Inanna. Il potere della Dea dal Cielo agli Inferi

Il Giornale OnlineTratto dal numero 102 di Hera – Luglio 2008

di Alessandra Aries

L’eternità del Mito fa parte della Terra di luce. La grandiosità della storia appartiene alla terra delle trasformazioni ideologiche e non solo. L’Uomo è da sempre la storia, e ogni divinità, crea il Mito per fondare una storia che sia anche l’inesauribile fonte del pensiero religioso. Espressione dei puri sentimenti umani: dalla Terra al Cielo, dall’Uomo a Dio, nel luogo in cui il tempo non vi dimora, e lo spazio non è delimitato se non dalla fede e da un continuo pensiero eccelso d’amore…

Ci sono Miti che si estendono nella dimensionalità storica. Vi è la storia, che elevando se stessa diventa il “Mito”, e la mitologia è la consapevolezza di una realtà che trascende il quotidiano vivere. Si parla, in questi termini di fisiologia del mito, per dirla con il grande studioso M. Untersteiner: è la potenza del logos che esercita una dinamica antitetica, per una storia che si trasforma, agendo e vivendo, di conseguenza, nel cuore del mito! Nel passato ci sono stati poeti e lirici che, come nel caso di Alcmane e Omero, seppero creare una poesia che divenne una vera cosmogonia poetica.

La forza poderosa dell’agire umano in termini di creazione poetica, dell’immortalità di un’arte che infonde vitalità nel cuore degli umani! Affermando questo, vorrei portare l’attenzione intorno al discorso poetico dell’amore, o poesia amorosa, che la bellissima dea mesopotamica Inanna compose, o meglio, creò per l’amato dio-Pastore Dumuzi, promesso sposo e fratellastro del dio del Sole Utu. Una poesia d’amore che la dolcissima Inanna donò al mondo degli umani che appartenevano alla rigogliosa e complessa città di Uruk, posta sotto la protezione della divina creatura. Ma è proprio un poema d’amore, o cela tra le righe un possibile mistero?

Stiamo indagando nell’arcano mondo dei sumeri, enigmatico e inafferrabile la cui origine, forse, è di derivazione da un Altro contatto! Un possibile parallelo universo? Per uno strano fato, la dea Inanna-Ishtar si trovò a dover percorrere, incontrando due aspetti dell’esistenza; due enti-essenza della religiosità: una cruenta morte e successivamente il ritorno all’eterna vita, essendo stata salvata e cosparsa del cibo e dell’acqua che non periscono mai.
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Il pensiero dell’acuto osservatore si rivolge dunque verso un insolito aspetto della realtà non umana, bensì ultraterrena, quella che per i Greci antichi era l’Ade, o i Campi Elisi di romana memoria, quando avendo, ormai, consumato il filo a nostra disposizione che tiene ancorate le anime ai corpi sulla terra, necessariamente si deve oltrepassare il fiume Stige, immergendoci in quel parallelo altro luogo in cui si dimorerà in un infinito tempo! In Terra? In Cielo?

Chi può, dunque, dare certezza a un simile arcano quesito? Sicuramente, nessuno ha mai fatto ritorno da quel parallelo Altro, ma dalla letteratura classica, biblica, poetica in genere, mitologica, sumera, egizia, etrusca possiamo apprendere e solo ipotizzare o immaginare cosa avviene, quando, le anime abbandonano la materia, cioè i corpi. Non ci resta, allora, che riprendere il viaggio della bella Inanna per ritornare nel mondo delle ombre, e del non ritorno! E, per un verso puntare il nostro obiettivo d’indagine su una questione rilevante: la particolare grafia cuneiforme.

Scrittura divina
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Nel IV millennio i segni cuneiformi subentrarono, sostituendo di fatto, la grafia pittografica, cioè figure-simboli che indicano un oggetto, un pensiero della realtà, economica e sociale in genere. Una transizione – come amo definirla – grafica che secondo la mia tesi dovrebbe suscitare forti dubbi, quesiti, ulteriori ricerche d’approfondimento. Il dato di fatto è in definitiva questo: osservando i caratteri cuneiformi, molto complessi nella decifrazione, formati da linee e da cunei, da cui la denominazione citata, si ha la sensazione, percezione, di trovarsi dinanzi non a una semplice scrittura, ma a un vero e proprio codice.

