La Auschwitz del Vaticano

Chiesa e fascismo
2015-05-04_223223 Chiesa e fascismo[Nota di Redazione:
Nel rispetto delle sensibilità individuali alcune immagini del presente articolo, per i contenuti forti, crudi, sono raggiungibili da link all’interno delle relative descrizioni e non immediatamente visibili alla lettura.]

 Prima Parte
Introduzione – Nota Storica – Chiesa e fascismo – I concordati della Chiesa / All’alba della II Guerra Mondiale

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Introduzione

Non è solo nei campi di concentramento tedeschi che trovarono la morte le vittime della persecuzione nazista nella II Guerra Mondiale. Nella neonata Repubblica di Croazia, fondata unilateralmente nel 1941 dal dittatore-fantoccio Ante Pavelic, furono selvaggiamente trucidati circa a mezzo milione di serbi, 40.000 ebrei, migliaia di Rom e altre etnie minori, nel famigerato campo di concentramento di Jasenovac, comandato dai frati francescani.

La vicenda di Jasenovac rappresenta una delle pagine più oscure di tutta la storia della Chiesa cattolica. Tutti i crimini commessi dal clero avvennero infatti sotto la diretta responsabilità e con la piena conoscenza del cardinale Stepinac, arcivescovo di Zagabria, e con il supporto ufficiale della Santa Sede, rappresentata in loco dal nunzio apostolico Ramiro Marcone.

Sono fatti sconvolgenti e difficili da accettare, che si possono comprendere solo se visti nella più ampia ottica del ventennio storico che precedette la Seconda Guerra Mondiale. Ma sono stati ampiamente documentati da diversi autori, jugoslavi e non, anche se ovviamente non hanno mai trovato eco sui media tradizionali, nè certamente se ne parla nei libri di scuola. Come ebbe a commentare Eleanor Roosevelt ad Avro Manhattan, lo scrittore che stava svolgendo ricerche sulle atrocità commesse dai cattolici in Croazia:

“La Germania nazista non c’è più. La Chiesa cattolica è ancora fra noi, più potente che mai, con la propria stampa e la stampa mondiale ai suoi piedi. Qualunque cosa verrà pubblicata in futuro sulle atrocità non sarà creduta” [1-1]

Fu la Jugoslavia di Tito, dopo la guerra, a raccogliere e presentare al mondo la documentazione sui crimini di Jasenovac, che fu esposta al Museo dell’Olocausto di Belgrado. Tale documentazione mostra in modo inconfutabile la complicità della Chiesa cattolica nel genocidio, sistematico e programmato, di tutti i serbo-ortodossi e degli ebrei che vivevano nella regione.

Come vedremo, il caso di Jasenovac non fu un evento isolato, ma solo la punta di un iceberg nato dalla politica di connivenza intrapresa dalla Chiesa nel periodo anteguerra con tutti gli stati nazi-fascisti di quell’epoca.

Nota Storica

E’ impossibile riassumere in poche righe la storia dei Balcani, che sono stati per oltre mille anni al centro di continui scontri, guerre, razzie, conquiste e devastazioni a causa della doppia molteplicità delle loro popolazioni, sia etnica che religiosa. Da una parte abbiamo serbi, croati, sloveni, montenegrini, albanesi, turchi, slovacchi, ungheresi e rumeni che si sono divisi per secoli una terra poco più grande dell’Italia, e dall’altra abbiamo ebrei, cristiani cattolici, cristiani ortodossi e musulmani, che si sono mescolati fra loro nel corso degli anni in tutte le combinazioni e le percentuali possibili.

Ma è soprattutto attorno al conflitto fra cattolici e ortodossi, nato dallo Scisma d’Oriente (1054), che ruota l’interminabile spirale di violenza dei Balcani, di cui la recente Guerra del Kosovo (1991) non è stato che l’amaro epilogo. La “spina nel fianco” per i cattolici è sempre stata l’etnia serba, di religione ortodossa, che ha più volte cercato di prendere il sopravvento nella regione, mettendo a rischio la sussistenza dei croati, e quindi della religione cattolica.

Non a caso il Vaticano ha sempre considerato la Croazia, fin dai tempi dell’Impero Austro-Ungarico, “l’ultimo baluardo” cattolico contro l’avanzata della religione ortodossa.

In proposito Annie Lacroix-Riz ha scritto:

“Gli slavi cattolici (Croati, Dalmati e Sloveni), per quanto a volte ribelli, erano uno strumento prezioso nelle mani dello stato e della chiesa austriaci. Quest’ultima, per mezzo di un basso clero disciplinato, manteneva contro gli slavi ortodossi l’obbedienza e la coesione politica di questo intarsio di popolazioni.” [1-2]

Nel marzo del 1941, a pochi giorni dall’invasione tedesca della Jugoslavia – che avrebbe creato la nuova Repubblica di Croazia – l’arcivescovo di Zagabria Stepinac scriveva:

“Tutto considerato, Serbi e Croati sono due mondi a parte, come il polo nord e il polo sud, e non potranno mai vivere uniti, se non per un miracolo divino. Lo scisma [la Chiesa ortodossa] è la più grande maledizione d’Europa, quasi peggiore del protestantesimo. Non vi è morale, non ci sono principi, nè verità, nè giustizia nè onestà.” [1-3]

A sua volta gli Imperi Centrali (Austria-Germania) hanno sempre coltivato mire di conquista verso la Serbia, che poneva un serio ostacolo al piano pan-germanico di espansione verso oriente ed i paesi arabi, rappresentato dal famoso progetto ferroviario Berlino-Baghdad.

Esisteva quindi già una naturale convergenza di interessi sul territorio serbo-croato, fra Vaticano e Austria-Germania, sin dal tempo degli Asburgo.

In questo grafico si possono vedere le variazioni dei confini fra i due blocchi, dal 1815 al 1918:

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  • 1815: L’impero Austro-Ungarico comprendeva Croazia e Dalmazia. Serbia e Bosnia erano sotto l’Impero Ottomano,
  • 1908: Con la fine dell’impero Ottomano, l’Austria-Ungheria annetteva la Bosnia, mentre Serbia e Montenegro ottenevano l’indipendenza.
  • 1913: La Serbia si compattava con il Montenegro, creando un fronte unito a sud dell’Impero Austro-Ungarico.
  • 1918: Alla fine della I Guerra Mondiale, con il crollo l’Impero Austro-Ungarico, nasceva il Regno di Serbia, Slovenia e Croazia. In seguito sarebbe stato denominato Regno di Jugoslavia, e sarebbe durato fino all’inizio della II Guerra Mondiale.

Questa nuova geografia, uscita dal trattato di Versailles del 1918, aveva reso profondamente scontenta la Chiesa di Roma, che dopo aver perso la speranza di restaurare il cattolicesimo in Europa centrale, con la caduta degli Asburgo, si trovava ora la chiesa ortodossa alle porte d’Italia. A sua volta il Trattato di Versailles sembrava fatto apposta per scatenare le più virulente rivendicazioni nazionaliste all’interno della Germania sconfitta. Venne quindi naturale per la Chiesa di Roma guardare al nascente nazional-socialismo come futuro alleato, per riconquistare la supremazia religiosa in Europa Centrale, e per opporre un blocco compatto alla crescente minaccia comunista da est, nata dalla rivoluzione russa del 1917.

Chiesa e fascismo

Nel 1942 L. H. Lehmann scriveva:

“Qualunque opinione oggi esprima la Chiesa cattolica su Hitler e sul nazi-socialismo, è al 100% con lui e con gli altri dittatori fascisti nel dichiarato intento di distruggere l’ordine politico e sociale uscito dalla Riforma, per sostituirvi una integrale confederazione gerarchica di stati positivamente cristiana, simile a quella che esisteva prima che il Protestantesimo distruggesse l’ordine autoritario delle cose in Europa Centrale.” [1-4]

A sua volta Hitler non ha mai fatto mistero della propria scelta di campo rispetto alla religione:

part1 immagine 3“Il partito come tale si basa sul punto di vista di un cristianesimo positivo” (dal Programma del Partito Nazional-Socialista). [1-4]

“Sono, sempre sono stato, e sempre rimarrò un cattolico”– Adolf Hitler, John Toland “Adolf Hitler” p.507

“Ora la Chiesa cattolica è più sicura che mai. […] rimarrà come un faro di luce” – Adolf Hitler, Leo Lehmann’s – Behind the Dictators, p26.

Si potrebbero riempire intere pagine di citazioni che trasudano di reciproca “simpatia” fra nazi-fascismo e Chiesa cattolica. Citazioni quasi mai sincere, ovviamente, ma proprio per questo indicatrici dei molteplici interessi in comune, che portavano le due forze ad attrarsi reciprocamente.

“Ho trovato interessante che il Papa mi abbia detto in quell’occasione: “la Germania deve diventare la spada della Chiesa cattolica.” Io gli ho ricordato che l’antico Impero Romano della nazione tedesca non esisteva più, e che la situazione era cambiata. Ma lui è rimasto fermo sulle sue parole.” Kaiser Guglielmo, parlando di Leone XIII. [1-5]

“Come molti altri conservatori cattolici, Pio XI considerava uno stabile regime fascista in Italia molto più solido come baluardo contro il comunismo di quanto lo sarebbero mai stati i governi democratici, con le loro coalizioni in continua mutazione “- Susan Zuccotti, “Sotto le sue finestre” [1-6]

A partire dagli anni ’20 inizia infatti quel lungo ed ambiguo percorso parallelo, fra Chiesa e nazi-fascismo, che li avrebbe visti camminare uniti fino alla II Guerra Mondiale, ed anche oltre. (Fu proprio il Vaticano, alla fine del conflitto armato, a dare asilo e ad aiutare molti gerarchi nazisti nella loro fuga verso il Sud-america).

Nel corso della storia i rapporti fra la Chiesa e le altre nazioni sono stati regolamentati, ovunque possibile, da relativi concordati.

I concordati della Chiesa

Per “concordato” si intende un accordo ufficiale fra il Vaticano e uno stato straniero. E’ l’equivalente dei “trattati” fra nazione e nazione. Nel periodo anteguerra la Chiesa aveva firmato concordati con tutti gli stati nazi-fascisti di quel periodo.

CROAZIA

Nel 1855 il Vaticano aveva firmato un concordato con l’Impero Austro-Ungarico, che prevedeva libertà per le altre confessioni religiose, ma faceva di quella cattolica la religione ufficiale dell’Impero. Questo dava al Vaticano il controllo dell’educazione religiosa dei giovani, la gestione ed amministrazione dei matrimoni, l’autonomia di movimento e comunicazioni del clero, la giurisdizione sulle cause legali di tipo ecclesiastico, il diritto di ricevere introiti pubblici (tasse dallo stato), e la completa autonomia sulle nomine vescovili. [1-7]

Nonostante la caduta dell’Impero Austro-Ungarico, con il passaggio della Croazia al Regno di Serbia, il concordato rimase valido “de facto” su tutto il territorio croato, per tornare ufficialmente in vigore con la creazione dello stato-fantoccio nazi-cattolico di Ante Pavelic (1941).

ITALIA

part1 immagine 4Nel 1929, dopo estenuanti trattative segrete, a cui Pacelli partecipò attivamente, la Chiesa di Roma firmava con Mussolini i cosiddetti Patti Lateranensi. In base a questo concordato la Chiesa otteneva la restituzione di antiche proprietà terriere, la creazione del moderno stato Vaticano, una serie di vistosi privilegi per il clero, la gestione dei matrimoni e l’autorità sui divorzi, la parificazione delle scuole cattoliche a quelle statali, e una lauta “ricompensa” – pagata dal popolo italiano – per le espropriazioni subite nel secolo precedente. La religione cattolica divenne religione di stato, fu resa obbligatoria come materia scolastica fino alle scuole medie, e la Chiesa si riservò ovviamente il diritto di insegnarla. Il concordato prevedeva anche la “protezione” di Azione Cattolica, che era entrata in aperto contrasto con Mussolini, ma di fatto impegnava tutto il clero ad astenersi da qualunque attività di tipo politico.

part1 immagine 5Da parte sua la Chiesa riconobbe il Regno d’Italia, e da quel giorno offrì a Mussolini il pieno supporto politico, arrivando a definirlo “l’uomo della Provvidenza”.

In realtà era stata la Chiesa fin dall’inizio, ad imporre le condizioni a Mussolini per restare al potere. In proposito lo stesso Duce ebbe a scrivere: [manca citazione].

Iniziava così un lento processo di “adozione” del fascismo da parte della Chiesa, mentre la nuova ideologia compenetrava progressivamente il nostro tessuto sociale, al punto da rendere sempre più sottile la linea di demarcazione fra l’aspetto politico e quello religioso nella vita di tutti i giorni.

In proposito Tracy Koon ha scritto:

“Gli anni fra il 31 e il 38 furono generalmente cordiali nei rapporti fra chiesa e stato. A causa di questa apparente armonia, divenne sempre più difficile per i cattolici, fino alla fine degli anni 30, percepire le reali differenze fra la visione del mondo fascista e quella cristiana” [1-8]

part1 immagine 6In tutto questo, la Chiesa si mostrò perfettamente allineata con le nuove imprese militari del fascismo all’estero. Durante la campagna d’Africa i vescovi cattolici benedivano regolarmente le truppe in partenza per il fronte.

Su Civiltà Cattolica, Padre Messineo descrisse l’invasione dell’Etiopia come:

“la restaurazione della vera fede contro gli errori religiosi, la superstizione e la schiavitù”. [1-9]

Le poche voci isolate, contrarie a questo “matrimonio infernale” fra Chiesa e fascismo, finirono tutte inascoltate: nell’articolo «Vescovi sedotti dal fascismo», uscito sul Corriere della Sera dell’8 marzo 35, Alberto Melloni riassumeva il memoriale scritto in quell’anno da monsignor Domenico Tardini:

«Mentre importanti cardinali italiani offrono un sostegno alla campagna militare e L’Osservatore Romano rimane in una posizione di prudente legittimazione della guerra, Tardini calcola e giudica le conseguenze sul clero, che ai suoi occhi rappresentano “il disastro più grande”: il diplomatico romano concede che esso debba essere disciplinato anche davanti al regime, ma osserva che “invece questa volta è tumultuoso, esaltato, guerrafondaio. Almeno si salvassero i vescovi. Niente affatto. Più verbosi, più eccitati, più… squilibrati di tutti”. Pronti a offrire oro alla patria con zelo sospetto “parlano di civiltà, di religione, di missione dell’Italia in Africa… E intanto l’Italia si prepara a mitragliare, a cannoneggiare migliaia e migliaia di etiopi, rei di difendere casa loro… Difficilmente poteva compiersi nelle file del clero un confusionismo, uno sbandamento, un disequilibrio più gravi e pericolosi”. […] Tardini si rende conto che “la Chiesa d’Italia è accusata di essere in combutta col fascismo. E con la Chiesa d’Italia, la Santa Sede. Mai la Santa Sede ha passato – credo – un periodo più difficile di questo”, nel quale rischia di “compromettere seriamente per un secolo il prestigio morale” accumulato». LINK

Nel frattempo il cardinale di Milano Schuster, nel suo sermone in Duomo del 27 ottobre 1935, esaltava le imprese delle “valorose armate che aprono le porte dell’Etiopia alla fede cattolica e alla civilizzazione di Roma”. [1-10]

Episodi come la morte di Padre Giuliani, il cappellano militare ucciso in Abissinia, venivano pubblicamente celebrati ed elevati ad atti di eroismo militare:

part1 immagine 7part1 immagine 8Dal canto del Legionario

I morti che lasciammo a passo Uarieu
sono i pilastri del romano Impero.
Gronda di sangue il gagliardetto nero
che contro l’Amba il barbaro inchiodò.
Sui morti che lasciammo a passo Uarieu
la Croce di Giuliani sfolgorò. Duce!
Per il Duce e per l’Impero eja eja Alalà! Alalà!
“Ma la mitragliatrice non la lascio!”
gridò ferito il legionario al passo.
[LINK]

Mentre offriva apertamente il suo supporto alla conquista militare, nessun esponente del clero si preoccupò mai di denunciare le azioni criminali che venivano compiute a cielo aperto dalle nostre armate contro le popolazioni locali. Da un parte gli stupri sistematici delle giovani abissine, dall’altra i regolari bombardamenti con il gas all’iprite, che devastavano interi villaggi in pochi minuti, hanno contribuito ad inserire l’esercito italiano fra i peggiori
criminali di guerra del 20° secolo.

