l’uomo era parte integrante. Tra i cerchi megalitici sono state anche disseppellite statue vere proprie (come una testa umana e un uomo con il pene eretto) ma anche complessi altorilievi vennero scolpiti direttamente sulle pareti dei pilastri stessi spesso nella forma di animali feroci.

Per quanto ciascun cerchio megalitico abbia al suo interno due imponenti pilasti-umanoidi a forma di T Schmidt non crede (come ipotizzato da alcuni colleghi) che questi rappresentassero un uomo e una donna né che il tipo di culto praticato a Göbekli Tepe si avvicinasse ai riti della fertilità ritrovati nelle più tarde comunità vicine.

In questo modo l’archeologo tedesco si oppone alla vecchia teoria della Dea-Madre neolitica ipotizzata dal famoso scopritore del sito di Catal Höyük, James Mellaart che ipotizzava per il mondo neolitico un grande culto della fertilità. Per Schmidt in tutte le raffigurazioni fin’ora portate alla luce non ci sono chiari simboli della fertilità e persino gli animali scolpiti hanno per buona parte chiari tratti maschili, mentre le colonne risultano totalmente asessuate.

Un accenno a parte va fatto per il cosiddetto culto degli avvoltoi ipotizzato dall’archeologo francese Danielle Stordeur. Analizzando il grande numero di questo tipo di raffigurazioni presenti a Göbekli e confrontandole con quelle ritrovate in altri siti neolitici della zona ha riscontrato l’insolito prestigio di questa razza di volatili.

Per Stordeur questi uccelli mangiatori di cadaveri potevano rappresentare (per le popolazioni neolitiche) un possibile tramite tra umano e divino, erano degli esseri cioè che cibandosi della carne dei morti avrebbero portato i medesimi fino al cielo. Non si sbilancia invece sulla difficile ipotesi di cosa rappresentino determinati avvoltoi scolpiti in forma quasi umanoide, ma è lo stesso Schmidt a smontare l’ipotesi di una qualche divinità-avvoltoio a Göbekli ipotizzando che siamo di fronte a sciamani che «danzano vestiti da avvoltoi».

– I primi geroglifici

Sotto gli imponenti bassorilievi, che ornano i pilastri a forma di T, è possibile distinguere delle immagini scolpite di dimensioni minori in cui i soggetti scelti risultano affiancati gli uni agli altri combinati in successioni che appaiono molto simili ai geroglifici che potremmo trovare nell’antico Egitto solo 7˙000 anni più tardi.

I soggetti scelti di queste catene simboliche sono per lo più animali delle specie più svariate che nell’incisione vengono affiancati a dei simboli astratti come il cerchio, la mezzaluna, il palo orizzontale e un segno ancora indecifrabile che assomiglia molto alla nostra “H”.

«Probabilmente si tratta di pittogrammi da cui le persone del luogo potevano trarre informazioni» ipotizza Schmidt,

costringendo il mondo a far anticipare l’idea della scrittura di migliaia d’anni. Secondo queste prove scolpite 12˙000 anni fa sui pilastri di Göbekli gli uomini si sarebbero mossi verso la strada del ricordo attraverso la comunicazione scritta prima ancora di fondare insediamenti stabili.

Difficile immaginare come si sia sviluppata nei millenni seguenti una simile cultura linguisticamente complessa e soprattutto come sia potuta svanire da ogni ricordo storico dell’uomo, che ha creduto sino ad oggi che la Storia (intesa come storia delle civiltà umane) prendesse avvio dai Sumeri e dagli Egizi, facendo profondare ogni epoca precedente nel concetto disorganico di Età della Pietra.

– Riscrivere la storia?

Ciò che sconvolse l’intero mondo accademico (e non) è la datazione che si riuscì a dare al sito attraverso il dissotterramento delle ossa di animali presenti nei vari strati. L’insediamento risaliva a circa 12˙000 anni fa in un periodo preistorico chiamato Neolitico Preceramico A, un periodo che si conclude circa nel 8˙700 a.C. e il sito è continuato ad essere sviluppato per più di 2˙000 anni prima d’essere seppellito per opera degli stessi autori.

