La conoscenza come rappresentazione o come coscienza

Il Giornale OnlineIn realtà non esiste affatto una distinzione tra vero e falso. Anche ciò che non può essere riferito all’ordine più profondo delle cose é pur vero ad un livello di essere inferiore ed estrinseco. Vi é perciò realtà ed illusione. Lo stesso materialismo non é “falso”, é solo la riduzione di tutta la realtà ad un regno inferiore del cosmo. Infatti, dal nostro punto di vista, andrebbe chiamato piuttosto “riduzionismo”. La sua radice sta nella semplificazione del reale magnificamente rappresentata nel pregiudizio scientifico del cosiddetto principio di economia delle cause. In realtà per esistere il falso dovrebbe emanare da qualcosa che non esiste.

Vi é una conoscenza come rappresentazione e una come coscienza. La prima é necessariamente effimera ed interna alla manifestazione che causa la stessa rappresentazione, la quale non può penetrare l’essenza che trascende la manifestazione che é una maschera di essa. La concezione della conoscenza come coscienza, reale o illusoria, essenziale o manifestata, non si preoccupa affatto della “rappresentazione” perché questo non é un mezzo o un risultato della conoscenza, in quanto essa fa parte e subisce lo stesso processo accidentale dell'”esistenza” che non é affatto coincidente con l'”essere”, oggetto della vera conoscenza. La rappresentazione é la manifestazione stessa ed é soggettiva perché estrinseca. Coscienza e rappresentazione non sono due diverse dottrine della conoscenza ma coincidono con l’essere e la manifestazione.

Quello della dualità “vero-falso” é un processo mentale che non é intrinseco all’essere perché il pensiero, ovvero la coscienza mentale, non può racchiudere l’essere quale pienamente consiste. Infatti: come può esistere un “essere falso” ? Semmai, sul piano ontologico, vi é l'”apparenza”. E’ chiaro che qui il pensiero deve essere inteso come soggettività immanente, quella illusione che viene additata dall’idealismo nell'”esistenza”. Se noi consideriamo l’ontologia prendendo come “essere” un concetto assoluto e metafisico che trascende la vita come esperienza logica o emotiva, in definitiva, come un essere causale sovrasensibile e sovrarazionale, un concetto metafisico, possiamo in questo modo contrapporla alla conoscenza logica, ovvero propria della coscienza mentale, pur se vale l’avvertenza di non identificare in tutto l’ontologia con la metafisica nella sua pienezza. L’Uno é super-essente ed evidentemente l’essere assoluto, trascendente e metafisico, esclude il non-essere e non può essere la base per una teologia negativa.
Vi é dunque un sapere ontologico-coscienziale e uno logico-imitativo.

Per conoscere l’essenza cosmica dovremo entrare nel suo mondo attraverso l’interiorità, perché é là che si cela l’essenza nostra, l'”essere assoluto”, ma ciò non va inteso come ispirazione diretta personale o libera ricerca individuale perché ciò cadrebbe entro i limiti della persona e non porterebbe a conoscere l’essenza. L’individuo deve essere trasceso e non vi é conoscenza attraverso la libera ricerca o l’esperienza “mistica” (ad es. come afferma Buddha). Essendo decaduto l’uomo deve rivolgersi a chi può trasmettergli l’iniziazione, manifestazione di un influsso superiore, e non può fidarsi dell’opinione ma deve rivolgersi alla Tradizione, trasmissione di un sapere rivelato. Distinguere tra immanentismo e realismo non ha molto senso perché entrambe non superano ciò che sappiamo essere “ahamkara”, ovvero la “causa dell’io sono”, e che che altri definirono principium individuationis. Infatti l’immanentismo, che non distingue come il realismo soggetto e oggetto, non separa però la coscienza dall’individuo e crede ad un soggetto immanente ovvero individuale.