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Si giunse così alle soglie della guerra mondiale con una completa sovrapposizione di ideali e finalità pratiche, fra Chiesa e fascismo, ben difficile a quel punto da risolvere per chiunque.

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SPAGNA

Lo stesso tipo di incoraggiamento da parte del Vaticano fu riservato al fascismo spagnolo, con il Papa in persona che arrivò a dare la benedizione alle truppe italiane che partivano per combattere al fianco del generalissimo Franco. Più tardi, nel ricevere a Castelgandolfo 500 profughi spagnoli, in maggioranza sacerdoti e religiosi, Pio XI dichiarò:

“La nostra benedizione vada in modo particolare a coloro che si sono assunti la difficile e pericolosa missione di difendere e restaurare i diritti e l’onore di Dio e della religione” [1-11]

Sul finire degli anni ’20 in Spagna era ancora in vigore il concordato firmato dalla Chiesa con la Regina Isabella nel 1851. Questo concordato, nato dalla comune paura dei potenti per le nascenti democrazie, stabiliva che quella cattolica fosse l’unica religione tollerata nel paese, riservava alla Chiesa tutti i “diritti divini stabiliti dal Canone”, e dava al clero il completo controllo dell’educazione e della stampa. In questo modo non era più necessario bruciare i libri proibiti, come durante l’Inquisizione, bastava semplicemente vietare di stamparli.

Ma la imprevista vittoria elettorale delle sinistre, che portò alla nascita della Seconda Repubblica (1931), pose improvvisamente fine ai privilegi della Chiesa e della nobiltà spagnole. La nuova costituzione introduceva la libertà di espressione, la separazione fra Stato e Chiesa, il diritto al divorzio, la perdita di tutti i privilegi nobiliari, e il suffragio universale per le donne.

Decisamente troppo per una Chiesa abituata a farla da padrona in una terra in cui il suo volere era stato sempre rispettato, fin dal tempo dei Re Cattolici.

Se in Germania e Italia l’alleanza col nazi-fascismo era stata perseguita con un minimo di pudore esteriore, in Spagna il clero non ebbe la minima remora a mostrarsi apertamente a favore del nuovo fascismo, che incitava apertamente, con il passare dei mesi, alla “rivolta armata” contro il marxismo dei “senzadio”.

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Non ci volle molto perchè il termine “rivolta armata” venisse sostituito da quello, molto più appropriato – secondo la Chiesa – di “crociata”.

Sopra: Un breve estratto dal famoso documentario “Mourir a Madrid” di Fredric Rossif, che permise al mondo di conoscere il vero volto della Guerra Civile spagnola.

Nel 1936 l’arcivescovo di Saragozza Domenech dichiarò che “la violenza non si fa al servizio dell’anarchia, ma in modo legittimo soltanto a beneficio dell’ordine, della patria e della religione”. LINK

Il 30 settembre 1936 il vescovo di Salamanca Enrique Pla y Daniel pubblicava una lettera pastorale in cui dichiarava che lo scontro cruento fra i cittadini spagnoli “riveste sì l’aspetto esteriore di una guerra civile, ma è in realtà una crociata” … “una crociata per la religione, per la patria e per la civiltà”. LINK

Il canonico di magistero di Salamanca, Albarràn, aveva pubblicato nel 1934 un libro intitolato “Diritto alla ribellione”, nel quale incitava alla rivolta armata contro l’ordine costituito (la Repubblica Spagnola, che fu rovesciata da Franco, era nata legittimamente, per volere popolare). Dopo la vittoria nella Guerra Civile ne pubblicò un altro, intitolato “Guerra Santa”, nel quale
definiva più volte “guerra santa” lo scontro appena terminato, e sottolineava come tale guerra fosse stata incoraggiata e benedetta dalla chiesa cattolica.

Voci importanti risuonavano ovunque, inculcando nel subconscio degli spagnoli il senso di una crociata religiosa:

Francisco Franco:

“Noi siamo cattolici. In Spagna, o sei cattolico o non sei nulla”.

Il capo di Azione Cattolica:

“Crociati di Spagna! Dobbiamo vincere, come hanno sempre vinto gli spagnoli, la spada in mano, l’eroismo nel cuore, e la preghiera sulle labbra”.

Il reverendo padre Ignazio Mendez Reygada:

“Il sollevamento non è stato solo giusto, è stato doveroso. La guerra nazionale spagnola è una guerra santa, la più santa che la storia abbia conosciuto”.

L’arciprete di Burgos:

“Voi che mi ascoltate, voi che vi chiamate cristiani, non abbiate perdono per i distruttori delle chiese, e per gli assassini di San Pietro. Che la loro stirpe sia distrutta, la stirpe malvagia, la stirpe del demonio, perchè in verità i figli di Belzebù sono anche i nemici di Dio”. [1-12]

Non a caso fu proprio nella Guerra Civile spagnola che si assistette per la prima volta al coinvolgimento diretto del clero nella lotta armata.

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Sopra: Preti armati nella Plaza de Toros di Siviglia, in seguito trasformata in campo di prigionia.

Sotto a sinistra: Anche i frati francescani parteciparono attivamente alla lotta armata, mentre i cappellani militari (sotto a destra) davano regolarmente l’assoluzione anticipata ai franchisti per le carneficine dei “comunisti” che si apprestavano a compiere.

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Questa indissolubile commistione di intenti fra Chiesa e fascismo continuò anche dopo la guerra, con la celebrazione religiosa di tutti i morti sul fronte fascista. Nel 1938 un decreto del Capo di Stato stabiliva “previo accordo con le autorità ecclesiastiche” che “sui muri di ogni parrocchia compaia una lapide con i nomi dei suoi Caduti, nella presente Crociata, già vittime della rivoluzione marxista”.

Tutti i preti morti per mano dei “rossi” venivano automaticamente elevati a rango di martire. (Curiosamente, in questo caso era lo stesso “martire” ad aver aggredito una nazione con un governo legittimamente eletto).

Con il trionfo del franchismo in Spagna ebbe inizio una dittatura basata su un sodalizio con la Chiesa che sarebbe durato fino alla morte del Generalissimo, avvenuta nel 1975. Questo sodalizio aveva trovato un nome sin dal momento della diffusione dell’ideologia fascista in Spagna: “Nazional-cattolicesimo”.

“Nazional-cattolicesimo: parte dell’identità ideologica del franchismo … La sua manifestazione più visibile fu l’egemonia della chiesa cattolica in tutti gli aspetti della vita pubblica e privata”. [1-13]

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Naturalmente ci si domanda se sarebbe mai nata, e quanto sarebbe durata, una dittatura come quella di Franco, se invece di appoggiarla fin dal primo giorno la Chiesa l’avesse apertamente osteggiata. Il potere del pulpito religioso, specialmente nei paesi di lunga tradizione cattolica, è forse meno penetrante ed efficace di quello politico?

PORTOGALLO

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Il vescovo di Coimbra celebra il dittatore Salazar, che definisce “salvatore della nazione portoghese”.

Parallelamente alla Spagna, la Chiesa appoggiò anche la nascita della dittatura fascista in Portogallo, che sarebbe durata dal 1932 fino al 1975. Nel 1940 la Chiesa avrebbe formalizzato i rapporti con la seconda nazione iberica, firmando un concordato con il dittatore Salazar.

Accanto al regolare concordato fu firmato anche il cosiddetto Accordo Missionario, che estendeva i diritti ecclesiastici a tutte le colonie dell’Impero Portoghese (Angola, Mozambico, Timor, Guinea, ecc.). I vari territori sarebbero stati suddivisi in diocesi, con ampi poteri e privilegi concessi ai prelati locali.

Fra i privilegi c’era anche quello di ammettere missionari di altre nazioni solo se accettassero di sottomettersi pienamente al controllo del clero locale. LINK

GERMANIA

Anche in Germania il percorso verso un concordato fra i nazisti e la Chiesa fu lungo e faticoso, dato che nessuno dei due poteri aveva realmente intenzione di cedere all’altro il controllo della nazione. Ciascuno cercava di ottenere per sè i massimi vantaggi, mentre cedeva all’altro solo il minimo indispensabile per ottenerli.

part1 immagine 16Nei primi anni di vita politica infatti Hitler non era visto di buon occhio dai cattolici, nè peraltro il futuro Fuhrer faceva grandi sforzi per celare la sua scarsissima simpatia per la Chiesa.

Ma presto – come già era avvenuto in Italia – ambedue si resero conto di avere anche degli interessi in comune (che verranno esaminati in seguito), mentre si rendevano conto che nessuno sarebbe riuscito a portare avanti serenamente il proprio programma senza il consenso dell’altro.

La svolta cruciale avvenne nel marzo del 1933, quando il neo-eletto cancelliere Adolf Hitler presentò al Reichstag la richiesta eccezionale per l’approvazione di un “Decreto di pieni poteri”, che gli avrebbe permesso di promulgare leggi senza più sottoporle al parlamento. In altre parole, chiedeva ai deputati di rinunciare legittimamente allo scopo stesso per cui erano stati eletti. Per ottenere il passaggio di un tale decreto però era necessaria una maggioranza di due terzi, che Hitler avrebbe raggiunto solo con il voto dei rappresentanti del Zentrum, il partito politico della Chiesa, guidato dal vescovo Ludwig Kaas, che fino a quel giorno lo aveva osteggiato apertamente.

Ma in poche ora Kaas – stretto collaboratore, amico personale e uomo di fiducia di Pacelli in Germania – riuscì a convincere i deputati del Zentrum a votare il decreto a favore di Hitler, che di fatto avrebbe posto fine alla Repubblica di Weimar e dato inizio alla dittatura nazista.

In proposito lo storico della Chiesa Owen Chadwick ha scritto:

“Il ruolo rivestito da Kaas nel far votare al Partito di Centro il documento sui pieni poteri a Hitler nel marzo 1933 rimane uno dei gesti più controversi della storia tedesca”. Church History, John Cornwell – Pag. 237 – LINK

Quattro giorni dopo la conferenza episcopale tedesca annullava sia la proibizione per i cattolici di iscriversi al partito nazista, sia quella per i nazisti di presentarsi in chiesa con la svastica sulla divisa. Rinunciava cioè, senza motivo apparente, alle due armi principali con cui aveva combattuto fino a quel momento l’ascesa al potere dei nazisti.

In proposito lo storico cattolico James Carroll ha scritto:

Nei primi mesi del 1933 i leader cattolici passarono dall’ essere i più tenaci oppositori di Hitler ai suoi alleati più recenti. Tale drammatica trasformazione è riflessa dal fatto che nel 1932 la Conferenza Episcopale di Fulda, che rappresentava la gerarchia cattolica in Germania, aveva proibito [ai cattolici, N.d.T.] l’appartenenza al partito nazista, ed aveva proibito ai preti di impartire la comunione a chiunque portasse la svastica. Ma il 28 di marzo 1933, due settimane dopo che Pacelli aveva fatto la sua apertura ad Hitler, la stessa Fulda decise di togliere il veto all’appartenenza dei cattolici al partito nazista”. [z]

Poco dopo Kaas, su richiesta di Pacelli (che in quel momento era Segretario di Stato, cioè Ministro degli Esteri del Vaticano) dissolveva il partito del Zentrum, ponendo così fine ufficialmente alla vita politica dei cattolici in Germania.

Come già accaduto per l’Italia, quello che poteva apparire un punto perso per il Vaticano era in realtà una questione di interesse primario per Pacelli – accentratore per eccellenza – che temeva la crescita di qualunque altra forza politica all’interno della Chiesa. [y]

In questo modo fece un grande piacere sia a se stesso che a Hitler, che da quel giorno potè imperversare in Germania senza più alcuna opposizione politica. (Nel frattempo i socialisti, unici ad aver votato contro il Decreto, erano già in fuga per tutta la nazione).

La stessa cosa era accaduta con Mussolini, dopo la firma dei Patti Lateranensi, con la progressiva emarginazione dalla vita politica di Azione Cattolica (v. Don Sturzo), ottenuta con la complicità del Vaticano. Per quanto fingesse di difenderle pubblicamente, infatti, la Santa Sede fu ben contenta di “sacrificare” queste istituzioni politiche – spesso intenzionate a far valere i veri principi del cristianesimo – sull’altare delle nascenti alleanze con il nazi-fascismo.

A questo proposito LEHMANN ha scritto:

“Il Vaticano aiutò ad eliminare i partiti popolari cattolici sia in Italia che in Germania, centralizzando tutte le questioni politiche su Roma. Questo garantiva ai dittatori libertà da una interferenza popolare da parte dei cattolici, e stabiliva un regime più dittatoriale nella stessa chiesa cattolica.” [1-14]

Il 20 Luglio 1933, a soli tre mesi dal passaggio del Decreto a favore di Hitler, Pacelli firmava a Roma il Reichskonkordat con il suo braccio destro, Franz von Papen:

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Accanto a von Papen sedeva Ludwig Kaas, che dopo essere stato ripudiato dal partito che aveva tradito si era trasferito a Roma, per lavorare a stretto contatto con Pacelli su tutte le più importanti questioni di diplomazia internazionale. (Dieci anni dopo Pacelli, che nel frattempo era diventato Papa con il nome di Pio XII, avrebbe affidato a Kaas le trattative segrete che avrebbero portato alla nuova alleanza con gli americani, rompendo quella con Hitler e Mussolini [y2]). Accanto a Pacelli compare Mons. Ottaviani. Alla sua sinistra c’è un giovane diplomatico di nome Giovanni Montini, che 40 anni dopo diventerà papa con il nome di Paolo VI.

E’ quindi evidente che dietro all’improvviso “cambio di atmosfera” fra la Chiesa e il partito nazista, registrato a partire dal marzo 1933, vi fossero già gli accordi di mutua soddisfazione che si sarebbero poi concretizzati nelle clausole del Concordato.

In proposito, nel 1937 Goebbels scrisse:

“Kaas si era dichiarato d’accordo con la legge sui pieni poteri in cambio dell’accordo da parte del Governo al negoziato di un Concordato del Reich con la Santa Sede”LINK

part1 immagine 18Grazie al concordato la Chiesa otteneva, fra le altre cose, il diritto di nominare i propri vescovi senza interferenze esterne, il diritto di insegnare la religione cattolica nelle scuole tedesche, la totale libertà di movimento e di comunicazione del clero sul territorio, il diritto di incassare tasse ecclesiastiche, ed altri privilegi di minore importanza.

Da parte sua Hitler aveva ottenuto il primo riconoscimento ufficiale del Nuovo Reich da parte di una nazione straniera. Ma soprattutto, come vedremo in seguito, aveva gettato le basi per il suo progetto di sterminio totale del popolo ebraico.

Sembra che vi fosse anche un supplemento segreto al concordato tedesco, la cui esistenza non è mai stata riconosciuta ufficialmente dal Vaticano, che stabiliva diritti e doveri del clero “nel caso di un cambiamento nelle forze armate tedesche, nel senso di una chiamata obbligatoria alle armi”.

Nonostante il Trattato di Versailles proibisse esplicitamente il riarmo della Germania, nel ’33 c’era quindi chi già pensava che sarebbe avvenuto, e si preparava ad affrontarlo in maniera adeguata. (Link)

L’importanza politica ed il peso morale del Reichskonkordat furono sottolineati nel 1937 dal cardinale Faulhaber con questa secca presa di posizione della Chiesa a favore del Reich:

“In un momento in cui i capi di stato delle maggiori potenze mondiali guardano con fredda riserva e notevole sospetto alla nuova Germania, la Chiesa cattolica, la più grande autorità morale sulla terra, ha espresso attraverso il Concordato la sua fiducia nel nuovo governo tedesco”. (Link)

Il 2 marzo 1939, a quattro giorni dalla propria elezione a pontefice, Pio XII scriveva a Hitler:

“All’illustre Herr Adolf Hitler, Fuhrer e Cancelliere del Reich tedesco. All’inizio del nostro pontificato desideriamo assicurarle che continueremo a impegnarci per il benessere spirituale del popolo tedesco, che confida nella sua guida……Ora che le responsabilità della Nostra funzione pastorale hanno accresciuto le Nostre opportunità, preghiamo più ardentemente per il raggiungimento di questo obiettivo. Che la prosperità del popolo tedesco e il suo progresso in tutti i campi, con l’aiuto di Dio, possano compiersi.”

