LA FUTURA CONDIZIONE DI ESISTENZA

Il Giornale OnlineIl fenomeno della Medianità – Il Cerchio Firenze 77

Tra i movimenti spiritici organizzati italiani – che non sono, peraltro, “Chiese” spiritiche nel senso anglosassone del termine – una presenza storica è quella del Cerchio Firenze 77, nato intorno alle comunicazioni del medium Roberto Setti (1930-1984), la cui medianità è durata 37 anni e nove mesi. Il Cerchio Firenze 77 dichiara che “non è un’organizzazione né un organismo, non è un’associazione né un gruppo, non è una setta né una consorteria; esiste solo idealmente, costituita da tutti coloro che intimamente condividono la concezione della Realtà che i Maestri cercano di illustrare. Non esistono sottoscrizioni e soprattutto ufficiali rappresentanti, perché nessuno può considerarsi depositario della concezione che i Maestri illustrano, in quanto ciascuno recepisce soggettivamente e quindi limitatamente”.

Pur essendo cessate, con la morte del medium, le comunicazioni, gruppi di studio spontanei collegati fra loro in maniera informale continuano a esistere – anzi a crescere – in diverse regioni italiane, costituendo un interessante fenomeno di “non movimento” che tuttavia coinvolge centinaia di persone. A Firenze per sette mesi all’anno, da novembre a maggio, si svolgono annualmente incontri mensili in cui si ascoltano registrazioni delle sedute originarie, commentate da testimoni che a esse avevano assistito. Altrove i gruppi studiano i diversi volumi di messaggi pubblicati dal Cerchio. Mensilmente si svolgono anche riunioni di approfondimento e seminari a Ca’ Faggio (Arezzo) e periodicamente incontri, convegni e conferenze in varie parti d’Italia.

Segue la trascrizione di alcune comunicazioni medianiche per mostrare un frammento della dottrina degli esseri _illuminati_ che hanno parlato tramite Roberto Setti.

TU AVRAI CAPITO LA VITA..

“…. tu avrai capito la vita non quando tu farai il tuo dovere in mezzo agli uomini, ma quando lo farai nella solitudine. Non quando, pur raggiunta la notorietà, potrai avere una condotta esemplare agli occhi degli uomini, ma quando l'avrai e nessuno lo saprà, neppure te stesso. Non quando tu farai il bene e ne vedrai gli effetti, ma quando lo farai e non ti interesserà avere gratitudine, nè conoscere l'esito del tuo operato. Non quando tu potrai aiutare efficacemente e disinteressatamente, ma quando aiuterai pur sapendo che il tuo aiuto a nessuno serve, neppure a te stesso.

Non quando tu ti sentirai responsabile di tutto ciò che fanno i tuoi simili, ma quando conserverai intatto il senso della tua responsabilità, pur sapendo d'essere l'unico uomo al mondo. Non quando tu avrai compreso che tutti gli esseri hanno gli stessi tuoi diritti, ma quando tratterai l’essere più umile della terra come se fosse Colui che ha nelle Sue mani le tue sorti. Non quando tu amerai i tuoi simili, ma quando tu stesso sarai i tuoi simili e l'amore..“

LA FAMIGLIA DEL FUTURO

“La funzione della famiglia nella storia dell’uomo è stata quella di creare un legame morale fra individui facendo leva sui vincoli di sangue, quindi una funzione di stretta relazione imperniata su una serie di doveri e di diritti reciprici più che su un vero e proprio affetto. D’altra parte l’affetto non si può imporre, per cui essendo la famiglia una istituzione che costituiva un baluardo contro le avversità della vita, un modo per meglio resisterle, se non vi era l’amore a tenere uniti i familiari doveva esserci qualcosa che si può imporre: il diritto e il dovere.

Quella di raggiungere una unione fra gli individui, una collaborazione simbiotica, e, da ultimo, una comunione amorosa, è la mèta che la natura riserva agli uomini. I primi tentativi, i primi semi di una tale unione la natura li ha realizzati spingendo gli individui a riunirsi in famiglie, in gruppi; paradossalmente, ha rafforzato il legame all’interno di ogni gruppo attraverso il contrasto ed anche le guerre fra le famiglie, i gruppi, i popoli.