Oltre all’incomprensibile domanda sul perché di un atto simile, su cosa spinge una società a sotterrare la sua opera più maestosa ciò che è apparso quantomeno singolare nella datazione dei reperti è che quelli più antichi, antecedenti al 9˙000 a.C., sono visibilmente più accurati e imponenti mentre le costruzioni successive che si avvicinano temporalmente al Neolitico Preceramico B appaiono molto meno elaborate tanto da far pensare a una progressiva decadenza di quella società neolitica. Una decadenza o un cambiamento d’abitudini che può aver condotto alla traumatica decisione di sotterrare il loro imponente tempio.

Come è stata però possibile il realizzarsi di una simile opera architettonica da parte di una società che tutti hanno creduto fin’ora vivere in piccoli gruppi in un’economia di stretta sussistenza?

Una società basata sulla caccia e il raccolto occasionale?

Schmidt tenta di rispondere frantumando questo schema evolutivo «I blocchi di calcare dei pilastri (il cui peso varia dalle 40 alle 60 tonnellate) sono stati estratti e scolpiti da migliaia di persone che non conoscevano ancora la ruota né la ceramica o i metalli, ma non avevano inventato nemmeno l’agricoltura o l’allevamento», questa evidenza dei fatti risulta inconciliabile con la visione classica dei cacciatori-raccoglitori in quanto per un simile compito era necessario un governo centrale in grado di coordinare masse di lavoratori indispensabili per la realizzazione di grandi monumenti.

Secondo quest’ipotesi non sarebbe stata l’agricoltura con il conseguente surplus di cibo a portare gli uomini a una vita sedentaria in gruppi che con il passare dei secoli sono cresciuti ma il desiderio di grandezza nel costruire questi imponenti monumenti a portare questa grande massa d’uomini a scegliere la vita sedentaria. Lo schema risulta affascinante ma ancora tutto da verificare.

«Per mantenere le migliaia di persone che costruivano il monumento a un certo punto la caccia non deve essere più bastata» rivela Klaus Schmidt

e la sua approfondita conoscenza del territorio della “Mezzaluna fertile” lo porta a formulare una precisa ipotesi sulla nascita dell’agricoltura «A pochi chilometri da Göbekli Tepe c’è il Monte Karaca Da, il luogo in cui sono stati rinvenuti i capostipiti selvatici del grano coltivato. Da quei campi naturali di cereali gli uomini devono aver cominciato a raccogliere i semi, per aver cibo abbondante e facile da conservare. Poi dalla raccolta si è passati alla coltivazione».

Quindi secondo Schmidt gli uomini accumunati nella decisione di erigere Göbekli Tepe hanno modificato il loro status e le loro abitudini diventando sedentari e iniziando così a erigere le loro comunità in quell’antica mezzaluna fertile che è poi diventata la culla di tutte le civiltà. Il prezzo di questa scelta che ha forgiato la società umana nella forma in cui la conosciamo ha però spezzato l’equilibrio che esisteva fino ad allora tra uomo e natura modificando con l’agricoltura la flora rigogliosa dell’antica mezzaluna e trasformandola in un territorio molto più arido.

La caduta dell’innocenza nomade dell’uomo era avvenuta, in quelle nuove condizioni i Pilastri-totem sarebbero stati sostituiti da divinità da temere, divinità plasmate su quel nuovo paesaggio. Il mondo paradisiaco di Göbekli Tepe era perduto.

Paolo Battistel


Paolo Battistel nato a Torino si laurea in Ermeneutica Filosofica prendendo un indirizzo mitologico-religioso. Formato nell’analisi archeologica e mitologica delle religioni antiche si specializza nell’analisi delle civiltà mesopotamiche e nord-europee. Attualmente lavora come giornalista freelance collaborando con diverse riviste specialistiche e non. Email: paolobattistel3@gmail.com