Proprio in quelle ore le armate tedesche stavano invadendo la Cecoslovacchia,

(mancano) BELGIO + AUSTRIA

All’alba della II Guerra Mondiale

Se si considera il supporto complessivo dato dalla Chiesa ai vari stati fascisti nel periodo anteguerra, non può non emergere una profonda complicità che andava ben oltre l’eventuale vantaggio momentaneo, a favore di una visione del mondo in cui ritornasse a trionfare lo stesso tipo di autorità centralizzata e gerarchica, di discendenza divina, che già aveva caratterizzato l’Impero d’Asburgo, e prima ancora il Sacro Impero Romano.

Come aveva fatto fin dai tempi di Costantino, la Chiesa dava a imperatori e dittatori l’avallo morale per le loro imprese di conquista, e i dittatori davano alla Chiesa gli eserciti per combatterle e portarle a termine nel comune interesse.

Pur non avendo avuto mai un esercito, infatti, la Chiesa ha combattuto nella storia più guerre di chiunque altro, facendolo sempre con le armate altrui. Imperatori, re e dittatori andavano e venivano, mentre la Chiesa è sempre rimasta al centro di tutte le battaglie, riuscendo ogni volta ad riemergere intatta da guerre e carneficine di dimensioni apocalittiche.

Grazie alla nuova alleanza con il nazi-fascismo, all’alba del conflitto mondiale la Chiesa sembrava disporre della più potente ed invincibile armata mai assemblata nella storia, disposta a distruggere intere nazioni per riaffermare nuovamente il predominio di Roma e della religione cattolica sul resto del mondo.

E’ in questo clima di neo-imperialismo a carattere religioso che si inserisce la vicenda della Croazia di Ante Pavelic, lo stato-fantoccio creato da Hitler e Mussolini con l’appoggio del Vaticano, per lanciare la conquista della Russia e per ristabilire al più presto il “baluardo” cattolico a est della frontiera italiana.


Seconda parte
I Balcani nella Seconda Guerra Mondiale – Il ruolo dell’Italia

I Balcani nella Seconda Guerra Mondiale

Questa cartina militare tedesca descrive la compenetrazione delle varie etnie all’inizio della II Guerra Mondiale, in quello che allora era il Regno di Jugoslavia. Come si può vedere, il blocco occidentale dei Serbi (“zona 1”), di religione ortodossa, rappresentava un ostacolo insormontabile per l’unità dei croati, di religione cattolica.

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Il 10 Aprile 1941 la Germania di Hitler invase in Regno di Jugoslavia, e creò lo stato-fantoccio chiamato Repubblica Indipendente di Croazia, con a capo il dittatore Ante Pavelic.

Nella cartina sotto la ripartizione dei Balcani nel 1942, dopo l’invasione tedesca e lo smembramento della Jugoslavia. L’alleanza nazifascista controllava ora Croazia, Bosnia, Montenegro e Albania, avendo costretto il resto dell’etnia serba nell’ex-territorio della “zona 2”. Tutti i serbi che vivevano nella zona 1 furono uccisi, scacciati o convertiti di forza al cattolicesimo. Ma i convertiti e gli scacciati furono solo un’esigua minoranza.

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In seguito nacque in Serbia (ex-zona 2) il movimento dei Partizan jugoslavi (fra cui c’era il futuro Maresciallo Tito), che oppose una tenace resistenza all’occupazione e all’avanzata germanica. Secondo molti storici fu proprio questa resistenza a rallentare le armate di Hitler a sufficienza da impedirgli di arrivare a Mosca prima dell’inverno (1943), gettando così le basi per la sua sconfitta nella II Guerra Mondiale.

Il ruolo dell’Italia

Per quanto non abbia partecipato militarmente all’invasione del 10 Aprile 1941, l’Italia aveva provveduto all’addestramento militare degli Ustasha, che sarebbero insorti nel territorio croato come “quinta colonna” al momento dell’invasione tedesca.

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Addestramento militare degli Ustasha in Italia, nelle vicinanze del loro campo, prima dell’attacco alla Jugoslavia.
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Il generale Mario Robotti della II Armata italiana incontra Ante Pavelic per discutere il coordinamento delle azioni militari nella Jugoslavia occupata.

In cambio della sua collaborazione, l’Italia ebbe la Dalmazia, parte della Slovenia e parte della Bosnia, che rimasero sotto il suo controllo fino al 1943.

Nei territori occupati dall’Italia l’assoggettamento delle popolazioni non fu meno brutale di quello operato dai nazisti o dagli Ustasha. Le fucilazioni dei cosiddetti “ribelli” erano all’ordine del giorno anche da noi.

[Immagine: SOPRA: Italiani fucilano ostaggi in Montenegro. SOTTO: Un generale italiano controlla personalmente la fucilazione dei combattenti jugoslavi catturati nel villaggio di Larati, in Slovenia.]

In una lettera alla Questura di Zara, il comandante del campo di concentramento di Melada facevo una richiesta urgente di 50 rulli di filo spinato:

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“Faccio presente – si legge nel documento – che si rende assolutamente necessaria la recinzione completa del campo, onde evitare fughe da parte di qualche internato. A tale proposito bisogna rilevare che quando si presenta la motobarca di cod. Questura per prelevare gli ostaggi da fucilare, nel campo si nota un certo orgasmo, e c’è da temere che qualcuno, per paura di essere prelevato, tenti l’evasione per sfuggire alla fucilazione.”

I rastrellamenti svuotavano interi villaggi, favorendo in questo modo il progetto di “pulizia etnica” di Ante Pavelic.

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Soldati italiani conducono un “rastrellamento”: masse di persone vengono portate ai campi di concentramento.

Anche le rappresaglie erano diventate una routine in tutta la zona occupata, per obbligare i partigiani a consegnarsi e venire deportati.

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Nè furono più teneri gli italiani al momento della loro ritirata, nel 1943. Ovunque passavano lasciavano alle proprie spalle morte, devastazione e villaggi bruciati.

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SOPRA: Il villaggio di Goraji Orahovac, nella Boka Kotorska, fu totalmente incenerito dagli italiani. SOTTO: Gli italiani si concedono un riposo, dopo aver dato alle fiamme un villaggio appena attraversato.
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Sulle macerie di un villaggio dalmata campeggia uno slogan di Mussolini: “L’odio giusto che vive nell’anima dei giovani popoli ha scelto: vinceremo!”

parte2 immagine 12In “Scaramucce sul lago Ladoga”, Roberto Bassi ricostruisce le peregrinazioni di una famiglia di veneti ebrei durante il fascismo. Particolarmente significativa questa testimonianza dell’allora Ammiraglio della Regia Marina italiana, Polacchini, riferita a Zagabria, nel ’42-’43: “Dei manifesti informano la popolazione che vi sarebbe stata una distribuzione straordinaria di carne. Qualche faccia sconvolta mi ha indotto ad avvicinarmi con il mio attendente a una macelleria del centro. Ai ganci del negozio sono appesi, con gli abiti insanguinati, molti uomini. Scritte in croato dicono: questa è l’unica carne che vi meritate, quella dei ribelli che si oppongono all’Italia.” L’ammiraglio protesta, ma la risposta è che sono i fascisti italiani e gli ustascia croati a comandare. LINK

L’avventura italiana in Istria e Dalmazia rappresenta ovviamente un capitolo a parte nella storia della Seconda Guerra Mondiale, ma è interessante notare quanto il nostro intervento militare abbia influito sulle vicende interne jugoslave, e soprattutto sul genocidio dei serbo-ortodossi nell’ambito del progetto di totale cattolicizzazione della Jugoslavia.

In questo rapporto a Mussolini, Italo Sauro – responsabile italiano per i territori slavi conquistati – sottolineava la necessità di arrivare alla completa “eliminazione dello slavismo”. Nella stessa pagina leggiamo anche: “La lotta dovrà esser anzitutto precisa onde, ad esempio, ad un prete slavo si dovrà sostituire un prete italiano che parli slavo, e ciò perchè in un primo tempo è bene agire lentamente per non provocare troppe opposizioni e andare facilmente in profondità. Il prete slavo dovrà in ogni caso essere prima affiancato a un italiano, e poi eliminato”.

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Nuovamente, la spada e la croce unite nel connubio inestricabile coltivato dalla Chiesa per quasi due millenni.

Tutte queste vicende infatti andrebbero inquadrate nel più ampio disegno delle alleanze storiche fra il Vaticano e i vari stati nazifascisti – Spagna, Italia, Germania, Portogallo, Belgio, Austria, Croazia – nate a partire dalla fine degli anni ’20 con lo scopo di ristabilire un “impero centrale”, cattolico e assolutista, sulla falsariga dei grandi imperi del passato, imperniati sul concetto centrale di “romanità”.

parte2 immagine 14Immagini e documenti di questa pagina sono tratti da: “REPORT ON ITALIAN CRIMES AGAINST YUGOSLAVIA AND ITS PEOPLE”, pubblicato da: Commissione Nazionale Jugoslava sui Crimini di Guerra (Belgrado, 1947) e da: “ITALIAN CRIMES IN YUGOSLAVIA”, pubblicato da: Yugoslav Information Office (Londra, 1945) – (Il secondo documento è disponibile online: 1, 2, 3, 4, 5, 6)


Terza parte
L’alleanza fra Chiesa e Ustasha
Le colpe di Stepinac e del clero cattolico in Croazia

L’alleanza fra Chiesa e Ustasha

Insieme all’alleanza fra Chiesa e nazi-fascismo erano nate anche le prime strategie congiunte fra Roma e Berlino per riconquistare la Croazia e ristabilire il “baluardo cattolico” a est dell’Italia. Come vedremo in seguito, questa strategia prevedeva la partecipazione attiva del clero cattolico, e soprattutto dei frati francescani.

parte3 immagine 1L’idea centrale fu la creazione di una “quinta colonna” sul territorio croato, che fosse pronta ad intervenire di sorpresa, alla prima occasione utile. L’ “occasione utile” sarebbe stata l’invasione armata della Jugoslavia da parte di tedeschi, avvenuta nella primavera del 1941. Determinante fu infatti il “tradimento” dei corpi Ustasha già presenti sul territorio, che gettarono lo scompiglio nelle retrovie dell’esercito jugoslavo, tagliando i collegamenti, bloccando i rifornimenti, e massacrando interi battaglioni con agguati improvvisati.

parte3 immagine 2Da parte sua l’Italia aveva dato protezione ad Ante Pavelic – che era ricercato dalla Francia per l’assassinio del re Alessandro a Marsiglia – durante il periodo di preparazione, mentre addestrava militarmente i futuri Ustasha nelle vicinanze del confine jugoslavo.

Quattro giorni dopo l’invasione dei tedeschi, Pavelic si trasferì ufficialmente in Croazia, dove Hitler lo mise a capo dello stato-fantoccio chiamato Repubblica Indipendente di Croazia.

Uno dei primi a dargli il benvenuto fu l’arcivescovo di Zagabria, Mons. Alojsius Stepinac, che si recò personalmente a stringergli la mano. Così Stepinac accolse l’arrivo di Pavelic a Zagabria:

“Dio, che dirige il destino delle nazioni e controlla il cuore dei Re, ci ha dato Ante Pavelic, e ha portato il leader del popolo amico e alleato, Adolf Hitler, a usare le sue truppe vittoriose per disperdere l’oppressore… Gloria a Dio, la nostra gratitudine ad Adolf Hitler, e la nostra fedeltà al nostro Poglavnik, Ante Pavelic”. [3-1]

Dopodichè organizzò un pranzo di benvenuto per gli Ustasha che rientravano dai campi di addestramento all’estero.

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A SINISTRA, SOPRA: L’arcivescovo Stepinac festeggia con una colazione un gruppo di emigranti Ustasha al ritorno dai campi speciali in Italia e Ungheria. A SINISTRA, SOTTO: L’arcivescovo Stepinac e Pavelic in conversazione amichevole. A DESTRA, SOPRA: L’arcivescovo Stepinac e altri dignitari ecclesiastici attendono Ante Pavelic, il suo governo e i suoi delegati sul sagrato della cattedrale di S. Marco a Zagabria, per la messa rituale in occasione dell’apertura del parlamento, nel 1942. A DESTRA, SOTTO: Pavelic arriva alla cattedrale di Zagabria nel giorno dell’apertura del parlamento croato, e viene ricevuto dall’arcivescovo Stepinac.

Due settimane dopo, il 28 aprile, Stepinac scrisse questa lettera pastorale a tutte le diocesi della Croazia:

“Onorevoli fratelli, non c’è uno di noi che non abbia assistito di recente al più significativo evento nella vita del popolo croato, nel quale noi svolgiamo il compito di annunciare la parola di Cristo. Questi sono eventi che hanno realizzato un lungo sogno e un ideale desiderato dalla nostra gente… Vi invito quindi a rispondere alla mia chiamata di svolgere un importante lavoro per la protezione e il progresso dello Stato Indipendente di Croazia. Date prova di voi, onorevoli fratelli, e fate il vostro dovere verso il giovane Indipendente Stato di Croazia”. [3-2]

Stepinac quindi, nel suo ruolo di arcivescovo e capo della Chiesa croata, incitava ufficialmente i cattolici a implementare un programma – quello degli Ustasha – che era stato molto chiaro fin dall’inizio: sterminare un terzo dei non-cattolici (cristiano-ortodossi, ebrei e Rom) presenti nella zona conquistata, convertirne forzatamente un terzo, e cacciare i rimanenti fuori dal paese.

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Il pio cattolico Dr. Mile Budak, Ministro dell’Educazione e della Cultura, ha detto il 22 luglio 1941: “La base del movimento Ustasha è la religione. Per le minoranze come i serbi, gli ebrei e gli zingari abbiamo tre milioni di pallottole. Uccideremo una parte dei serbi. altri li deporteremo, e obbligheremo il resto ad accettare la religione cattolica. La nuova Croazia sarà liberata da tutti i serbi al suo interno, e arriverà entro 10 anni ad essere cattolica al 100%.” [3-3]

Solo con un estremo fanatismo religioso si può comprendere la brutalità selvaggia, unita alla gioia assassina che spesso si legge sui volti dei carnefici, con cui veniva condotto il massacro sistematico dei serbi ortodossi.

[Immagine: A SINISTRA: il boia Ustasha sorride per l’obiettivo, mentre decapita con un colpo d’ascia un contadino serbo. A DESTRA: Ustasha mostrano la pistola, il coltello e la sega da falegname che useranno per uccidere il serbo catturato.]

Sotto: Stepinac presenzia ad una cerimonia congiunta fra italiani, tedeschi e Ustasha. Il vero denominatore comune, fra le varie potenze del nazifascismo, sembra essere costantemente la Chiesa cattolica.

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Il generale italiano Roatta (4) con il generale tedesco Gleise Horstenau (2), von Troll, Cancelliere dell’ambasciata tedesca (1), Slavo Kvaternik, “maresciallo” dello “Stato Indipendente di Croazia” (3) e l’arcivescovo Stepinac (5). [3-4]

Vediamo ora nel dettaglio come avvenne la preparazione del sollevamento armato degli Ustasha sul territorio jugoslavo, in attesa dell’invasione dei tedeschi.

Le colpe di Stepinac e del clero cattolico in Croazia

Come abbiamo detto, la quinta colonna croata era nata grazie all’alleanza segreta fra gli Ustasha, l’organizzazione degli indipendentisti croati (definiti “terroristi” dal governo jugoslavo) e le organizzazioni “attiviste” cattoliche che ruotavano intorno ai conventi dei frati francescani in Croazia.

Tutti questi conventi, come tutte le azioni compiute del clero in Croazia, ricadevano sotto la responsabilità diretta dell’Arcivescovo di Zagabria, Mons. Alojzije Stepinac.