Un codice, che sembra la traslitterazione di una “mappa stellare”, una grafia del cielo di quel parallelo mondo da cui, forse, provengono gli Annunaki? Perché, allora, da una forma chiaramente visibile quale la “pittogramma grafia”, definiamola così, si passa a caratteri altamente complessi, di linee e cunei? Che sia un codice Annunako – o comunque di altra elevata e misteriosa intelligenza – donato agli uomini, dove poter inserire una duplice valenza di lettura? Una lettura sulla linea visibile, e una lettura profonda, un’ermeneutica esoterica, per i soli eletti?

Un codice la cui matrice scientifica interpretativa si è dimenticata perdendosi nel corso del tempo? Da molti anni assiriologi Come Jean Botterò, Giovanni Pettinato e Claudio Saporetti, studiano il vasto repertorio della letteratura sumeroaccadica, cercando di penetrare i segreti della lingua sumerica, molto complessa e ancora oggi non pienamente compresa. Sappiamo che da una fase arcaica (Uruk IV-III), con scrittura palesemente pittografica si passa alla grafia cuneiforme, (che secondo la mia visione, si avvicina molto a un codice stellare) con ricca produzione di testi risalenti al Ve IV millennio.

Produzione legata notevolmente all’attività amministrativa templare della enigmatica società di Uruk; le mega-edilizie templari come ipostasi di una società complessa e spersonalizzata. Dunque, quale possibile intelligenza superiore ha fatto dono ai “Figli dell’uomo”, istituendo una grafia che è contemporaneamente un codice? Che siano ancora una volta gli Annunaki di Nibiru, gli alati dèi che l’uomo sumero interpretò artisticamente per averli realmente contattati? Il punto nodale, la chiave interpretativa di ogni mistero è da ricercarsi, forse, nella dimensionalità arcana dei caratteri cuneiformi? Perché una simile espressione umana?

Che sia, invece, Divina comunicazione? I Testi egizi raccontano che il dio Toth nascose 36.535 rotoli nella Terra, e solo gli adepti potevano accedervi e usarli di volta in volta per il bene dell’Umanità. Se apriamo il libro di Enoch, è scritto che Dio consegnò ad Enoch i libri della sapienza, raccomandandogli di custodirli dal Diluvio Universale, cosa che egli fece, affidandoli a Matusalemme suo figlio. A sua volta consegnati a Lamech e al figlio di questi Noè, che li portò nell’Arca per salvarli custodendo la “sapienza divina”. In questo modo, dall’Alto, da un enigmatico contatto con una suprema Entità, fu consegnato a Enoch la saggezza della terra, su tavolette con scrittura celeste.

Che fosse, anche in questo caso, una forma grafica cuneiforme? A questo punto dell’indagine vorrei riprendere però l’affascinante e sospeso racconto di Inanna, nel suo insolito viaggio nel Kur, il luogo del non ritorno, per i sumeri, l’Ade per la mitologia classica.

La discesa di Inanna-Ishtar agli inferi

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I sentimenti degli dèi, come degli umani hanno occupato fin dai primordi della creazione universale, un fondamentale ruolo nelle azioni e nella dimensione miticopoetica dell’essere pensante terreno e non solo!

Amore, odio, gelosia: comuni sentimenti espressi, manifestati in tutte le civiltà conosciute, attraverso le parole della letteratura poetica, che meglio di ogni cosa, s’eleva verso il firmamento con le alate parole. Uomini e dèi uniti dai sentimenti e, come nel caso della leggenda di Inanna- Ishtar, l’amore per l’amato Dumuzi, il dolore straziante per la morte di questi, hanno offerto la linfa per creare parole che esprimono la profonda elevazione di un sentimento unico nell’universo: l’amore. «…

Nel deserto, mio Dumuzi t’eleverò un lamento. Il mio lamento per te! Il mio lamento per te! Lo farò udire fino all’Arali- Infernale; Lo farò udire a Badtibira; Lo farò udire a Dushuba: Lo farò udire nei pascoli: nell’ovile di Dumuzi! Oh… Dumuzi dai propositi affascinanti, dagli occhi belli…». In questi versi, d’immensa, profonda tristezza, la letteratura sumera si esprime al meglio attraverso le delicate parole della bella e sensuale dea Inanna- Ishtar, che disperatamente piange la morte del suo promesso sposo.

Il poema sumerico, definito dagli esperti oscuro e complesso, è di difficile interpretazione ermeneutica. In verità, in questo contesto, l’arcanicità del messaggio rivela elementi che tendono ad unire gli “enti” del Cielo, con le “essenze” della Terra. Un’ermeneutica, cioè, un’interpretazione che forse, potrebbe aprire la via alla magia sumera? Parole che nella dimensione esoterica – nascosta – rivelerebbero conoscenze alchemiche, e percorsi enigmatici di un sapere proveniente dall’Alto? Quella conoscenza sacra che gli Annunaki donarono ai “Figli dell’uomo”?