Ma noi sappiamo che vi é essenza e persona, ovvero essere e manifestazione, e che non si può conoscere il primo senza distruggere l’illusione della seconda attraverso l’iniziazione. Nella manifestazione vi é infatti la dualità soggetto-oggetto e non si può superare senza far cadere questi due termini uno sull’altro. L’immanentismo non può essere vero idealismo che identifica invece la coscienza con una mente superindividuale ovvero trascendente e universale. L’individuo non produce alcuna manifestazione perché esso stesso parte di essa e ganglio vitale dell’illusione. Non vi é nulla di soggettivo nella mente trascendente mentre é il mondo ad esserlo integralmente quale illusione. E’importante insistere su questo: molti autori di notissimi testi esoterici dell’ottocento e del novecento sono vittime di un “hegelismo dei poveri”, rubano sfacciatamente da idee che non sono affatto parte di un bagaglio tradizionale.

Hegel era il massimo esponente dell’idealismo romantico del primo ottocento che verteva tutto attorno ad una concezione panteistica della divinità. Seppur non insisteva sulla natura ma piuttosto sullo spirito, egli non vedeva in questo affatto un principio universale e trascendente ma l’individuo umano nella sua falsa universalità di razza umana. Egli affermava che lo spirito assoluto aveva come sua attualizzazione l’umanità stessa e che esso era solo una potenza inespressa senza di essa. In sostanza per esso, pur non deificando la natura come Spinoza, Giordano Bruno e altri, vedeva nell’umanità Dio e nella storia la scena del suo pieno autorivelarsi. La stessa dottrina sarà ripresa da Comte e Mazzini seppur con orizzonti di pensiero diversi. Per chi crede che il mondo é maya anche l’umanità e la storia lo sono. Che si creda ad un panteismo storicistico-“idealistico” o ad un panteismo naturalistico non sposta granché.

Prendete il concetto della divinità dei teosofi. Essi concepiscono esattamente il processo di evoluzione iniziale del mondo a partire dall’Uno nei termini di Hegel: nulla>essere>coscienza>autocoscienza. E’ un processo dialettico per cui avanzando per continue antitesi e confronti tutto si definisce e sviluppa. In Filosofia esoterica dell’India si afferma che: in principio é il nulla da cui sorge l’essere (identificato in Brahma), il quale in antitesi col nulla prende coscienza di essere. Lo stesso vale pressocché per Steiner che concepisce lo stesso evoluzionismo pur con dettagli diversi. In realtà nella dottrina dei misteri antichi non vi é alcuna evoluzione del mondo verso la divinità e la coscienza assoluta. Al contrario la natura (comprensiva di stato materiale e stato animico intermedio o spesso e sottile) é un principio oppressivo, utile solo allo spirito per riaquisire sé stesso e reintegrarsi nel Sé universale di cui é egli é solo una parte.

Svincolandosi dall’oggetto noi non ci svincoliamo dall’oggettività perché oggettivo é l’ideale e non il reale (da res, cosa) che é soggettivo. E’evidente che se la natura é maya, illusione essa é soggettiva e con essa lo é oggetto della conoscenza sensoriale, il mondo esterno e se l’ego é anch’esso illusione lo é perciò anche l’individuo. L’idealismo concepito come soggettività é un naturalismo rovesciato: invece di un polo viene preso come fulcro l’altro. E’importante insistere su questo. Ideale e soggettività sono in antitesi perché l’ideale, e la coscienza assoluta, non coincide con l’individuo. Non vi é un “Dio che diviene” perché non può esservi mutamento nell’Uno, il quale é superessente, che se avesse mutamento sarebbe intratemporale e se fosse una serie di entità diverse sarebbe anche intraspaziale. E’ scambiare, appunto, la natura per la divinità.