In proposito Avro Manhattan ha scritto:

parte3 immagine 7“Mentre i compari fascisti del Vaticano si davano da fare per organizzare attività politiche o terroristiche, la diplomazia cattolica – come già avvenuto in Spagna, Austria, Cecoslovacchia, Belgio e Francia – si mise in vista con la promozione di una poderosa quinta colonna cattolica. Questa, che aveva già indebolito la struttura interna dell’unità jugoslava, era costituita da tutti quei croati contagiati dal fanatismo nazional-religioso della gerarchia cattolica di Croazia, e da una armata nazionalista illegale composta da bande di terroristi cattolici, chiamati Ustasha, guidati da Ante Pavelic, supportati da Vladimir Macek, il leader del Partito Contadino Croato, che nel 1939 si era adoperato per far finanziare da Mussolini il movimento separatista croato con 20 milioni di dinari, e dall’arcivescovo A. Stepinac, il capo della gerarchia cattolica in Croazia. “ [3-5]

Nel 1947 l’ambasciata jugoslava a Washington ha pubblicato un documento ufficiale nel quale riassume i più importanti capi d’accusa contro Stepinac e contro il suo clero, relativi alle azioni compiute in Croazia prima e durante la II Guerra Mondiale. Sono sostanzialmente gli stessi capi d’accusa che il governo jugoslavo imputò a Stepinac durante il processo contro di lui, che si concluse con la sua condanna a 16 anni di carcere. Dopo averne trascorso 5 in prigione, il resto della pena gli fu commutato in arresti domiciliari. Secondo i difensori della Chiesa, questo processo fu solo un atto di banale “propaganda” da parte di uno stato comunista.

Non si comprende peraltro chi mai avrebbe dovuto denunciare quei crimini, se non il popolo stesso che li aveva subiti.

Altri hanno voluto dipingere il processo come una “persecuzione religiosa” della Chiesa cattolica, che di recente ha beatificato Stepinac, definendolo un vero e proprio “martire”.

Un capovolgimento davvero singolare, per una Chiesa accusata di genocidio, specialmente se si considera che i capi d’accusa contro Stepinac non sono mai stati nè contestati nè smentiti da nessuno.

Si presume infatti, di fronte ad accuse così gravi, che sarebbero state smentite con sdegnato clamore, se solo fosse stato possibile farlo. Se inoltre a Chiesa fosse innocente, avrebbe richiesto una altisonante correzione pubblica da parte del governo jugoslavo, oltre naturalmente ad un nuovo processo, che sgombrasse il campo da qualunque malinteso. Invece ha preferito passare tutto sotto silenzio, limitandosi a parlare di “propaganda comunista” quando accusata apertamente di quei crimini.

Come si legge nell’introduzione a “L’arcivescovo del genocidio”, di Marco Aurelio Rivelli:

“… è difficile contestarne i contenuti solo atteggiandosi a martiri di fronte a un supposto “sentimento anticattolico”: qui Marco Aurelio Rivelli, analogamente a quanto ha fatto per Dio è con noi, ha lasciato parlare i documenti ufficiali e ha limitato al minimo i suoi commenti. E i documenti ufficiali sono difficili da smentire.” [3-6]


IL CASO DELL’ARCIVESCOVO STEPINAC

Pubblicato dall’Ambasciata della Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia nel 1947

°°°

INTRODUZIONE

Quando Adolf Hitler, nel mettere in atto il suo progetto di conquista dell’Europa e del mondo, attaccò il Regno di Jugoslavia, il 6 aprile 1941, fu subito chiaro che la Wehrmacht tedesca avesse a disposizione un poderoso gruppo di traditori all’interno dello stato jugoslavo.

Sin dall’inizio l’esercito jugoslavo, impegnato in un confronto mortale con le forze decisamente superiori dell’invasore nazista, dovette guardarsi da bande di soldati che lavoravano per il nemico alle sue spalle.

Queste erano le cosiddette formazioni terroristiche Ustasha, che agivano in stretta collaborazione e a volte sotto la guida diretta del clero cattolico che faceva parte degli Ustasha, mettendo in pericolo le linee di comunicazione dell’esercito jugoslavo in combattimento, attaccando e disarmando le unità isolate dell’esercito.

Duramente colpito nello scontro con la Wehrmacht e pugnalato alla schiena dagli Ustasha, l’esercito jugoslavo resistette eroicamente per due settimane, prima di essere sconfitto. Dopo la sconfitta dell’esercito jugoslavo una parte del paese fu occupato dalla Wehrmacht, una parte fu data agli Ustasha, che misero in piedi uno stato-fantoccio nazista denominato Stato Indipendente della Croazia. Fin dall’inizio fu subito chiaro che il potere in questo stato-fantoccio era interamente nelle mani degli Ustasha e dei loro collaboratori ai bassi e alti livelli del clero cattolico.

Una ondata di terrore attraversò immediatamente il nuovo stato della Croazia. Il programma degli Ustasha prevedeva che dei 2.000.000 di serbi presenti in Croazia un terzo fosse ricacciato nel territorio serbo, un terzo venisse ammazzato, e il resto venisse obbligato, sotto minaccia di torture e di morte, a convertirsi al cattolicesimo. Degli 80.000 ebrei presenti in Jugoslavia 60.000 furono uccisi, in gran parte in Croazia. Come vedremo nei capitoli seguenti, sulla base di prove documentali, queste atrocità quasi incredibili furono commesse con la piena conoscenza e il supporto attivo di una parte della gerarchia cattolica in Croazia. L’arcivescovo Stepinac era il responsabile a capo di questa gerarchia.

L’indagine della Commissione jugoslava sui Crimini di Guerra ha stabilito che l’arcivescovo Stepinac ha avuto un ruolo primario nella cospirazione che ha portato alla conquista e alla distruzione del Regno di Jugoslavia. È stato inoltre stabilito che l’arcivescovo Stepinac ha avuto un ruolo nel governare lo stato-fantoccio nazista della Croazia, che molti membri del suo clero hanno partecipato attivamente ad atrocità e omicidi di massa, e infine che hanno collaborato col nemico fino all’ultimo giorno del comando nazista, ed hanno continuato anche dopo la liberazione a cospirare contro la neonata Repubblica Federale Popolare di Jugoslavia.

(continua…)

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L’arcivescovo Stepinac durante una seduta del parlamento Ustasha, del quale era membro regolare con ad altri 10 prelati.

( … continua)

Per comprendere a fondo il ruolo dell’arcivescovo Stepinac nei cruciali anni che hanno preceduto la guerra, come durante la guerra stessa e dopo la liberazione della Jugoslavia, è necessario ricordare la lotta secolare che i popoli slavici meridionali, serbi, croati, sloveni e macedoni hanno condotto nei secoli per ottenere la loro indipendenza

I popoli slavi dei Balcani hanno una gloriosa tradizione come fierii e tenaci combattenti in difesa della loro tradizione religiosa e dell’indipendenza nazionale. Nei 500 anni di dominio turco sui Balcani, i serbi hanno formato il cuore del movimento di resistenza. Quando, nel corso del secolo scorso, l’antico impero ottomano iniziò a declinare, i popoli balcanici raggiunsero la loro indipendenza nazionale. Ma i grandi poteri divisero i Balcani in piccoli stati che divennero così pedoni nel grande gioco degli intrighi delle potenze europee.

Fu soprattutto la Germania imperiale, insieme al vecchio Impero d’Asburgo, a perseguire un programma di dominazione dei Balcani. Questo antico progetto di conquista pan-germanico, conosciuto anche come il Progetto Ferroviario Berlino-Baghdad, minacciava punti vitali e linee di comunicazione dell’impero inglese e portava inoltre una grave minaccia alla Russia. Fu questa politica di aggressione austro-germanica contro il Balcani, e specialmente contro la Serbia, che finì per provocare la Prima Guerra Mondiale.

(continua…)

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SOPRA: Ante Pavelic e l’arcivescovo Alojzije Stepinac nella cattedrale di Zagabria, poco prima della messa rituale in occasione dell’apertura del parlamento Ustasha. SOTTO: L’Arcivescovo Stepinac (primo da destra) partecipa personalmente alla sepoltura del criminale Ustasha Marko Dosen. Al centro dell’immagine il nunzio apostolico Ramiro Marcone, che rappresentava ufficialmente il Papa in Croazia.

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( … continua)

Buona parte delle prove documentali che stabilivano la partecipazione della gerarchia cattolica e di parte del clero più basso al tradimento e alla cospirazione venne dagli stessi cospiratori. La Commissione d’Indagine ha trovato migliaia di rapporti stampati, insieme ad articoli sia della stampa ufficiale ecclesiastica che nei giornali controllati dai cattolici, che offrono un’immagine impressionante del modo in cui questo crimine fu preparato.

I sostenitori dello Stato Indipendente di Croazia hanno commesso il grave errore di credere che sarebbero durati almeno quanto il Reich millenario di Hitler. Questa fiducia spiega perché non abbiano esitato a mettere tranquillamente nero su bianco i loro piani e i loro progetti.

Dopo la creazione dello stato-fantoccio si sentirono liberi di descrivere in giubilanti articoli come gli zelanti membri del clero avessero lavorato per Der Tag, come i monasteri fossero stati usati da nascondiglio clandestino per i movimenti illegali degli Ustasha, come avessero mantenuto costantemente il contatto con il cospiratori all’estero, come avessero organizzato i monaci e la gioventù cattolica come “crociati” per la futura sollevazione, e come abbiano messo in pericolo in molti modi diversi da stessa esistenza della Jugoslavia prima della guerra.

Le prove ritrovate dalla commissione di indagine danno una chiara immagine della struttura organizzativa della cospirazione. Il piano completo fu diretto da membri responsabili della gerarchia cattolica. L’esecuzione pratica del progetto veniva affidata ad Azione Cattolica e alle sue varie organizzazioni affiliate, come la “Grande Fratellanza dei Crociati”, la “Società Accademica di Domagoj”, l’“Associazione degli Studenti Cattolici di Mahinic”, la “Grande Sorellanza delle Crociate”, e molte altre. Il presidente e i direttori di queste organizzazioni venivano nominati direttamente dall’arcivescovo Stepinac, e erano in molti casi erano preti ben conosciuti o appartenenti segreti ai gruppi Ustasha.

Tutte queste forze furono mobilitate in una azione concertata, con lo scopo dichiarato di diffondere l’ideologia fascista. Questa propaganda convinceva i fedeli che sarebbe stata una buona azione, nel più alto interesse della Croazia e della chiesa cattolica, di uccidere o convertire i serbi e di sterminare gli ebrei. Quanto spudoratamente questa propaganda venisse pubblicata dalla stampa cattolica verrà mostrato in seguito.

Che Azione Cattolica fosse la forza organizzatrice della sollevazione Ustasha è stato confermato in un discorso di Ante Pavelic poche settimane dopo aver preso il potere in Croazia: sull’organo di stampa Hrvatski Naro del 24 giugno 1941 compariva un discorso di Ante Pavelic diretto ai delegati di Azione Cattolica: “Nella nostra battaglia politica è certo che Azione Cattolica abbia avuto un ruolo importante”. Anche il direttore del settimanale cattolico Katolicki Tjednik lodò nel numero del 27 aprile 41 i risultati ottenuti da Azione Cattolica, della quale era stato un influente leader nell’organizzare la Gioventù dei Crociati.

L’associazione “Grande Fratellanza dei Crociati” era composta da 540 società con circa 30 mila membri, mentre la “Grande Sorellanza dei Crociati” aveva circa 452 società con 18,935 membri. Sotto la copertura di un presunto lavoro religioso, queste organizzazioni svolsero l’importante ruolo di inculcare lo spirito del fascismo e dell’odio razziale e religioso nella gioventù. I membri venivano indottrinati con l’ideologia Ustasha di nazionalismo sciovinistico.

parte3 immagine 11I crociati avevano i loro campi di addestramento militare. Il settimanale crociato Nedelja dell’11 luglio 43 pubblicò un articolo che parlava dei corsi di addestramento militare dei crociati nei loro campi, dove addestravano ufficiali per le future formazioni Ustasha.

Il periodico Krizar (Il Crociato) nel febbraio 1942 descrisse come le organizzazioni dei crociati avessero servito da rifugio per la gioventù croata nella difficile lotta fra il 1929 e il 1934, e che molti giovani croati avessero sentito parlare per la prima volte dei fondatori Ustasha negli oscuri corridoi dei crociati.

Quintali di documentazione rendono evidente come la Fratellanza e la Sorellanza dei Crociati venissero usate come copertura per le attività illegali del movimento Ustasha fuorilegge nel regno di Jugoslavia. Quando il regno di Jugoslavia crollò molti membri dei crociati e diverse organizzazioni affiliate ricevettero importanti incarichi nello stato Ustasha.

Il periodico cattolico Katolicki Tjednik del 27 aprile 1941 riporta un articolo intitolato ” I crociati rivolgono un saluto allo stato croato e al suo Poglanvik. Fra le altre cose, l’articolo diceva: “La grande fratellanza dei crociati ha mandato attraverso il cappellano militare dell’esercito ustasha, dottor Ivo Guberina, e attraverso in signori CVitanovic e Vitezic, il seguente saluto al Poglavnik: la nostra gioia e felicità sono indescrivibili nel salutare nel nome della Grande Fratellanza dei Crociati e dell’intera organizzazione dei Crociati il nostro Duce, l’imperatore del popolo croato, fondatore capo dello stato indipendente di Croazia, cresciuto nello spirito del cattolicesimo radicale, che non conosce compromessi di principio. Essi non hanno mai pensato per un solo momento di cedere o abbandonare il programma del nazionalismo croato. Grande capo! I Cociati ti danno il benvenuto e ti esprimono il loro grande amore e devozione. Che il signore ti benedica con abbondanza, e che i Crociati possono continuare a costruire anime immortali per Dio, e personalità d’acciaio per il popolo croato. Dio è vivo, per la terra del padre noi siamo pronti!”

(continua…)

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Come scrive Karlheinz Deschner, in Croazia riecheggiava la stessa retorica di stampo crociato, fanatica e fratricida, già sentita in Spagna nel 1936:

parte3 immagine 13“Vescovi e preti sedevano nel Sabor, il parlamento ustasa. Religiosi fungevano da ufficiali della guardia del corpo di Pavelic. I cappellani ustasa giuravano ubbidienza dinanzi a due candele, un crocifisso, un pugnale ed una pistola. I Gesuiti, ma più ancora i Francescani, comandavano bande armate ed organizzavano massacri: “Abbasso i Serbi!”. Essi dichiaravano giunta “l’ora del revolver e del fucile”; affermavano “non essere più peccato uccidere un bambino di sette anni, se questo infrange la legge degli ustasa”. “Ammazzare tutti i Serbi nel tempo più breve possibile”: questo fu indicato più volte come “il nostro programma” dal francescano Simic, un vicario militare degli Ustasa. Francescani erano anche i boia dei campi di concentramento. Essi speravano, nella “Croazia Indipendente”, in quello “Stato cristiano e cattolico”, la “Croazia di Dio e di Maria”, “Regno di Cristo”, come vagheggiava la stampa cattolica del paese, che encomiava anche Adolf Hitler definendolo “crociato di Dio”. [3-7]

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Ante Pavelic con l’episcopato della Chiesa cattolica ad un ricevimento in occasione del suo compleanno.
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Suore marciano con i legionari nazisti croati (Ustasha).

(… continua)

L’organizzazione dei Crociati era diretta in modo centralizzato da Zagabria. L’arcivescovo Stepinac confermava personalmente la scelta dei suoi capi.

A presidente dell’organizzazione Stepinac aveva messo il noto fascista dottor Dr. Feliks Niedzielski, e come primo curato e vicepresidente aveva nominato monsignor Milan Beluhan.

La commissione di inchiesta ha accertato che nel periodo precedente la guerra molte chiese e monasteri cattolici della Jugoslavia servirono come sede per incontri segreti degli Ustasha. Per citarne solo alcuni, gli incontri fra il leader del movimento illegale ustasha in Jugoslavia e i delegati di Pavelic dall’Italia e dalla germania si tenevano nel monastero francescano di Cuntic.

I preti occupavano posizioni di grande responsabilità nell’organizzazione illegale ustasha.

