La chiesa e il suo lavaggio del cervello – prima parte

La chiesa e il suo lavaggio del cervello – prima parte

il-sito-cattolico-pontifex-denuncia-moretti-1Intervista di Biagio Catalano a Domenico Pacitti
Traduzione di Gianluca Freda

Nota del traduttore: credo sia la prima volta che mi capita di tradurre in italiano l’intervista di un giornalista italiano ad un insegnante italiano. Già questo basterebbe a capire quanto le posizioni di Domenico Pacitti, attualmente insegnante di lingua inglese e letteratura americana all’Università di Pisa, siano sgradite e impubblicabili in Italia. Così sgradite e impubblicabili da poter essere espresse solo (o soprattutto) in inglese, nel sito JUST Response di cui lo stesso Pacitti è direttore. E questo non solo per la sempiterna prepotenza del potere politico e per la censura dell’establishment italico contro ogni opinione “deviante”, ma anche per il disinteresse del gregge nazionale verso ogni punto di vista non omologato.

Tutto ciò che non sia riconducibile alla guerra tra bande in cui si risolve il quadro politico e non comporti la professione di fede per l’una o per l’altra cosca, viene semplicemente ignorato dai montoni con la matita copiativa. Se un’opinione non serve a far vincere la “mia” cosca, se non mi dà garanzia di clientele, se non procura a mio nipote un posto da scaldapoltrona in qualche ente pubblico, allora, anche se ben argomentata, è un’opinione inutile.

Anzi, non è neppure un’opinione, dunque è superfluo e pericoloso pubblicarla. E lo è altrettanto leggerla. Questa intervista – assolutamente inutile – di un bravo giornalista italiano ad un ottimo docente italiano, pubblicata in lingua inglese, è per coloro che non sanno fare a meno dei punti di vista del tutto ininfluenti sulla carriera. E perfino un tantino rischiosi.

Biagio Catalano: Professor Pacitti, vedo dai suoi scritti che lei si definisce un ateo. In che senso, esattamente, lei è un ateo?

Domenico Pacitti: Sono ateo nel senso che non conosco nessuna ragione convincente per sostenere l’esistenza di una divinità suprema. Non credo neppure nell’immortalità, nella vita eterna, nel paradiso o nell’inferno, nei miracoli o che Gesù Cristo sia il figlio di Dio. Naturalmente non posso dimostrare in modo definitivo l’inesistenza di Dio, allo stesso modo in cui non posso dimostrare in modo definitivo l’inesistenza di un ristorante italiano in attività sul pianeta Plutone o che il nostro mondo sia popolato da spettri che esistono al di là della nostra percezione.

Ma considero del tutto ragionevole il mio scetticismo su tutti e tre questi argomenti e mi assumo l’onere della prova per il fatto di stare dalla parte di coloro che enunciano tali proposizioni. Il termine ‘agnostico’ lo riserverei a coloro che si lasciano coinvolgere più profondamente da questo problema e scoprono di non poter esprimere certezze in un senso o nell’altro.

Catalano: Qual è stato il suo primo contatto con il cattolicesimo romano e come è diventato un ateo?

Pacitti: Ricordo che intorno all’età di 4 anni, a Glasgow, dove sono nato e cresciuto, domandai a mia zia delle immagini sacre che teneva nel suo messale della domenica. Una mostrava un San Michele trionfante che trafiggeva con una lancia un Lucifero caduto. Un’altra raffigurava l’Arcangelo Gabriele con la tromba che avrebbe suonato un giorno per annunciare la fine dei tempi. Ricordo di essermi immediatamente chiesto perché mai un Dio benevolo avrebbe dovuto promuovere un simile, spietato spargimento di sangue e togliere sadicamente il tappeto del tempo da sotto i nostri piedi.

Ma non ricevetti alcuna risposta soddisfacente alle mie insistenti domande. Avevo la vaga sensazione che la religione non avesse un senso letterale e che dovesse essere vista in termini simbolici o mitologici, anche se a quell’epoca non avrei saputo esprimere la cosa in questi termini. Penso di non aver mai creduto seriamente a tutte queste storie. Perciò direi che non sono mai diventato ateo: semplicemente non sono mai diventato religioso.

Catalano: In che modo le sue prime esperienze scolastiche hanno rafforzato il suo ateismo?

Pacitti: Nell’istituto religioso che frequentai tra i cinque e i nove anni, le suore ci facevano imparare il catechismo a memoria: “Chi ti ha creato? Dio mi ha creato. Perché Dio ti ha creato? Dio mi ha creato per conoscerlo, amarlo e adorarlo in questo mondo, così che io possa essere felice con lui in eterno nell’altro”, e robe del genere. A questo punto avevo capito benissimo che erano stati i miei genitori, e non Dio, a crearmi e consideravo un affronto verso di loro l’attribuire tale atto, nel bene o nel male, a Dio o il pretendere che io amassi lui più di quanto amavo loro.