«… E’là che dimora, Dumuzi con la testa assassinata… Oh giacente! Oh Pastore giacente, Tu che poco fa, guardavi il tuo gregge, Oh Dumuzi Giacente!… Guardavi il tuo gregge, Alzatoti con il sole, Tu ascoltavi le tue pecore! Tu pascolavi le Tue pecore anche quando era tempo di dormire!… ». Questi versi, che sempre l’addolorata Inanna declama, ci riportano con la mente nei luoghi biblici, dove un altro Pastore «Pascolava il suo gregge, e vegliava … anche quando tutti dormivano…».

Sono le parole che leggiamo nel Vangelo di Giovanni [10,1-21], quando l’autore del testo sacro, descrive Gesù, con la pericope del Buon Pastore che offre la vita per il suo gregge! Gesù stesso si definì il “Buon Pastore”. Colui che vegliò nell’ora che precedette il suo arresto, quando il mondo nella sua inconsapevolezza dormiva! Come vegliava Dumuzi, la notte, sul gregge ch’egli amava. Perché una similitudine tra questi due testi distanti nel tempo e per area geografica? Cosa rivela, in verità, il senso figurato del “Buon Pastore” che veglia sul gregge?

Un contesto metaforico presente nel mito sumero, e nel Vangelo di Giovanni! Ancora una volta assistiamo ad una pura coincidenza di eventi contestuali? A priori, è quasi impossibile definire una chiara soluzione della questione che si presenta complessa, oscura, con certezze e molteplici dubbi, che vengono ad inglobare varie sfere investigative: archeologiche, letterarie, esegetiche, storiche, mitologiche, religiose, filologiche. Ad ogni modo, ricordiamo sempre che stiamo percorrendo i meandri letterari del poema d’amore della dea Inanna-Ishtar, la linea corre su un filo alquanto enigmatico, arcano, che si srotola lungo un percorso simbolico, e con parole indicanti, o che possono indicare una doppia valenza significativa.

La dea Inanna, viene spesso raffigurata con un aspetto guerriero, forte, possente, con grande ali che l’avvolgono, quasi fosse un rapace. Del rapace ha infatti gli artigli! L’accompagnano dei leoni – che simbolicamente vogliono richiamare il segno astrologico del Leone? Nelle due mani, che ella tiene alzate, ha un simbolo, che richiama per un verso la croce egizia Ankh anche se, forse, in una forma più arcaica, primitiva. La croce, sappiamo bene essere simbolo della vita eterna e Inanna, come dea dell’amore, incarna la dea del risveglio della stagione e quindi della Vita.

Vorrei concludere catturando l’attenzione sull’importanza degli accessori personali di Inanna durante la sua discesa agli inferi. Un testo accadico particolare, indica nel dono di un anello o di un bracciale un determinato potere. Quale sarà questo potere? Inanna si veste adornandosi di gioielli, un anello e bracciali d’oro per l’imminente viaggio ultraterreno: «Quando egli [Il Guardiano delle Porte] fece entrare [Inanna] nella sesta porta, egli le strappò e gettò via i suoi bracciali e cavigliere». Ma di quale potere fu privata la sensuale Dea?

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APPROFONDIMENTO

L'amore perduto e la Discesa negli Inferi

di Simone “Kaos” de Il Portale del Mistero

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Inanna viene considerata nel mito antico come una Dea duplice: lealtà e vendetta, bellezza e austerità, passione e tormento, estrema grandiosità e sacrificio! Dea del ciclo della vita e della fecondità, sposa di Dumuzi è la Signora di Uruk. A lei è dedicata una delle porte principali della grande Babilonia e a lei sono associati i rituali sacri officiati in onore della sensualità e fertilità della Madre Terra.

Nella Mesopotamia meridionale, dove sorgeva il suo maestoso tempio, l’Eanna, la Casa del Cielo, era raffigurata nuda con a fianco una colomba, il suo regale simbolo.

Nelle grandi saghe dell’epoca, il suo mito rinasce soprattutto nella cosiddetta Discesa negli inferi, alla ricerca del suo amato sposo, Dumuzi. Il coraggio e la perdita di ogni voluttà dovuta al dominio dell’istinto la portano alla ricerca del perduto amore nella terra desolata degli inferi ove la grande la dea promette battaglia, calamità e distruzione pur di raggiungere il suo obiettivo e a nulla servirà l’intervento di Ereshkigal, sua sorella, che arriva addirittura a toglierle la vita.