(continua …)

In proposito lo storico Dusan Batakovic ha scritto:

parte3 immagine 16“L’alto clero della Chiesa cattolica croata aveva stabilito una aperta collaborazione con le autorità Ustasha. Alla sua guida c’era l’arcicvescovo di Zagabria Mons. Alojzije Stepinac, che salutò la creazione del nuovo stato e diede la benedizione ad Ante Pavelic. La maggior parte dei vescovi cattolici (Mons. Saric di Sarajevo, Mons. Bonefacic di Split, Mons. Pusic di Hvar, Mons. Srebrenic di Krk, Mons. Buric di Senj, Mons Aksamovic di Djakovo, Mons Garic di Banja Luka, Mons. Mileta di Sibenik) hanno lavoratro attivamente per propagare il regime Ustasha, e un certo numero di preti e di suore portava l’uniforme Ustasha, soprattutto i francescani della Bosnia che non fecero nulla per nascondere la loro partecipazione ai crimini.” [3-8]

( … continua)

Molti approfittavano le loro privilegi come preti per operare come servizio di corriere fra le varie organizzazioni ustasha, altri addirittura organizzavano segretamente gruppi ustasha. Il prete della diocesi di Ogulin, Ivan Mikan, era il principale organizzatore delle attività ustasha di Ogulin.

In una petizione al Ministro dell’Agricoltura del 7 maggio’42, il dottor Berkovic vantava i seguenti servizi resi alle organizzazioni Ustasha: “Durante 14 anni passato come prete a Drnis, la mia parrocchia era letteralmente la casa degli Ustasha, era il punto di incontro degli Ustasha, non solo della nostra regione, ma di tutti quelli che venivano nella zona per organizzare le attività degli Ustasha…”

I più alti livelli della gerarchia cattolica intrattenevano tutti attività simili. L’arcivescovo di Sarajevo, Ivan Saric, incontrò i leader Ustasha in Sud America, e ne parlò apertamente su Katolicki Tjednik del 18 maggio 1941. In uno dei suoi viaggi in Vaticano, nel 1938, Saric incontrò Pavelic, nella Basilica di S.Pietro, e in seguito gli dedicò un poema che comparve su tutte le più importanti pubblicazioni cattoliche.

(continua …)


“ODE AL POGLAVNIK”

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Dall’ “Ode al Poglavnik” dell’Arcivescovo di Sarajevo leggiamo:

“Il poeta ti ha incontrato nella Città Santa,
nella basilica di S. Pietro, la tua presenza
era limpida come quella della patria natìa.

Che Dio onnipotente sia con te,
in modo che tu possa portare a termine
il tuo compito sublime!

Idolo dei croati, tu difendi gli antichi diritti sacri.

Tu ci difenderai dall’ingordigia dei giudei
con tutti i loro soldi, i miserabili che volevano
vendere le nostre anime e tradire i nostri nomi.

Proteggi le nostre vite dall’inferno,
dal marxismo e dal bolscevismo.”

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Ante Pavelic era noto per una tale crudeltà da aver impressionato gli stessi caporioni nazisti che lo visitavano. Sulla sua scrivania Pavelic usava tenere un cestino con gli occhi che erano stati cavati alle vittime prima di venire sgozzate, asfissiate o uccise a martellate. Quella che sembrerebbe a prima vista una semplice leggenda metropolitana è stata confermata da diverse fonti, fra cui lo scrittore italiano Curzio Malaparte:

parte3 immagine 19“Mentre si parlava, io osservavo un paniere di vimini posto sulla scrivania, alla sinistra del Poglavnik. Il coperchio era sollevato, si vedeva che il paniere era colmo di frutti di mare, così mi parvero, e avrei detto di ostriche, ma tolte dal guscio, come quelle che si vedono talvolta esposte, in grandi vassoi, nelle vetrine di Fortnum and Mason, in Piccadilly a Londra. Casertano (ministro italiano a Zagabria, ndr) mi guardò, stringendo l’occhio: “Ti piacerebbe, eh, una bella zuppa di ostriche!”. “Sono ostriche della Dalmazia?”, domandai al Poglavnik. Ante Pavelic sollevò il coperchio del paniere e mostrando quei frutti di mare, quella massa viscida e gelatinosa di ostriche, disse sorridendo, con quel suo sorriso buono e stanco: ” E’ un regalo dei miei fedeli ustascia: sono venti chili di occhi umani” – C. Malaparte, Kaputt, pag.429.

[Immagine: Prima di venire uccisa dagli Ustasha, a questa donna sono stati cavati gli occhi.]

Questo era l’uomo che Stepinac ricevette e benedisse nella cattedrale di Zagabria, e poi sostenne finchè rimase al potere, incitando il clero e il popolo croato a seguire le sue orme. Sotto a destra: Stepinac, che era anche il più alto cappelllano militare dell’esercito di Pavelic, porge visita al dittatore per gli auguri di buon anno indossando la medaglia degli Ustasha.

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In proposito, nell’introduzione al libro “l’Arcivescovo del genocidio” di Marco Aurelio Rivelli leggiamo:

parte3 immagine 22“Interrogato durante il suo processo sul perché avesse accettato l’onoreficenza degli Ustasha, Stepinac non si vergognò di rispondere che «…se avessi rifiutato la massima onorificenza militare ustaša, sarebbero successe delle cose ancora più terribili… Noi abbiamo stabilito in modo chiaro i principî delle conversioni, gli ortodossi erano liberi e nello stato spirituale di convertirsi o meno», senza rendersi conto della plateale contraddizione: infatti, il pubblico ministero gli contestò che non era pensabile che un uomo del suo rango non potesse rifiutare un’onorificenza per timore di cose terribili, laddove, a dire dello stesso Stepinac, perfino i serbi potevano liberamente scegliere senza conseguenze se diventare ortodossi o meno. Il vile Stepinac non rispose.” [3-9]

NOTA: Quella presentata finora è solo una parte dei capi d’accusa contro Stepinac citati dal documento dell’Ambasciata jugoslava, che invitiamo a leggere per intero. LINK


Quarta parte
Jasenovac
La Guerra dei francescani

Jasenovac

Ignorato sistematicamente dagli storici, Jasenovac fu il terzo campo di concentramento per dimensioni, dopo Auschwitz e Buchenwald, di tutta la seconda guerra mondiale (in realtà si trattava di un complesso di 5 campi diversi, tutti collegati fra loro). E’ qui che avvenne la maggior parte dei massacri operati dagli Ustasha contro le etnie non croate e non-cattoliche dello Stato Indipendente di Croazia.

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Donne e ragazze serbe verso il campo di concentramento.

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A Jasenovac morirono in tre anni circa settecentomila persone, che furono uccise con una brutalità inimmaginabile (le stime vanno da un minimo di 100.000 a un massimo di 1.000.000, ma la maggior parte degli storici sembra concordare su una cifra di circa 700.000 vittime in tutto). I più fortunati morirono di fame o di stenti, oppure con i liquidi dello stomaco e le intestina congelati dal freddo. Gli altri – uomini donne e bambini, senza differenza alcuna – venivano sgozzati vivi con un coltello speciale, chiamato srbosjek (sotto a sin.), che restava costantemente fisso al polso, oppure venivano affogati, bruciati, decapitati, strangolati con il filo spinato, o uccisi con una speciale mazza di legno (sotto a destra), che gli fracassava il cranio con un colpo alla tempia.

[Immagine]

[Immagine]

C’erano settimane in cui il fiume Sava era perennemente tinto di rosso, a causa dei cadaveri che vi venivano gettati a migliaia dalla vicina Jasenovac.

[Immagine: A SINISTRA: cadaveri che galleggiano nelle acque del fiume Sava. A DESTRA: Due Ustasha tengono un prigioniero per le braccia, mentre un terzo lo decapita con un’ascia. Gli altri stanno a guardare.]

[Immagini di ordinaria amministrazione nel campo di sterminio di Jasenovac]

[Immagine: Il serbo Milos Teslic, noto industriale e filantropo, fu torturato e ucciso in modo brutale dagli Ustasha. Le ossa gli furono spezzate, le orecchie e le labbra tagliate, gli occhi cavati, il petto trafitto, e il cuore gli fu strappato. Secondo i testimoni presenti, quando uno degli Ustasha prese in mano il cuore batteva ancora.]

[Immagine: Nei campi di Jasenovac e Stara Gradiska morirono circa 8.000 bambini.]

Poco prima della liberazione, nel 1945, gli Ustasha rasero al suolo Jasenovac, dopo aver riesumato e dato alle fiamme migliaia di cadaveri, nel tentativo di cancellare le orme dell’eccidio commesso.

La Guerra dei francescani

Come abbiamo visto negli atti di accusa contro Stepinac, i francescani della Croazia parteciparono attivamente sia alla preparazione della rivolta degli Ustasha, sia ai massacri compiuti in seguito contro i serbo-ortodossi.

In un articolo di Corrado Soli, comparso sul Resto del Carlino il 18 sett. 1941, si leggeva:

“Ci sono state bande di massacratori che erano e verosimilmente lo sono ancora capeggiate e infiammate da sacerdoti e monaci cattolici.” [4-1]

Ma è soprattutto nel propagandare l’odio religioso contro i serbo-ortodossi, incitandone apertamente lo sterminio, che i francescani diedero il principale contribuito alla “crociata” del Vaticano nella nuova Croazia.

Molti di loro avevano seguito l’esempio di Stepinac, entrando come cappellano militare nell’esercito degli Ustasha [4-2].

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Esattamente come in Spagna, i cappellani militari davano regolarmente l’assoluzione anticipata alle truppe Ustasha che si apprestavano a compiere i massacri sui serbo-ortodossi, mentre offrivano la benedizione ai corpi speciali della polizia Ustasha (l’equivalente delle SS tedesche).

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SOPRA: Membri della guardia del corpo giurano fedeltà fino alla morte al leader croato e ricevono la benedizione della Chiesa. SOTTO: Giuramento della polizia Ustasha nel 1943 con la benedizione della Chiesa.

parte4 immagine 5Nelle prime 60 pagine del suo libro “Jasenovac ieri e oggi – La cospirazione del silenzio“, William Dorich elenca i nomi di oltre 1000 preti cattolici che parteciparono alle mattanze nella Repubblica Indipendente di Croazia.

Dalla presentazione del libro leggiamo: “La maggior oparte dei serbi furono uccisi dai loro vicini, che venivano incoraggiati ad ammazzarli dai preti cattolici che guidarono un genocidio di oltre un milione di vittime.” LINK

QUESTA PAGINA di Internet riporta i nomi di 250 membri del clero cattolico coinvolti nelle azioni criminali degli Ustasha. La lista si ferma alla lettera “H”.


Mentre i colleghi nell’esercito svolgevano il ruolo di cappellano militare, altri francescani completavano l’opera di propaganda direttamente dall’altare:

parte4 immagine 6“Tramite i giornali e la radio, un odio assetato di sangue veniva istigato contro i serbi dal pulpito. Fra Sreko Peric, un francescano, mandava questo messaggio dall’altare della chiesa di Gorica, vicino a Livno: ‘Fratelli Croati! Andate e uccidete tutti i serbi. Prima uccidete mia sorella, che è sposata con un serbo, e poi ammazzate tutti gli altri. Quando avrete concluso il lavoro venite alla mia chiesa. Io vi confesserò e vi darò la comunione, e tutti i vostri crimini saranno perdonati.’ Dopodichè ebbe inizio il massacro. La crudeltà del massacro di quel giorno lascia senza fiato. Orde di Ustasha violentavano le donne e le tagliavano i seni, tagliavano gambe e braccia a quelle più anziane, e poi le cavavano gli occhi. Decapitavano i bambini, per poi buttarli in braccio alle loro madri. […] I più orrendi crimini nella provincia di Knin furono commessi dal comandante Ustasha Fra’ Viekoslav Simic. Questo servo di Dio e di San Francesco uccideva personalmente i serbi.” [4-3]

Contemporaneamente, dal pulpito i preti cattolici esaltavano le azioni vittoriose di Italia e Germania e inneggiavano al loro Poglavnik, che ritenevano mandato da Dio ad assolvere il sacro compito di restituire la Croazia al cattolicesimo, e viceversa.

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Padre Bozidar Bralo è noto per aver ucciso personalmente migliaia di serbi, sia nel campo di sterminio di Jasenovac che nei villaggi serbi di Sabalj, Marsic-Gaj, Piskavica, Ponira, Biljevina e Grmec. In una occasione organizzò il massacro di 180 serbi, e poi ballò la danza nazionale croata attorno ai loro cadaveri, prima che fossero gettati nel fiume. Era membro del parlamento Ustasha, insieme a Stepinac, e ricevette diverse onoreficenze da Ante Pavelìc. [4-4]

Quando non erano i preti cattolici ad arringare il popolo contro i serbi lo facevano direttamente i caporioni Ustasha, ai quali la Chiesa prestava generosamente il pulpito, in una sempre più perversa commistione di ruoli, intenti e filosofia di fondo.

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Il locale comandante Ustasha, Plese, durante un discorso dall’altare della chiesa. Gli altari servivano come palco per i discorsi di propaganda degli Ustasha.

“FRATELLO SATANA”

parte4 immagine 9parte4 immagine 10Fra i francescani che si distinsero per lo zelo genocida merita un capitolo a parte Fra’ Miroslav Filipovic, soprannominato “Fratello Satana”, il francescano che per un certo periodo fu direttore del campo di concentramento di Jasenovac, prima di passare a dirigere quello di Stara Gradiska. Qui Filipovic conduceva personalmente molte delle mattanze compiute quotidianamente fra i prigionieri. A quanto raccontato dai superstiti, amava in particolar modo sgozzare i bambini, con lo speciale coltello ideato personalmente da Ante Pavelic.

(A sinistra, Fra’ Filipovic con l’abito da francescano. A destra con l’uniforme degli Ustasha).

Così lo storico Vladimir Dedijer descrive il modo in cui Fra’ Filipovic si guadagnò i galloni di comandante del campo di sterminio di Jasenovac:

parte4 immagine 11Già nel 1940 aveva prestato il giuramento Ustasha. Dopo la nascita della Repubblica di Croazia, lui e altri funzionari Ustasha organizzarono la persecuzione dei serbi, e lui stesso prese parte ai massacri. Fra i suoi molteplici crimini vi sono i massacri dei villaggi di Drakulici, Sargovac e Motika, vicino a Banja Luka. Qui arrivò il 7 febbraio 1942, con l’intenzione di uccidere i serbi che vi abitavano, alla guida del battaglione Pavelic. Padre Filipovic uccise la prima vittima, il bambino Duro Glamocanin, gridando: “Ustasha, questo avviene nel nome di Dio. Io battezzo questi bambini e voi seguitemi. Io per primo prendo su di me l’intero peccato, e poi vi comfesserò in modo che siate perdonati per i vostri peccati”. Poi incitò gli Ustasha criminali, che uccisero circa 1.500 uomini donne e bambini, con asce e bastoni. Dopo essersi dimostrato unatale bestia umana gli Ustasha capirono di poterne fare buon uso, lo promossero e lo nominarono comandante dell’infame campo di Jasenovac. Là portava a termine quotidianamente gli omicidi con le sue mani , spesso di donne e bambini, che uccideva con colpi di martello di legno alla testa. Terrorizzava i prigionieri del campo e li uccideva senza pietà, come è stato raccontato nelle testimonianze dei superstiti. [4-5]

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Il francescano Miroslav Filipovic legge la Messa durante una celebrazione a Banja-Luka. Alla sua destra l’Ustasha Velikii Zhupan, governatore di Banja-Luka, che tiene in mano una corona di frumento.