Il concetto di adorazione mi è sempre apparso intollerabilmente servile, umiliante e indegno di qualunque persona dotata di amor proprio. Né il dover chiamare “Sorella” una suora e “Padre” un prete serviva a migliorare le cose. Una parte del catechismo ci chiedeva di accettare che ogni volta che si celebrava una messa avveniva letteralmente un miracolo e che questo miracolo consisteva nella trasformazione, ad opera del prete, del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo.

Ricordo che domandai alle suore se la transustanziazione non dovesse, per caso, essere interpretata in senso simbolico, come il morso che Adamo diede alla mela. Il raccapricciato responso fu che tutto doveva essere accettato in senso assolutamente letterale e che io dovevo imparare a non avere tutti questi dubbi come San Tommaso.

Devo aggiungere che la decisione dei miei genitori di mandarmi in scuole cattoliche private fu fondata sulla mera considerazione dei loro presunti alti standard educativi, poiché i miei genitori non furono mai cattolici praticanti né furono particolarmente interessati alla mia educazione religiosa.

Catalano: Può raccontarci qualcosa delle sue esperienze scolastiche successive?

Pacitti: L’educazione religiosa delle scuole primarie e secondarie che frequentai presso i gesuiti aggiunsero all’indottrinamento per memorizzazione un’altra forma di indottrinamento più sottile: l’autocensura istintiva. Questo veniva ottenuto consentendo e perfino incoraggiando la formulazione di domande, a patto che esse ricadessero all’interno della cornice dottrinale accettata; in altre parole, purché esse non rappresentassero una sfida radicale alla dottrina. Tutto ciò che ricadeva al di là dei confini prestabiliti era inammissibile.

Iniziai a notare che il comportamento di coloro che credevano in Dio, nella vita eterna e nell’immortalità era in palese contraddizione con i loro professati convincimenti. Una volta uno dei miei insegnanti morì dopo aver ricevuto gli estremi sacramenti, il che doveva garantirgli un sicuro passaggio verso il paradiso, e io non riuscivo a capire perché tutti fossero così tristi. Dovrebbero rallegrarsi, pensavo. E mi chiedevo che ne sarebbe stato di coloro i quali, essendo morti senza ricevere l’indispensabile trattamento preferenziale, sarebbero arrostiti all’inferno in ossequio a questa bizzarra dottrina.

Catalano: Esistono episodi o conflitti personali particolarmente memorabili di cui può parlarci?

Pacitti: Vi furono alcuni incidenti. Posso parlarle di quello che ebbe il maggiore impatto su di me. Quando avevo nove anni diedi l’esame d’ingresso per una scuola primaria dei gesuiti a Glasgow e lì ebbi la mia prima esperienza dell’ingiustizia che è tipica del cattolicesimo romano. Il rettore, un certo padre Tracy, uomo intossicato dal potere clericale, ce l’aveva con gli italo-scozzesi che mandavano i bambini a lavorare nelle attività di famiglia prima che avessero completato i corsi scolastici e diceva di voler dar loro una lezione.

Beh, la lezione arrivò sotto forma del rifiuto di accettare il candidato con i voti più alti, che ero io, per il fatto che venivo da una famiglia italiana. Invece, ad altri italo-scozzesi, quelli raccomandati, venne garantito un posto nella scuola. L’azione determinata dei miei genitori alla fine mise il rettore in ginocchio. Ricordo ancora l’angoscia sul viso di mia madre quando le chiesi se potevo avere la mia uniforme scolastica e le assicurai di non aver fatto nessun errore all’esame.

Mi dissero la verità solo dopo che il problema era stato risolto e in quell’occasione appresi anche che il rettore era rimasto molto seccato per aver dovuto avere a che fare con una donna, essendo mio padre troppo disgustato per incontrare il rettore di persona. Fu un’esperienza ulteriore che confermò la mia visione secondo la quale i preti sono virus della società, che corrompono la verità e infettano il pensiero.

Catalano
: Professore, in che senso e fino a che punto la religione porta il peso della responsabilità per l’educazione socio-culturale dell’individuo, con particolare riferimento all’Italia?

Pacitti: Mi permetta di chiarire che io mi oppongo a tutte le religioni, poiché esse sono irrazionali e diffondono false credenze. Qui parliamo, nello specifico, del cattolicesimo romano. Gli esempi che ho appena citato riguardano il Regno Unito solo in senso molto limitato, poiché presentano alcuni dei marchi inconfondibili della Chiesa Cattolica italiana: l’avvelenamento delle menti dei giovani attraverso un indottrinamento volto a inculcare stupidaggini; la restrizione arbitraria della libertà di pensiero attraverso la ginnastica dell’autocensura; l’uso di concetti di gratuita violenza fisica e psicologica avente lo scopo di terrorizzare per raggiungere fini prestabiliti; la mancanza di rispetto per i meriti personali; l’ossessione per il potere e la gerarchia; l’accettazione della filosofia delle raccomandazioni e degli scambi di favori; il disprezzo per la verità, per la giustizia e per i princìpi più alti; la mancanza di rispetto e perfino il disprezzo verso le donne; e l’ipocrisia.