La vita è un ciclo e tutto ciò che è ciclico cambia ed è incerto. Perduto l’amore, il suo desiderio di vendetta e di riconquista la portano a idealizzare un mondo come un campo di battaglia ove regna la contraddizione, e la lotta tra gli opposti. La Dea viene descritta in procinto di avventurarsi alla conquista del regno sotterraneo, dominato dalla sorella, Dea della morte, dove vi soggiornerà come un cadavere appeso a un palo per 3 giorni e 3 notti, fino a che gli Dei mossi a pietà le restituiscono la vita. Metafora fondamentale, se si prende in considerazione che, per continuare ad esistere, la vita ha necessità di rigenerarsi continuamente anche attraverso sacrifici estremi…

Molte interpretazioni sono state attribuite a questo mito, decisamente la più conveniente è quella del concetto forzato della supremazia della vita sulla morte, vita e morte sono complementari e inscindibili, nessuno ha il predominio sull’altro. Il ciclo della vita come quello delle stagioni è un ciclo costante: nascita e morte sono inevitabili affinché il mondo continui nella sua rigenerazione cosmica.

Il risveglio della Dea dal sonno della morte, rappresenta la luce di una pallida primavera dopo il freddo gelido dell’inverno. La vita viene ora riconosciuta come salvezza e come dono meritato del sacrificio, una resurrezione non come supremazia, ma espressione della consapevolezza della morte e affermazione della vita. Se, però, prendiamo in considerazione da un altro punto di vista il racconto mitologico emerge che, in realtà, Inanna nella ricerca del suo sposo nel mondo degli inferi, va alla ricerca di una parte perduta di sé: il suo aspetto maschile.

La delusione per il perduto amore la rende furiosa, confusa e squilibrata, fino al punto di metter in campo la sua estrema bellezza come arma di seduzione e di morte. La perdita la porta a esprimere lati del suo carattere decisamente dominanti, ne è un esempio il fatto che seduce e poi uccide uomini, i quali ammaliati dalla sua bellezza non sopravvivono alla notte di passione trascorsa con le dea.

E neppure gli Dei sono immuni al suo fascino, a tal punto che Inanna ottiene meriti e favori. Il mondo in terreno, però, dopo la discesa della dea nei mondi inferiori appassisce e muore, la divinità non si da pace, abbandona tutto pur di ritrovare l’amato… e quindi se stessa! Il viaggio diviene, per alcuni, il modo per riappropriarsi di ciò che secondo lei le apparteneva per diritto divino e cioè l’amore del suo amato Dumuzi.

E’ per questo che si assoggetta alle regole infernali senza opposizioni. Per altri invece il viaggio di Inanna diviene la rappresentazione di un percorso iniziatico, in cui la dea, come rappresentazione della vita terrena, si spoglia della materialità della sua esistenza sino al raggiungimento della coscienza più pura. La dea infatti attraversa sette cancelli e a ognuno le viene richiesto di togliere un indumento o un ornamento cosicché al settimo cancello rimane completamente nuda, di fronte a Ereshkigal e agli Anunnaki, che la condannano a morte, una condizione necessaria al raggiungimento dello stadio evolutivo finale.

La discesa negli inferi viene allora associata a un percorso, una discesa nel proprio inconscio più remoto, un mondo sconosciuto all’interno del quale essa stessa deve affrontare i suoi timori più profondi e la paura più radicata, rappresentata dalla sorella: morte. Proprio come due opposti, vita-morte, luce-ombra, paradiso e inferno le due sorelle si temono a vicenda pur non comprendendosi, si completano inconsapevolmente. Inanna viene privata della vita, rinascendo poi per volere divino insieme all’amato sposo.

Ma le leggi infernali erano ferree e neppure la potenza delle divinità superiori potevano raggirarle cosicché per sei mesi l’anno Dumuzi (divinità associata alla fertilità) aveva la concessione di tornare sulla terra e giacere con Inanna (il ciclo primavera – estate) e per sei mesi l’anno doveva tornare nelle terre desolate degli inferi (lasciando sulla terra il freddo e il gelo dell’inverno). La vita si rigenera così dopo aver sopportato l’ombra della notte e Dumuzi e la dea si riuniscono sfuggendo agli inferi, riportando armonia e prosperità nel ciclo della vita e della natura.

Simone “Kaos”

L’autore di questo contributo fa parte dello staff de [link=http://www.ilportaledelmistero.it/]ilportaledelmistero.it[/link]

Fonte: http://www.heraedizioni.com/j_hera/index.php?option=com_content&task=view&id=36&Itemid=43