Quando la Croazia fu liberata dai partigiani jugoslavi Filipovic fu arrestato, e fu poi processato dalla nuova Repubblica Federale Jugoslava. Nella sua deposizione di fronte alla Commissione Nazionale Croata sui crimini di guerra, Filipovic dichiarò:

“Sono stato amministratore del campo di Jasenovac dal giugno 1942 all’ottobre 1942. Riconosco di aver personalmente ucciso, durante le pubbliche esecuzioni, circa 100 prigionieri nei campi di Jasenovac e Stara Gradiska. Riconosco anche che durante la mia amministrazione del campo vi furono esecuzioni di massa, alle quali non ho partecipato, anche se ero a conoscenza delle esecuzioni. Anzi, mi correggo, ero presente alle esecuzioni di massa, ma non ho partecipato […] A Gradina le esecuzioni avvenivano con un martello di legno. Erano fatte in modo che la vittima dovesse prima calarsi in una buca che era già stata scavata [di solito dalla vittima stessa, N.d.T.], per poi ricevere un colpo di martello dietro la testa. Le uccisioni avvenivano anche con pistola o con il taglio della gola. Durante la liquidazione delle donne e delle ragazze a Gradina, so che venivano violentate le più giovani […] Io non ho mai violentato nessuno. Durante la mia amministrazione, secondo i miei calcoli, furono liquidati a Jasenovac fra 20 e 30.000 prigionieri […] Alla fine di ottobre del 1942 mi trasferii a Stara Gradiska, dove rimasi fino al marzo del ’43. In quel periodo vi furono anche liquidazioni di massa, di solito eseguite fuori dal campo […] Nell’aprile del 1945 sono tornato a Jasenovac, dove sono rimasto fino alla fine. So che in quel periodo i cadaveri dei prigionieri di Gradina venivano riesumati e bruciati per cancellare le tracce di quello che era successo. Io non ho partecipato alla liquidazione di questi ultimi prigionieri, ma solo alla loro riesumazione.” [4-6]

In realtà – commenta la Commissione nel documento – diverse testimonianze confermano che le uccisioni operate da Filipovic furono in numero molto, molto maggiore di quello dichiarato. Secondo alcune testimonianze, in una sola notte Filipovic avrebbe sgozzato personalmente oltre 100 bambini. Sempre nel ’42 il responsabile di Jasenovac, che riferiva direttamente a Pavelic, ha dichiarato:

“In un anno, soltanto qui a Jasenovac, abbiamo ammazzato più gente di quanta ne sia riuscita ad ammazzare l’impero ottomano in tutta la permanenza dei turchi in Europa.” [4-7]

Filipovic fu condannato a morte, insieme a molti altri Ustasha responsabili della gestione di Jasenovac e degli altri campi di concentramento.

Un altro francescano noto per sua la furia omicida fu Vicko Rendic, che diresse a sua volta per un certo periodo di tempo il campo di sterminio di Jasenovac.

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LA DISTRUZIONE DELLE CHIESE ORTODOSSE

A conferma dell’onnipresente sapore di “crociata” che permeava tutte le azioni degli Ustasha vi fu la sistematica distruzione delle chiese ortodosse nei territori occupati, insieme all’eccidio, spesso truculento, dei preti della stessa religione.

In proposito, Dusan Batakovic ha scritto:

“Gli alti dignitari e gli ecclesiastici della Chiesa ortodossa serba erano un bersaglio privilegiato degli attacchi Ustasha. Sul territorio dello Stato Indipendente di Croazia c’erano nove vescovi serbi, 1.100 chiese, 31 monasteri, 800 preti e 160 suore. Tre dei vescovi più importanti, Mons. Platon Jovanovic di Banja Luka, Mons.Petar Zimonjic di Sarajevo, metropolita di Bosnia, e Mons Sava Trlajic, vescovo di Karlovac, furono assassinati in maniera brutale. Il metropolita di Zagabria, Mons. Dositej, fu deportato a Belgrado dopo essere stato torturato. Nello Stato Indipendente di Croazia circa 300 preti [serbi] furono uccisi, dopo che un gran numero fu espulso verso la Serbia. Nella diocesi di Karlovic furono incendiate, distrutte o fortemente danneggiate 175 chiese. Nella diocesi di Pakrac su un totale di 99 chiese, 53 sono stati incendiate e 22 danneggiate. Nelle diocesi della Dalmazia 18 chiese demolite e 55 danneggiate, su un totale di 109. Nella diocesi di Dubica il numero totale degli abitanti serbi è crollato in poco tempo da oltre 32.000 a 13.000 circa. Su tutto il territorio della Repubblica Croata, nei cinque anni di potere degli Ustasha, circa 400 chiese e monasteri serbi sono stati demoliti, mentre quelli danneggiati venivano utilizzati come sacrestie, avamposti, mattatoi per il bestiame o gabinetti pubblici. A Jasenovac la chiesa ortodossa locale, prima di esser interamente distrutta, era stata trasformata in stalla. La distruzione sistematica non ha risparmiato nemmeno i cimiteri ortodossi, che venivano distrutti e poi rimossi, come quelli di Banja Luka, Cajnice, Brcko, Travnik, Mostar, Ljubinje, Slavonski Brod, Borovo, Tenja e molti altri .” [4-8]

[Immagine: Ustasha posano con la testa mozzata di un prete ortodosso]

LE CONVERSIONI FORZATE

I serbi che venivano risparmiati dagli Ustasha venivano obbligati a convertirsi al cattolicesimo, pena l’espulsione o la deportazione nei campi di concentramento.

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Il folle sogno di trasformare una nazione multietnica e multireligiosa in un paese esclusivamente cattolico si fermò solo quando le armate dei partigiani jugoslavi riuscirono finalmente a sconfiggere gli Ustasha e a liberare il territorio occupato.

Nel frattempo quasi un milione di civili innocenti era stati uccisi, nel nome di un Dio che teoricamente avrebbe dovuto essere lo stesso per tutti.


Quinta parte
Pio XII e la complicità della Santa Sede
Gli argomenti a difesa della Chiesa
Il corpo del reato
Conclusione

Pio XII e la complicità della Santa Sede

parte5 immagine 1parte5 immagine 2Rimane a questo punto da stabilire l’esatto rapporto fra gli eventi della Croazia e la Santa Sede, e questo discorso non può non ricadere in quello più ampio dei cosiddetti “silenzi” di Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale.

Cinico istigatore, complice intenzionale, o spettatore passivo?

Fra queste tre posizioni oscilla da decenni un dibattito che non accenna ad esaurirsi, e che potrà concludersi solo quando il Vaticano avrà reso pubblica tutta la documentazione storica riguardante il papato di Eugenio Pacelli. Fino ad allora, il fatto stesso che ne mantenga segreta una parte legittima i diffusi sospetti di una diretta collusione con il nazi-fascismo.

Nel caso specifico della Croazia, però, l’ipotesi dello “spettatore passivo” si può scartare già in partenza, data la regolare presenza del nunzio apostolico Ramiro Marcone accanto a Pavelic e agli altri gerarchi Ustasha in molte delle importanti cerimonie ufficiali della Croazia. In qualità di nunzio apostolico, infatti, Marcone rappresentava ufficialmente la persona di Pio XII in tutte le sue pubbliche apparizioni.

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Il nunzio apostolico Marcone (in bianco) ad una cerimonia Ustasha seduto fra Andije Artukovic, Ministro degli Interni della Croazia (primo a sin.), e l’arcivescovo di Zagabria Stepinac (al centro)

Subito dopo il suo arrivo a Zagabria, il 15 aprile 1941, Ante Pavelic aveva scritto a Pio XII:

“O Santo Padre! Poiché la Divina Provvidenza ha fatto sì che io prendessi la guida del mio popolo e della mia patria, sono fermamente determinato e desidero affermare con fervore che il popolo croato, come nel suo lodevole passato, anche nel futuro rimarrà fedele al sacro apostolo Pietro e ai suoi seguaci, e che la nostra patria, colma della legge del Nuovo Testamento, diventi il regno di Cristo. In questa opera veramente grande chiedo con fervore l’aiuto di Vostra Santità. Come prima cosa vorrei che Vostra Santità, con la vostra più alta autorità apostolica, riconosca il nostro stato, e che vi degnate di mandare al più presto un vostro rappresentante, che mi aiuti con il Vostro paterno consiglio, ed infine che impartisca a me e al mio popolo la benedizione apostolica. Inginocchiandomi ai piedi di Vostra Santità, bacio la vostra mano santa, come obbediente figlio di Vostra Santità.” [5-1]

Il 3 di agosto Ramiro Marcone arrivava ufficialmente a Zagabria. In quell’occasione Stepinac scrisse nel suo diario:

“La Santa Sede ha riconosciuto “de facto” lo Stato Indipendente della Croazia.”  [5 – 2]

Vedere Marcone accanto a Pavelic, vederlo confessare il Poglavnik, o vederlo apparire regolarmente nelle cerimonie degli Ustasha equivale a vedere Pio XII compiere personalmente tutte quelle azioni.

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A SINISTRA: Ante Pavelic con il nunzio apostolico Marcone (primo a sin.) e il suo segretario Massucci (a destra). A DESTRA: Giovani Ustasha accolgono l’abate Marcone e Pavelic con il saluto fascista, all’uscita della cappella privata di Pavelic, dove ogni giorno si faceva confessare.
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Il legato papale (in bianco), l’arcivescovo Stepinac, Ante Pavelic (in uniforme Ustasha) e la moglie, all’inaugurazione di un ricovero per bambini a Tuskanac.
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A SINISTRA: Massucci, Pavelic e Marcone. A DESTRA: L’arcivescovo Stepinac e l’abate Marcone lasciano una cerimonia, seguiti da un generale tedesco.
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Marcone presenzia la cerimonia funebre di un generale Ustasha. A destra, in primo piano, l’arcivescovo Stepinac.
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Nazisti tedeschi, Fascisti italiani, Ustasha croati, il nunzio papale Marcone (tonaca bianca) e l’arcivescovo di Zagabria Alojzije Stepinac (tonaca nera)

Perchè il Papa avrebbe voluto essere rappresentato ufficialmente in tutte queste cerimonie, quasi sempre accanto Stepinac, se non per riconfermare da Roma il pieno appoggio ad Ante Pavelic ed agli Ustasha già espresso pubblicamente dall’arcivescovo di Zagabria? Se il Papa avesse voluto risultare un semplice “spettatore passivo” di quegli eventi, non avrebbe preferito chiedere al suo rappresentante di defilarsi il più possibile dalla compagnia degli Ustasha? Perchè invece rimarcare continuamente la sua presenza, tramite la persona di Marcone, se non per offrire il massimo supporto al progetto di “purificazione” etnico-religiosa che stavano per intraprendere?

A sua volta, la presenza di Marcone accanto a sè significava per Pavelic e per gli Ustasha avere il più alto avallo morale per tutte le loro azioni.


In proposito Michael Phayer ha scritto:

parte5 immagine 9“Sia il nunzio che il capo della Chiesa, vescovo Stepinac, erano in contatto continuo con la Santa Sede mentre il genocidio era in corso.” (pag. 31)

“Per gli Ustasha e per Pavelic le relazioni con il Vaticano erano importanti tanto quanto quelle con la Germania. L’aggancio di cui Pavelic aveva bisogno per avere il supporto popolare al suo stato fascista era la religione, nella forma di un riconoscimento da parte del Vaticano. I capi della Chiesa croata favorivano una alleanza con Pavelic per la sua promessa di uno stato anti-comunista e cattolico, che riuscisse a riconvertire le 200.000 anime passate dalla Chiesa romano-cattolica a quella serbo-ortodossa dopo la fine della prima guerra mondiale.” (pag.32)

“Il vescovo Stepinac organizzò un incontro in maggio [1941] per Pavelic con il Papa Pio XII.” (pag. 32) – Michael Phayer – The Catholic Church and the Holocaust.


Dopo il loro incontro, Pio XII congedò Pavelic dandogli la sua benedizione.

Nel 1943, con il genocidio dei serbi in pieno svolgimento, Pio XII ricevette in Vaticano un centinaio di membri della polizia Ustasha.

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Ricevimento in Vaticano dei corpi speciali della polizia Ustasha nel settembre 1943.

Questi “corpi speciali” non erano semplici poliziotti croati, ma rappresentavano il meglio fra gli Ustasha che si erano distinti per particolare ferocia ed efficienza nel genocidio dei serbo-ortodossi.

parte5 immagine 11Solo alla luce di questo connubio perverso fra la spada e la croce – ostentato in modo così ripetuto e plateale, e sommato ai continui incitamenti dei preti croati dagli altari e dalle piazze – si riesce a spiegare l’ondata di ferocia collettiva, cieca e inarrestabile, che ha coinvolto un intero popolo di cattolici nel brutale sterminio dei loro connazionali di fede ortodossa.

Resta difficile, a sua volta, ignorare come la catena di eventi drammatici registrati in Croazia ritorni inesorabilmente alla fonte che aveva nutrito i semi per la loro futura esistenza: era stato Pacelli a dare il contributo decisivo alla nascita della dittatura nazista, con l’approvazione del Decreto di poteri assoluti a Hitler e il susseguente scioglimento dell’opposizione cattolica in parlamento.

“Il voto del partito del Zentrum per il Decreto dei poteri assoluti fu decisivo per instaurare la tirannia totale di Hitler. Subito dopo Monsignor Kaas, su pressante richiesta di Pacelli, dissolse il partito. Il fatto che il partito si sia sciolto volontariamente, e non in modo forzato, diede al mondo e ai tedeschi l’impressione di un avallo ufficiale a Hiter da parte dei cattolici.” [5-3]

In seguito era stato Hitler a mettere al potere Pavelic, che fu accolto a braccia aperte da Stepinac a Zagabria, e poi accompagnato regolarmente nelle uscite ufficiali da Ramiro Marcone, in rappresentanza di Pio XII.

Diventa quindi impensabile sostenere che Pio XII sia stato un semplice “spettatore passivo” di quanto accaduto in Croazia, mentre si pone seriamente la necessità di valutare il peso effettivo che la Chiesa ha avuto nella nascita degli stati nazi-fascisti in tutta Europa, con le responsabilità che ne conseguono per aver avallato moralmente – ed in certi casi incitato apertamente – gli stermini sistematici di milioni di civili compiuti da queste nazioni “nel nome di Dio”.

Gli argomenti a difesa della Chiesa

Il dibattito storico sul cosiddetto “silenzio di Pio XII” è stato ampio ed approfondito, e ha permesso di conoscere da vicino anche le argomentazioni che sono state portate in difesa della Chiesa.

La maggioranza di queste argomentazioni tende a convergere su una tesi generalizzata, secondo la quale il Papa non sarebbe stato affatto un complice intenzionale del nazi-fascismo, ma lo avrebbe anzi combattuto nei limiti delle sue possibilità, fermandosi solo laddove ritenesse di poter peggiorare la situazione invece di migliorarla.

“La principale accusa rivolta a Pio XII da molti storici (Lewy 1964, Cornwell 1999, Zuccotti 2000) è relativa ai “silenzi” del Papa sullo sterminio degli ebrei, cioè alla assenza di condanne ufficiali del nazismo e della shoah da parte della Santa Sede. Tuttavia la documentazione esistente sembra confermare la tesi sostenuta da altri storici (Angelozzi Gariboldi 1988, Tornielli 2001) che tale silenzio sia stato motivato dall’intenzione di non provocare mali peggiori alle vittime delle persecuzioni naziste e ai cattolici tedeschi.” – Maurizio Lovatti LINK

E’ sicuramente una tesi plausibile, sia dal punto di vista logico che da quello umano, che trova inoltre un riscontro pratico nei rastrellamenti impietosi messi in atto dai tedeschi fra i cattolici del Belgio, dopo che il clero di quella nazione osò denunciare l’invasione nazista.

Questa tesi manca però di giustificare tutti i gesti di palese supporto compiuti negli anni precedenti dalla Chiesa a favore del nazi-fascismo – in Spagna, Italia, Germania e Croazia – che abbiamo elencato nei capitoli precedenti (e che rappresentano solo una parte di quelli storicamente documentati).

Siamo quindi di fronte ad una somma di contraddizioni evidenti, che impongono di pensare ad una doppia lettura degli eventi, scaturita dalla ambiguità intrinseca nel concetto stesso di “patto” fra la Chiesa ed un qualunque potere secolare.

LA LOTTA PER LE INVESTITURE

Sembra infatti evidente che durante il ventennio nazi-fascista abbiamo assistito, in realtà, all’ennesimo capitolo della cosiddetta “lotta per le investiture”, cioè il millenario braccio di ferro fra Chiesa e Imperi per il controllo assoluto delle nazioni sottomesse.

Uno dei fondamenti dottrinali della Chiesa, infatti, è che il potere “proviene da Dio”:

Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna.
– Nuovo Testamento, Lettere ai Romani 13,1-2

E’ quindi naturale che la Chiesa abbia reclamato sin dall’inizio il diritto di gestire questo potere in prima persona. A loro volta però gli imperatori hanno sempre accolto con sospetto questo curioso caso di autoreferenzialità, nel quale era la stessa Chiesa ad attribuirsi un potere che poi voleva esercitare, ed hanno invece riaffermato il proprio diritto di comandare a piacimento i popoli conquistati, senza interferenze da parte di nessuno.

In fondo, sostenevano, gli eserciti per andare in guerra ce li mettevano loro.

Va infatti notato come la Chiesa abbia preso parte, in modo più o meno indiretto, a quasi tutte le guerre europee degli ultimi 1700 anni, senza mai rischiare di perdere un solo soldato. Dalle Crociate alla Guerra dei Trent’anni, dalla strage dei Catari alla stessa guerra in Croazia, ha sempre usato gli eserciti altrui, sopravvivendo in ogni caso alla loro eventuale disfatta.