In Italia la situazione è ovviamente molto peggiore, poiché questi pregiudizi sono stati per secoli parte della normale vita quotidiana, nel senso più ampio possibile. Nei casi migliori, la religione cattolica romana incoraggia i credenti a compiere certi atti moralmente positivi e ad astenersi dal compierne altri moralmente negativi. Ma immancabilmente per le ragioni sbagliate. In questo senso, molto limitato, il cattolicesimo romano può essere considerato positivo. Dall’altro lato, soprattutto in Italia, l’etica del perdono ha portato ad una profonda corruzione di valori come verità e giustizia. Ha anche favorito la debolezza di volontà, offrendo scarsi incentivi all’obbedienza alle leggi.

Credo che in questo caso il male superi di gran lunga il bene e che la religione cattolica romana debba essere ritenuta la principale responsabile di una corruzione endemica e profondamente radicata. Nel frattempo, con la pubblicazione del suo catechismo, Herr Ratzinger (§43 ss.), non contento evidentemente dell’abissale record di corruzione detenuto dalla sua Chiesa, ha compiuto un importante passo verso la legittimazione di quell’atroce massacro umano provocato dalle bombe e da altre armi. Ricorderà inoltre che all’alba dell’invasione alleata dell’Iraq, il Vaticano disapprovò le proteste pacifiste in Italia, fondamentalmente per il motivo che il Vaticano si riteneva l’unica autorità autolegittimatasi a intervenire sull’argomento. Né le proteste pacifiste ricevettero dai media italiani l’attenzione che meritavano, il che non è certo una sorpresa.

Catalano
: Lei ha una conoscenza molto solida del sistema universitario italiano, essendo lei stesso un docente. In molti dei suoi articoli lei parla in modo instancabile, assai critico e senza mezze misure dell’anormale stato di degenerazione delle università italiane. A cosa è dovuto questo disastro e quali problemi potrebbe causare sul lungo periodo?

Pacitti: Come si può avere una scuola o un’università credibile all’interno di un sistema che non solo non riconosce l’elemento fondamentale del merito, insieme ai valori supremi di verità, giustizia e autentica libertà di pensiero e di espressione, ma nutre addirittura verso tutte queste cose un cinico disprezzo e punisce in continuazione gli insistenti tentativi di valorizzarle? La competizione per una cattedra che è già stata assegnata in anticipo non merita di essere chiamata competizione. Un esame in cui tutti imbrogliano e i professori fanno favoritismi non è un esame.

Un’università italiana non merita di essere chiamata università poiché molte connotazioni comunemente associate alle università vere e proprie sono dolorosamente assenti. Abbiamo bisogno di riflettere sul fatto che ogni docente, oltre a insegnare i contenuti della propria materia, insegna allo stesso tempo, probabilmente in modo del tutto inconscio, attraverso l’esempio che fornisce, proprio come i bambini imparano più dall’esempio dei propri genitori che dall’istruzione esplicita.

Gli studenti, inconsciamente, assimilano quest’ultimo aspetto. In un’università italiana il docente che vi fornisce l’insegnamento è, nella migliore delle ipotesi, colpevole di complicità passiva nella perpetuazione di un sistema corrotto, poiché non è credibile che egli non sia consapevole dei diversi meccanismi di corruzione, eppure la debolezza di volontà e la paura di reprimende gli impediscono di denunciarli.

Anche qui la mentalità italiana, generata dalla Chiesa Cattolica Romana, impedisce di percepire un simile comportamento per ciò che è. Dovrebbe essere fin troppo ovvio che le persone che scelgono di non denunciare la verità, pur conoscendola, che optano per il muro di silenzio, divengono automaticamente complici dei criminali e corresponsabili della corruzione. Ma il condizionamento culturale cattolico oscura sistematicamente questa e altre simili percezioni.

Nella peggiore delle ipotesi il vostro docente giocherà un ruolo attivo in quella corruzione in modo regolare e duraturo. Che possibilità hanno gli studenti se coloro che rivestono il ruolo formativo sono essi stessi impresentabili? Un attento studio dei meccanismi attraverso i quali la conoscenza viene assimilata nel contesto di una classe contribuisce ad evidenziare questo aspetto. Ecco perché, in Italia, l’educazione gioca un ruolo chiave nel rinforzare e perpetuare la corruzione e la perversione di valori fondamentali.

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