Tutto questo non appariva e non appare agli occhi degli uomini, i quali si riuniscono in famiglie per trovare una sistemazione, una regola di vita e si dichiarano guerra per futili motivi. Il fine ultimo a cui mira la natura – che è quello di insegnare agli uomini ad amarsi, sia pure a volte attraverso l’odio – non si mostra evidente. L’uomo lo raggiunge inavvertitamente soggiacendo alle regole di un codice di diritti e di doveri.

Quello che, così detto, può sembrare un tranquillo modo di vivere, all’atto pratico è invece un alternarsi di esperienze faticose e dolci, di lotta e di conquista, di successo e di delusione, di gelosia e di orgoglio: è, in sostanza, gran parte della vita e perciò dell’evolvere dell’uomo. Se non vi fossero stati i vincoli familiari ognuno avrebbe vissuto solo per se stesso e molti avrebbero finito col soccombere. Ora, ciò a cui mira la natura è di sostituire i diritti ed i doveri con l’affetto.[/SIZE]L’UTOPIA REALIZZATA

L’unione di due esseri non sarà più una sistemazione ma un reciproco aiuto dettato da amore sincero. Gli uomini faranno vita in comune senza necessità di sancire l’unione con un rito o con un atto formale: sarà l’affetto che cementerà il patto, e se l’affetto verrà meno e la separazione potrà danneggiare qualcuno, sarà il senso del dovere, il desiderio di non nuocere, a tenere unita la famiglia se famiglia si potrà chiamare.

Coloro che si uniranno per creare un nucleo, lo faranno col massimo senso di responsabilità. Il reciproco rispetto sarà tale che se anche incontrassero altri affetti non verranno mai meno al patto morale che liberamente avranno contratto, se entrambi non desidereranno di farlo. E nel caso in cui saranno stati procreati dei figli, la cura per essi, il loro bene avrà la priorità su ogni altra situazione, su ogni altro affetto.

Sarà chiaro che i figli debbono crescere in un ambiente di pace, di armonia e di affetto, perciò ogni proposito dei genitori che si concretizzasse in una minaccia al bene dei figli sarà accantonato anche a costo del sacrificio personale. Chi si unirà per procreare sarà conscio degli impegni che con una tale intenzione si assumerà; ma non saranno impegni imposti da una rigida legislatura, bensì da un profondo senso del dovere. Sarà una condotta che non sarà tenuta per qualche coercizione esteriore ma per un reale, intimo sentimento. Il non nuocere all’altro, sia esso compagno o figlio, sarà l’attenzione maggiore che ognuno avrà, il proposito più sentito di chi avrà scelto di vivere in compagnia.

Quello che voi chiamate matrimonio, cioè l’unione di due esseri, avverrà solo quando l’unione sarà a coronamento di un amore reale e realizzato; un amore che non conoscerà alcuna condizione né condizionamento, né limite, né ostacolo; un amore che avrà le sue radici in passate esistenze o che sarà preludio a future unioni.

Chi si sentirà invece desideroso di molteplici esperienze sessuali od anche affettive non sarà costretto a giurare duraturo amore per averle: in tutta sincerità farà conoscere le sue intenzioni e allorché sarà accettato lo sarà senza riserve, e chi lo accetterà saprà quale sorte potrà avere una simile compagnia.

E’ certo che le figure del maschio cacciatore e della donna preda-oggetto, e viceversa, non esisteranno più. Un tale tipo di rapporto così squallido non sarà più desiderato e non vi saranno più uomini che si vanteranno delle loro conquiste sessuali, perché ciò non sarà più un merito o qualcosa di gratificante agli occhi altrui, al contrario apparirà ciò che realmente è: il vizio della dissolutezza, qualcosa di cui non vantarsi.