Questa peculiare capacità di sopravvivenza assume un sapore decisamente amaro di fronte all’agilità con cui Pio XII “cambiò casacca” nel 1943 – contribuendo a gettare nel caos la nazione – quando comprese che Hitler e Mussolini sarebbero stati sconfitti, e si affrettò a venire a patti con gli Alleati.

Si torna così alla citazione iniziale di Eleanor Roosevelt:

“La Germania nazista non c’è più. La Chiesa cattolica è ancora fra noi, più potente che mai, con la propria stampa e la stampa mondiale ai suoi piedi.” LINK

Se è vero che servono gli eserciti per vincere le guerre, è anche vero che queste si possono scatenare solo con un forte supporto popolare, e che quindi l’autorità morale riconosciuta alla Chiesa diventi in certi casi altrettanto preziosa, se non addirittura indispensabile. (Questo vale anche per altre religioni, ovviamente).

Quando ciascuno dei poteri necessita dell’altro per espandersi e per conquistare, si arriva inevitabilmente allo scontro diretto, nel momento di decidere chi debba comandare sull’altro. Non esistono partnership di successo basate su un reale rapporto fifty-fifty.

parte5 immagine 12Fu infatti dal giorno in cui Ambrogio, vescovo di Milano, dichiarò che la Chiesa “contiene tutto, e quindi anche l’Impero”, che la Storia ci ha regalato dozzine di episodi pittoreschi in cui lo scontro fra i due poteri è diventato palese, prolungato e spesso anche furibondo.

Uno dei più importanti fu proprio la Presa di Roma (1870), che decretò la fine dello Stato Pontificio e l’esproprio dei beni territoriali della Chiesa in tutta Italia. Da allora la cosiddetta “questione romana” rimase al centro di tutte le dispute fra Chiesa e Stato Italiano, finchè Mussolini – il grande “mangiapreti” d’antàn – si ritrovò a firmare i Patti Lateranensi, con vistose concessioni al Vaticano, pur di rimuovere gli ostacoli che ancora gli impedivano di arrivare al potere assoluto.

Una meccanica simile, come abbiamo visto, si era verificata anche nella Germania nazista, dove il Reichskonkordat pose fine pubblicamente alle ostilità, ma diede il via ad un prolungato braccio di ferro dietro le quinte, che finì per esplodere con la storica crisi fra Hitler e Vaticano nei due anni che precedettero la guerra.

Lo scontro era imperniato sul controllo delle scuole e della gioventù, che Hitler aveva garantito alla Chiesa con in Concordato, ma che cercava chiaramente di far passare nelle mani delle organizzazioni naziste.

Sapevano ambedue molto bene che un potere duraturo può resistere solo se fondato su una solida base culturale, che inculchi fin dalla gioventù i valori centrali che lo sostengono.

“MIT BRENNENDER SORGE” E L’ENCICLICA SCOMPARSA

Il 10 marzo 1937 Pio XI pubblicava l’enciclica “Mit Brennender Sorge”, che in tedesco significa “con grande ansietà”. L’ansietà era, almeno ufficialmente, quella per la guerra che si profilava all’orizzonte, e che minacciava di distruggere buona parte dell’Europa, Italia compresa.

Questa enciclica – scritta direttamemte in tedesco con il contributo di Pacelli – viene spesso citata dai difensori della Chiesa come un atto d’accusa contro Hitler, e come una lancia spezzata in difesa degli ebrei. Il realtà l’enciclica non nomina mai personalmente il Fuhrer, e si limita ad una generica condanna del “razzismo”, senza mai denunciare apertamente le persecuzioni degli ebrei e di altre etnie che erano già in corso in molti paesi europei.

Mancava poco alla “Notte dei Cristalli”.

Fu inoltre proprio Pacelli, che in quel momento era Segretario di Stato (Ministro degli Esteri) del Vaticano, ad ammorbidire gli effetti negativi dell’enciclica presso il Reich, come riportato da John Cromwell nel suo libro-scandalo “Hitler’s Pope”:

parte5 immagine 13“Per quanto Pacelli abbia collaborato alla stesura e alla distribuzione dell’enciclica, nè indebolì presto gli effetti rassicurando l’ambasciatore del Reich a Roma. “Pacelli mi ha ricevuto con decisa amichevolezza” fece sapere il diplomatico a Berlino, “e durante la conversazione mi ha enfaticamente rassicurato che le normali ed amichevoli relazioni fra di noi sarebbero state ristabilite al più presto possibile“. [5-4]

Ma è soprattutto quello che accadde dopo, che annullò definitivamente il gesto voluto da Pio XI con “Mit Brennender Sorge”, e che mostra la reale avversione di Pacelli ad una qualunque denuncia aperta del nazismo, che il futuro papa continuava a considerare l’estremo difensore contro il pericolo bolscevico.

parte5 immagine 14Visto lo scarso successo ottenuto dalla “Mit Brennender Sorge”, Papa Ratti aveva chiesto la stesura di una nuova enciclica, che condannasse apertamente Hitler e il nazismo, per cercare in qualche modo di arrestare la follia che stava per travolgere il mondo.

Questa volta però Pacelli non la scrisse di persona, ma ne affidò la stesura ai Padri Gesuiti, i quali la passarono poi di mano in mano, fino a farne perdere le tracce.

Il 10 febbraio del 1939 Pio XI, che nel frattempo si era inimicato anche Mussolini, moriva improvvisamente per un attacco cardiaco, senza aver mai potuto nè leggere nè firmare la nuova enciclica.

In seguito Galeazzo Ciano avrebbe sparso la voce di “un compito molto delicato” che Mussolini aveva affidato in quei giorni a Francesco Petacci, che oltre ad essere il padre della sua fidanzata era anche medico personale di Pio XI.

parte5 immagine 15Alle ore 13 del 2 di marzo 1939 Eugenio Pacelli apriva le porte del nuovo Conclave nel ruolo di Camerlengo, e ne usciva alle 17.30 – dopo tre rapide votazioni – come neoeletto Papa Pio XII.

Fra le prime azioni del nuovo Papa vi fu proprio la soppressione definitiva dell’enciclica di condanna al nazismo voluta dal suo predecessore, che non ha mai visto la luce.

Si può quindi al massimo attribuire a Papa Ratti una qualche volontà, per quanto tardiva, di fermare la macchina infernale che lui stesso aveva contribuito a creare, ma non si può certo affermare che Pio XII fosse intenzionato a fare la stessa cosa, nè che ci abbia provato in modo realmente efficace.

Nonostante le diverse richieste, da parte di Churchill e altri rappresentanti stranieri, di denunciare l’Olocausto in corso, soltanto due volte Pacelli lo avrebbe criticato pubblicamente. Ma lo fece solo nel 1942, in modo obliquo e generico, senza mai pronunciare nè la parola “ebrei” nè la parola “nazismo”. Nel frattempo nei lager tedeschi erano già morte più di tre milioni di persone.

Questo non significa naturalmente che i rapporti con Hitler fossero diventati di colpo idilliaci, dopo la sua elezione a pontefice. Lo scontro sarebbe continuato in altre forme, ma la pubblica condanna, ferma ed inequivocabile, che avrebbe forse potuto evitare lo sterminio di milioni di innocenti, non arrivò mai.

Per sintetizzare al meglio l’antagonismo fra Hitler e Pio XII, basterà ricordare che nel 1939 – a guerra appena iniziata – il neoeletto Papa prese parte ad un progetto segreto, mai realizzato, di far uccidere il Fuhrer in combutta con gli Alleati, mentre lo stesso Hitler arrivò in seguito a progettare il rapimento di Pio XII per allontanarlo definitivamente dalla sede di Roma. Tutto questo avveniva con il Reichskonkordat, siglato pochi anni prima, ancora pienamente in vigore [5-5]

E’ peraltro comprensibile, come già detto, che il rapporto fra la Chiesa e le nazioni alleate sia sempre stato caratterizzato da una profonda ambiguità, dove l’apparente serenità esteriore nascondeva il prolungamento interminabile di un conflitto mai risolto.

parte5 immagine 16

A sua volta, la Chiesa è sempre stata cosciente di esporsi alle critiche, nel momento in cui appoggiava regimi particolarmente sanguinari e truculenti come quello di Hitler o di Ante Pavelic.

Nasceva quindi la necessità di un sottile gioco di equilibri fra apparenza e sostanza, dove la prima veniva spesso chiamata a fare da copertura alla seconda, per evitare sia lo scontro frontale che eventuali critiche esterne.

Un classico esempio della totale ambiguità a cui ricorre spesso la Chiesa, per “tenere il piede in due staffe”, si trova nel comunicato della Congrega per le Chiese d’Oriente mandato a Zagabria dal Card. Tysserant nel luglio del ’41. In tale occasione si incoraggiavano vescovi e preti croati a “permettere un naturale ritorno alla Chiesa cattolica” di tutti coloro che l’avessero eventualmente abbandonata in passato, a favore di altre chiese. Sottolineando il “naturale ritorno”, il documento appare come un nobile gesto di rispetto verso la libertà religiosa di tutti i cittadini. In realtà, escludendo tutti coloro che erano ortodossi dalla nascita, il comunicato autorizzava di fatto la loro conversione forzata, senza nemmeno nominarla. (E’ sulla base di questo documento che gli Ustasha e i francescani portarono a termine oltre 200.000 conversioni forzate dei serbo-ortodossi). [5–6]

Questo tipo di lettura, basata sulla ricorrente ambiguità delle proprie azioni – altri la chiamano ipocrisia – trova purtroppo conferma anche negli anni più recenti, con il supporto dato dalla Chiesa cattolica alle dittature del sudamerica (Argentina e Cile sopratutto): mentre ne condannava ufficialmente la repressione violenta, si scopriva che il Vaticano mantenesse addirittura dei conti bancari congiunti con Augusto Pinochet. Ancora più eclatante è l’esempio della stessa Croazia, con la richiesta universale “di perdono” da parte di Giovanni Paolo II per i crimini commessi in passato dai cristiani nel mondo, platealmente contraddetta dalla beatificazione dell’arcivescovo Stepinac, da lui stesso celebrata a Zagabria nel 1991.

Se cercavano un modo per confondere alla radice i loro fedeli, le alte gerarchie della Chiesa lo hanno sicuramente trovato.

Il corpo del reato

Rimane un’ultima pietra, che sembra seppellire definitivamente le possibilità di riscattare Pio XII dalle accuse di complicità con il nazi-fascismo, ed è il supporto dato dal Papa nel nascondere ed aiutare a fuggire numerosi caporioni nazisti, fra cui Ante Pavelic, dopo la disfatta dell’Asse.

Fuggito in Austria prima dell’arrivo dei Partizan a Zagabria, Ante Pavelic aveva raggiunto Roma, dove sarebbe rimasto a lungo nascosto fra le mura del Vaticano, travestito da prete, nel Convento di S. Girolamo. In seguito avrebbe assunto la falsa identità di un ex-generale ungherese, come risulta da questo documento del C.I.C., l’agenzia di controsopionaggio dell’esercito americano a Roma, desecretato di recente. L’originale è del luglio 1947.


COUNTER INTELLIGENCE CORPS
ROME DETACHMENT
ZONE FIVE
APO 512 US ARMY

1 – Ante Pavelic si nasconde sotto le spoglie di un ex-generale ungherese di nome “Giuseppe”. Porta una sottile barba appuntita ed i capelli tagliati corti sui lati, alla moda degli ufficiali tedeschi. Vive in una proprietà della Chiesa sotto la protezione del Vaticano, in via Giacomo Venezian 17-C, secondo piano.

2 – Entrando nell’edificio si segue un lungo corridoio scuro, alla cui fine si trovano due scale, una sulla sinistra e una sulla destra. Si prenda la seconda. Sulla destra vi sono stanze numerate 1, 2, 3, ecc.. Bussando una volta o due alla porta n. 3 si presenterà una persona sconosciuta. Bussando invece tre volte alla porta numero 3 si aprirà la porta n. 2, che conduce alle abitazioni che Ante Pavelic divide con il famoso terrorista bulgaro Vancia Mikoiloff ed altre due persone.

3 – Altre 12 persone vivono nell’edificio. Sono tutti Ustasha, e compongono la guardia del corpo personale di Pavelic.

4. Quando Pavelic esce in macchina usa un’auto con la targa del Vaticano (SCV).

5 – Le seguenti persone fanno occasionalmente visita al convento:

a) Ivica FRKOVIC, direttore della pubblicazione Ustasha “Hrvatski Narod”
b) Dr. Feliks POLJANIC, assistente capo della Polizia di Sarajevo
c) Ciro KUDUIA, Colonnnello Ustasha
d) Dr. VIDALI, assistente capo della Polizia di Sicurezza croata;
e) Zvonko DUGANIC, assistente capo del Servizio di Informazioni croato (vive a Roma, tel.N. 43302)
f) Peter SIMIC;
g) Dr. Lovro SUSIC, segretario del Movimento Ustasha in Italia. Attualmente vive a Caserta.
h) Joso ZUBIC, Commissario di Polizia di Sarajevo.
i) Husnija HRUSTANOVIC, giornalista
j) Zdravko BJELOMARIC – LINK


Un altro documento della stessa agenzia confermava il tipo di protezione di cui godesse Pavelic a Roma, che riuscì a evitare tutte le richieste di estradizione da parte degli Alleati – che inizialmente volevano arrestarlo – per poi essere fatto fuggire definitivamente in Argentina.


COUNTER INTELLIGENCE CORPS
ROME DETACHMENT
ZONE FIVE
APO 512 US ARMY

[…] I nostri agenti hanno riportato la seguente impressione dei contatti di Pavelic con il Vaticano. Tali contatti sono di così alto livello, e la sua attuale posizione è talmente compromettente per il Vaticano, che una qualunque estradizione del Soggetto conferirebbe un colpo devastante alla Chiesa romano-cattolica. […] – LINK


Nella fuga dalla Croazia Pavelic aveva portato con sè anche buona parte del cosiddetto “tesoro degli Ustasha”, composto da svariati bauli di oggetti preziosi tolti ai serbi e agli ebrei che venivano istradati ai campi di sterminio.

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Il destino di quei bauli, insieme a quello degli Ustasha fuggiti in Argentina, verrà descritto nel dettaglio in un nuovo capitolo, dedicato alle cosiddette “Ratlines”.

Conclusione

Le parole, in ogni caso, prima o poi evaporano nel nulla, mentre restiamo a fare i conti con dei fatti storici particolarmente ingombranti, che nessuno potrà mai cancellare:

– Diversi milioni di ebrei sterminati dai nazisti con la silente complicità del popolo tedesco, sulla base di un diffuso antiebraismo coltivato dalla Chiesa in tutta Europa nel corso dei secoli.

– Quasi un milione di serbi, ebrei e Rom sterminati in Croazia dagli Ustasha con la attiva partecipazione del clero cattolico, istigato apertamente dalle più alte gerarchie della Chiesa, sotto l’egida papale rappresentata dal nunzio apostolico Marcone.

– Quasi un milione di civili spagnoli sterminati dai fascisti di Franco con tanto di benedizione papale, con il pieno supporto di vescovi e cardinali di tutta la Spagna, e spesso per mano degli stessi frati francescani.

– Circa mezzo milione di civili fra slavi, albanesi, greci e africani sterminati dagli eserciti di Mussolini con il pieno supporto morale della Chiesa di Roma.

– Decine di milioni di morti causati, direttamente o indirettamente, da una Guerra Mondiale che è stata voluta, preparata ed iniziata dai poteri nazi-fascisti ufficialmente sostenuti dalla Chiesa cattolica.

Diventa quasi risibile, a questo punto, mettersi a contare “quanti ebrei” abbia effettivamente salvato Pio XII, oppure mettersi a discutere sulla corretta interpretazione di una enciclica, mentre diventa legittimo sospettare che questo genere di dibattito – apparentemente scottante, ma sostanzialmente innocuo – venga tenuto in vita in modo artificiale per distrarre l’attenzione da un reale problema storico, di ben diversa natura, portata e magnitudine.

Come ha scritto Thomas Pynchon, “Se riescono a farti fare la domanda sbagliata, non devono più preoccuparsi delle risposte”.