Essenzialmente la conoscenza vera é un ritorno ad Essere. Più che l’evoluzione del mondo dobbiamo cercare una rottura dal mondo ed una reintegrazione della pienezza trascendente. Tutto ciò che noi operiamo per superare lo stato attuale é più una liberazione ed una rettificazione che un progresso spirituale. Noi siamo stranieri al mondo e non abbiamo alcun interesse a farlo evolvere. La sua evoluzione é la nostra involuzione. Più lui cresce più noi scemiamo. Per conoscere qualcosa bisogna esserla o diventarla é l’assioma del sapere ermetico. Questo significa che essere e conoscenza non sono separati, che nell’universo esistono solo stati di coscienza e che ogni cosa passa da uno stato all’altro ed ogni principio e fine é solo un cambiamento. Non vi é che Uno e ogni stato limitato é questo Uno essenzialmente. Non possiamo credere al pensiero o alla sensibilità che sono intrinseci al molteplice e obliano l’Uno così come l’oblia quella brama di esistenza che sprofonda tutto nella manifestazione e nell’alienazione dall’Uno.

Lo stesso vale per il progresso dei regimi e delle religioni, dottrina chiaramente plagiata da Hegel (natura-individuo-stato) e che traspone il Cristo in un paradigma ideale di autocoscienza umana (uomo-Dio). Se si paragonano Heindel e Steiner a Hegel vedremo che, analizzando la dottrina delle sfere evolutive simbolizzate dai pianeti, delle religioni da orda seguite da quelle individualistiche e dalla futura religione dell’uomo-Dio, sono identici nella sostanza se non nella simbologia. Noi non possiamo affermare che nella conoscenza vi sia mutamento perché l’Essere é trascendente, immutabile ed assoluto, né é oggetto del pensiero e dei sensi. Può essere raggiunto solo con l’illuminazione la quale é certamente illimitata e immutabile. Noi continuiamo a vivere quaggiù usando noi stessi, la persona, come un mezzo ma siamo Uno con la coscienza di Lassù. Quindi la Verità, di cui la Tradizione é solo un mezzo propedeutico, é metastorica e metafisica. Siamo noi che la perdiamo con la discesa nell’immanenza incosciente (regresso ciclico) la quale é il vero volto del “progresso delle religioni e dei regimi”.

In realtà una religione non é espressione della coscienza ma una rivelazione trascendente. Così, appunto, finisce per essere solo un segno del progresso umano ed essendo tutte tappe di esso sono tutte funzionali ed eguali, ognuna relativa e storica. Questo ha senso per una dottrina sorta dall’opinione di uomini e non da intervento della divinità. Eliphas Levi riprende questa falsa dottrina mentre afferma che la demonizzazione, ad esempio, operata dai cristiani verso gli Dei pagani é solo il superamento di una fase stagnante dell’evoluzione. Si ha qui un concetto assai relativistico della verità. Ann Alice Bailey riprende una vecchia dottrina hegeliana della sintesi dei regimi che saranno unificati in quello iniziatico futuro. Come vi sarebbe in futuro una sintesi delle religioni in quella messianica di “Maitreya Buddha”. Tra l’altro l’età dell’oro, più che un regime di illuminati, nella Tradizione é il regno degli Dei ritornati in forma apparente o avatarica.

Per concludere, vale in primo luogo un distinguo nettissimo dalla filosofia occidentale moderna che troppo spesso viene gabbata per idealismo platonico e orientale. Idealista non é colui che relativizza religioni, regimi e verità ma che concepisce non solo la verità come assoluta ma come coscienza trascendente, transpersonale e universale. Vi sono un monismo materialista (la coscienza é una espressione della materia), un dualismo realista (coesistenza), un monismo idealista (la materia é espressione dello spirito). Ma quest’ultimo non é affatto immanentista e soggettivista. L’idealismo hegeliano traspone in un sistema metafisico temi le tendenze romantiche della esaltazione dell’irrazionale, della soggettività, dell’individuo, del sentimento contro la ragione, del sogno contro la realtà. Queste aspirazioni del romanticismo sono millenni luce lontane da chi nega la ragione per trascenderla e non per degradarsi sotto di essa, da chi cerca l’oggettività assoluta.

Alessandro Bardi autore de “La genesi ritrovata