Massimo Mazzucco

luogocomune.net


Note e riferimenti

– Prima Parte – Chiesa e fascismo

1- 1 – “Nazi Germany is no more. The Catholic Church is still here with us. More powerful than ever. With her own Press and the World Press at her bidding. Anything published about the atrocities in the future will not be believed. . .” Avro Manhattan – The Vatican’s Holocaust ( Pagg. 107-108)

1-2 – “Les Slaves catholiques concernés (Croates, Dalmates, Slovènes), quoique parfois rétifs, étaient un atout précieux dans les mains de l’État et l’Église autrichiens. Cette dernière, par le truchement d’un bas clergé discipliné, maintenait, contre les Slaves orthodoxes l’obéissance et la cohésion politique d’une marqueterie de populations”. Annie Lacroix-Riz – Les cahiers de l’Orient, n° 59, 3e trimestre 2000, p. 79-101 LINK

1-3 – “All in all, Croats and Serbs are of two worlds, north pole and south pole, never will they be able to get together unless by a miracle of God. The schism (Eastern Orthodoxy) is the greatest curse in Europe, almost greater than Protestantism. Here there is no moral, no principles, no truth, no justice, no honesty”. (Alexander, op.cit.) LINK

1-4 – “Whatever opinion the Catholic Church may now express about Hitler and his Nazi-Socialism, it stands 100 per cent with him and the other fascist dictators in this avowed objective of destroying the political and social order that came out of the Reformation and substituting therefor an integral, positive-Christian hierarchical confederation of states, similar to that which existed before Protestantism disrupted the authoritarian order of things in Central Europe.” Leo Lehmann Behind the Dictators

1-5 – “It was of interest to me that the Pope said to me on this occasion that Germany must become the sword of the Catholic Church. I remarked that the old Roman Empire of the German nation no longer existed, and that conditions had changed. But he stuck to his words.” Kaiser Wilhelm II on Pope Leo XIII – Leo Lehmann – Behind the Dictators p22

1-6 – “Like many other Italian Catholic conservatives, Pius XI regarded a stable Fascist regime in Italy as a far more effective bulwark against Communism than democratic governments with their ever-changing coalitions could ever be.” Under His Very Windows – The Vatican and the Holocaust in Italy – by Susan Zuccotti – LINK

1-7 – Ivan Padjen – Church and State in Croatia – in Laws and Religion in post-communist Europe – pagg. 60-61. LINK

1-8 / 9 / 10 “Believe, Obey and Fight” (Credere, obbedire e combattere) – Tracy Koon pag. 138 – LINK )

1-11 – “Nuestra bendición se dirige de modo especial a cuantos han asumido la difícil y peligrosa misión de defender y restaurar los derechos y el honor de Dios y de la religión” – LINK

1-12 – Fredric Rossif, “Mourir a Madrid” – min. 18-20

1- 13 – National Catholicism (nacionalcatolicismo) was part of the ideological identity of Francoism, the dictatorial regime with which Francisco Franco governed Spain between 1936 and 1975. Its most visible manifestation was the hegemony that the Catholic Church had in all aspects of public and private life. Wikipedia – LINK

1-14 – To this end the Vatican helped to crush out the Catholic popular parties both in Italy and Germany and centralized all political matters in Rome. This insured to the dictators freedom from popular interference on the part of Catholics; it established a more complete dictatorial regime within the Catholic Church itself.” – Leo Lehmann, “Behind the dictators” – pag. 49

– Seconda parte

Non vi sono link di riferimento per la seconda parte, oltre a quelli presentati nella pagina stessa.

– Terza parte – L’alleanza fra Chiesa e Ustasha – Le colpe di Stepinac e del clero cattolico in Croazia

3-1 “God, who directs the destiny of nations and controls the hearts of Kings, has given us Ante Pavelic and moved the leader of a friendly and allied people, Adolf Hitler, to use his victorious troops to disperse our oppressors… Glory be to God, our gratitude to Adolf Hitler and loyalty to our Poglavnik, Ante Pavelic.” LINK

3-2 The pastoral letter, which was also published in Nedelja and Katolicki List on April 28, 1941, declared: “Honorable brethren, there is not one among you who did not recently witness the most significant event in the life of the Croatian people among whom we act as herald of Christ’s word. These are events that fulfilled the long-dreamed of and desired ideal of our people…. You should therefore readily answer my call to do elevated work for the safeguarding and the progress of the Independent State of Croatia…. Prove yourselves, honorable brethren, and fulfill now your duty toward the young Independent State of Croatia.” LINK

3-3 “The Jugoslav Auschwitz and the Vatican”, Vladimir Dedijer – Prometheus Books.

3-4 “REPORT ON ITALIAN CRIMES AGAINST YUGOSLAVIA AND ITS PEOPLE” – Commissione Nazionale Jugoslava sui Crimini di Guerra (Belgrado, 1947) – pag. 161 (Il documento non è disponibile online)

3-5 “While the Vatican’s Fascist associates were busy engineering political or terrorist activities, Catholic diplomacy—as previously in Spain, Austria, Czechoslovakia, Belgium, and France—came to the fore with the promotion of a powerful Catholic fifth column. This, which had already gnawed at the internal structure of Yugoslav unity, consisted of all those Croats infected with national-religious fanaticism, of the Catholic Hierarchy of Croatia, and of an illegal Nationalist Army composed of bands of Catholic terrorists, called the Ustashi, the last led by Ante Pavelic, supported by Vladimir Macek, leader of the Croat Peasant Party, who in 1939 arranged for Mussolini to finance him with 20 million diners for the Croat Separatist Movement, and by Archbishop A. Stepinac, leader of the Catholic Hierarchy in Croatia.” – The Vatican’s Holocaust – Avro Manhattan, Cap. 1 LINK

3-6 “L’Arcivescovo del genocidio” di Marco Aurelio Rivelli – LINK

3-7 Karlheinz Deschner – La politica dei papi nel XX secolo Edizioni Ariele LINK

3-8 “Le haut-clergé de l’église catholique croate avait établi la coopération la plus étroite avec les autorités oustachis. A sa tête se trouvait l’archevêque de Zagreb Mgr Alojzije Stepinac, qui a salué la création du nouvel Etat et donné sa bénédiction à Ante Pavelic. La majorité des évêques catholiques (Mgr Saric de Sarajevo, Mgr Bonefacic de Split, Mgr Pusic de Hvar, Mgr Srebrenic de Krk, Mgr Buric de Senj, Mgr Aksamovic de Djakovo, Mgr Garic de Banja Luka, Mgr Mileta de Sibenik) ont activement travaillé à la propagation du régime oustachi et un certain nombre de prêtres et de moines portaient l’uniforme oustachi, tout particulièrement les franciscains de Bosnie qui ne dissimulaient nullement leur participation aux crimes.”

3-9 “L’Arcivescovo del genocidio” di Marco Aurelio Rivelli – LINK

– Quarta parte – Jasenovac – La Guerra dei francescani

4-1 “The Jugoslav Auschwitz and the Vatican”, Vladimir Dedijer – pag . 197

4-2 “The Jugoslav Auschwitz and the Vatican”, Vladimir Dedijer – pag . 154

4-3 – “Magnum Crimen”, Viktor Novak – pagg. 651- 652 – Una delle fonti maggiormente accreditate dagli storici di tutto il mondo sulla storia del Vaticano nei Balcani è il libro “Magnum Crimen”, scritto nel dopoguerra dal prete cattolico Viktor Novak. LINK

4-4 BRALO, BOZIDAR Catholic priest in the St. Joseph church in Sarajevo. Organized the slaughter of 180 Serbs on the Alipasa Bridge. After killing them, he danced the Croatian national dance, the Circle Dance, around their bodies before their bodies were thrown into the river. […] Bralo also murdered thousands of Serbs in the concentration camp Jasenovac. He was a member of the Ustasha Parliament, together with Archbishop Stepinac. Personally slaughtered Serbs in the villages of Sabalj, Marsic-Gaj, Piskavica, Ponira, Biljevina, Kozara mountain, Sanski Most, Kamengrad and Grmec. Decorated by fascist Ante Pavelic. LINK

4-5 “The Jugoslav Auschwitz and the Vatican”, Vladimir Dedijer – pag . 216

4-6 REPORT ON ITALIAN CRIMES AGAINST YUGOSLAVIA AND ITS PEOPLE” – Commissione Nazionale Jugoslava sui Crimini di Guerra (Belgrado, 1947) – pag. 62

4-7 REPORT ON ITALIAN CRIMES AGAINST YUGOSLAVIA AND ITS PEOPLE” – Commissione Nazionale Jugoslava sui Crimini di Guerra (Belgrado, 1947) – pag.29

4-8 “Les hauts dignitaires et les ecclésiastiques de l’église orthodoxe serbe étaient une cible privilégie des attaques oustachies. Sur le territoire de l’Etat Indépendant Croate il y avait 9 évêchés serbes, 1.100 églises, 31 monastères, 800 prêtres et 160 moines. Trois des principaux évêques, Mgr Platon Jovanovic de Banja Luka, Mgr Petar Zimonjic de Sarajevo,le métropolite de Bosnie et Mgr Sava Trlajic évêque de Karlovac ont été assassinés de manière brutale et le métropolite de Zagreb Mgr Dositej a été déporté à Belgrade après avoir été torturé. Dans le NDH près de 300 prêtres ont été tués cependant qu’un grand nombre étaient expulsés vers la Serbie. Dans le diocèse de Karlovac, 175 églises ont été incendiées, détruites ou fortement endommagées. Sur un nombre total de 189, seules 14 églises demeuraient intactes. Dans l’évêché de Pakrac, sur un total de 99 églises, 53 ont été incendiées, et 22 endommagées. Dans l’évêché de Dalmatie 18 églises ont été démolies et 55 endommagées sur un total de 109. Selon des informations qui sont parvenues au début de l’année 1945 au Patriarcat de Belgrade, sept églises ont été démolies et 6 fortement endommagées sur un total de 12 qui comptait le diocèse de Bosanska Dubica de l’évêché de Banja Luka. Dans le diocèse de Dubica, le nombre total des habitants serbes est tombé de 32.687 à 13.286. Sur l’ensemble du territoire du NDH, pendant les cinq ans de pouvoir oustachi, près de 400 églises et monastères serbes ont été démolis, cependant qu’un grand nombre, endommagés, servaient d’écuries, d’entrepôts, d’abattoirs pour le bétail ou de toilettes ouvertes au public. A Jasenovac, avant d’être entièrement détruite, l’église orthodoxe locale avait servi d’étable. Les destructions systématiques n’avaient même pas épargné les cimetières orthodoxes. Parmi les nombreux lieux de sépulture qui ont été saccagés, ceux qui ont été plus particulièrement endommagés ou plus exactement démolis et les sites labourés: citons, les cimetières dans les environs de Banja Luka, dans les cantons de Cajnice, de Brcko, Travnik, Mostar, Ljubinje, Slavonski Brod, Borovo, Tenja et bien d’autres.”

– Quinta parte

5 – 1 “Holy Father! Since divine providence has made it possible that I take over the helm of my people and my homeland, I am firmly determined and wish fervently that the Croatian people, faithful to their laudable past, also in the future remain loyal to the holy apostle Peter and his followers and that our homeland, filled with the law of the New Testament, become Christ’s kingdom. In this truly great work, I fervently ask the aid of Your Holiness. As such aid I first see that Your Holiness with Your highest apostolic authority recognize our state, then that You deign as quickly as possible to send Your representative, who will help me with Your fatherly advice, and finally that he impart to me and my people the apostolic blessing. Kneeling at the feet of Your Holiness. I kiss your sacred right hand as the obedient son of Your Holiness”. . . “

The Jugoslav Auschwitz and the Vatican”, Vladimir Dedijer – pag . 78

5 – 2 –

5 – 3 Church History, Cambridge University Press

5 – 4 Although Pacelli collaborated in the writing and the distribution of the encyclical, he quickly undermined its effects by reassuring the Reich’s ambassador in Rome. “Pacelli received me with decided friendliness,” the diplomat reported back to Berlin, “and emphatically assured me during the conversation that normal and friendly relations with us would be restored as soon as possible.”

John Cornwell – Hitler’s Pope – in Vanity Fair, 1999

5 – 5 In November 1939, in deepest secrecy, Pacelli became intimately and dangerously involved In what was probably the most viable plot to depose Hitler during the war. The plot centered on a group of anti-Nazi generals, committed to returning Germany to democracy. The coup might spark a civil war, and they wanted assurances that the West would not take advantage of the ensuing chaos. Pius XII agreed to act as go-between for the plotters and the Allies. Had his complicity in the plot been discovered it might have proved disastrous for the Vatican and for many thousands of German clergy. As it happened, leaders in London dragged their feet, and the plotters eventually fell silent. The episode demonstrates that, while Pacelli seemed weak to some, pusillanimity and indecisiveness were hardly in his nature.
John Cornwell – Hitler’s Pope – in Vanity Fair, 1999

NOTA: Tutte le fotografie del clero croato, del campo di Jasenovac e dell’eccidio dei serbo-ortodossi in Croazia provengono dalla Cinemateca Nazionale Jugoslava, e sono in mostra permanente al Museo dell’Olocausto di Belgrado. Sono ampiamente diffuse in rete, e compaiono in tutti i più importanti libri che hanno trattato questo argomento. (V. Bibliografia Generale)
GALLERIA IMMAGINI JASENOVAC – LINK

Altri link verranno presto inseriti, insieme ad una completa bibliografia di riferimento.

Massimo MazzuccoMassimo Mazzucco (Torino, 20 luglio 1954) è un regista e giornalista italiano. Ha iniziato la sua attività come fotografo di moda. È poi entrato in contatto col mondo del cinema e nel 1982 ha realizzato il suo primo lungometraggio, Summertime. Nel 1986 cura la regia di Romance, uno degli ultimi film di Walter Chiari. In seguito Mazzucco ha girato Obiettivo Indiscreto (1992), un film ambientato nel mondo della moda interpretato da Luca Barbareschi e Sam Jenkins, e del quale ha curato anche la sceneggiatura insieme a Sergio Altieri.
Ha successivamente realizzato L’ombra abitata (1994), tratto da un romanzo di Alberto Ongaro con Michael York e Florinda Bolkan. Nel 1994 si trasferisce a Los Angeles dove vive attualmente e dove ha lavorato come sceneggiatore e consulente narrativo. A Los Angeles ha poi anche girato il film Aaron Gillespie will make you a star, una commedia critica verso il mondo dei “guru” della recitazione che a Hollywood vivrebbero sui sogni dei ragazzi desiderosi di successo nel cinema.
Mazzucco gestisce dal 2003 il sito web Luogocomune.net, impegnato nella divulgazione di teorie del complotto, come quelle che contestano il rapporto della Commissione sugli attentati dell’11 settembre 2001 (comprese le critiche alla versione ufficiale dell’attentato al Pentagono). Il sito riporta anche diverse altre teorie del complotto sugli argomenti più vari, come l’assassinio di John F. Kennedy, lo sbarco dell’uomo sulla Luna e le scie chimiche.
Altri temi trattati spaziano dalla storia delle religioni alla marijuana, dalla cura del cancro con metodi non riconosciuti dalla comunità scientifica alla massoneria. Mazzucco ha esposto i fatti avvenuti l’11 settembre in un libro e in un film diffusi via Internet, entrambi intitolati 11 settembre 2001 – Inganno Globale.
Ha pubblicato in Rete anche un secondo film, Il nuovo secolo americano, che indaga su ipotetici retroscena politici degli attentati. Successivamente ha realizzato il filmato L’altra Dallas – Chi ha ucciso RFK?, sull’omicidio di Robert Kennedy e, sul medesimo argomento, ha pubblicato un libro omonimo. Nel 2008 ha prodotto e distribuito I Padroni del Mondo, in cui sostiene che le notizie sull’esistenza degli UFO e di contatti con civiltà extraterrestri sarebbero tenute nascoste dai militari statunitensi.
Nel 2010 ha autoprodotto il video Cancro – Le cure proibite. Vi si menzionano varie cure alternative al cancro non riconosciute dalla comunità scientifica. Nel 2011 ha scritto e realizzato il video La vera storia della Marijuana. Nel settembre 2013 è uscito un nuovo film – documentario sull’ 11 settembre, intitolato La Nuova Pearl Harbor.