Il tradimento dell’adulterio, oggi così diffuso, che nella stragrande parte dei casi nasce dal desiderio di avere altre esperienze sessuali, cadrà spontaneamente venendo meno, negli uomini, una visione esasperata del sesso quale l’hanno attualmente. Infatti essi non si cercheranno più per dare sfogo al loro istinto sessuale represso; piuttosto sarà l’affetto che si completerà nell’atto sessuale. Non essendo più l’atto sessuale la ragione della ricerca di compagnia, ma essendo invece l’attrazione del vero amore, verrà meno uno dei principali motivi che spingono all’adulterio e l’infedeltà sarà pressoché sconosciuta.

Ciò non vuol dire che ogni individuo amerà solo i suoi familiari; anzi, l’affetto si estrinsecherà molto più liberamente. Vincoli affettivi si creeranno con nuovi incontri e si accenderanno col ritrovarsi di affetti di altre vite.

L’uomo sentirà molto di più la reminiscenza di altre vite e riconoscerà, per uno slancio interiore, chi ha amato in altra precedente condizione. Ciò sarà così diffuso che non desterà meraviglia lo stabilirsi di un rapporto umano così intenso fra tanti che non saranno legati da vincoli di sangue. E come una vera madre può amare contemporaneamente più figli senza nulla togliere all’uno o all’altro, così l’uomo e la donna del futuro potrà bastare, appagandoli pienamente, a più affetti.

La gelosia non sarà conosciuta perché nessuno si sentirà escluso. Ognuno, più che essere amato, desidererà amare. E come il vero padre non è geloso se il figlio ama anche la madre, così nessuno soffrirà se colui che è amato amerà anche altri; anzi, costituiranno anch’essi oggetto d’amore e non di rivalità.

Da una parte vi sarà la consapevolezza che amare non significa possedere, ma semmai donare; dall’altra si avrà la squisita sensibilità di amare tutti, ma di amare di più e di essere più vicino a chi ha più veramente bisogno di amore. Ogni amato istintivamente conoscerà il segreto per annullare la gelosia d’amore, che è quella di dare al geloso la certezza che altri non sono a lui preferiti; ma al tempo stesso farlo essere consapevole e farlo riflettere che nessuno può essere posseduto interamente così come si possiede un oggetto.

IL MONDO DEI FIGLI

I figli costituiranno l’interesse predominante della famiglia, essendo l’unico motivo che avrà spinto i genitori a vivere in comune, contraendo tuttavia un patto morale per cui ogni eventuale difficoltà di relazione fra loro, di comune intesa, passerà in secondo piano rispetto al bene dei figli. Attorno ai figli, quindi, e non alla coppia, graviterà la futura famiglia.

Amare e donarsi così tanto ai figli da liberamente e con convinzione sacrificare i propri desideri di evasione non significherà tuttavia essere dei genitori permissivi; l’educazione sarà massimamente comprensiva dei problemi personali dei ragazzi ma al tempo stesso si saprà che la forza del carattere e la volontà si sviluppano non certo togliendo ogni preoccupazione e dando tutto quello che è desiderato, ma al contrario facendo risolvere a ciascuno i propri problemi, facendogli pagare il prezzo della conquista dell’oggetto desiderato.

Amare significa comprendere, ma comprendere non significa secondare tutti i capricci dell’amato. Amare i figli significa avere a cuore il loro bene, che molte volte non coincide coi loro desideri; perciò significa anche saper dire di no; significa dare loro una certa autonomia ma non abbandonarli a loro stessi; cioè fare come fanno gli animali che sorvegliano i loro cuccioli a distanza, pronti a intervenire quand’essi trovino un pericolo nell’esperienza del divezzamento; significa fatica e rinunciare alla propria vita: e tutto questo non farlo per avere dei figli che siano perle a cui adornarsi.

Molti genitori falliscono nella loro funzione di educatori proprio perché vogliono costruire i loro figli secondo un modello che si sono fatti e che soddisfa la loro ambizione. I figli sono “esseri” e non sono oggetti da ostentare per vantare il proprio valore. Amare i figli significa aiutarli con misura ed intelligenza.

E qua torna giusto citare le parole del maestro Kempis: “Se date ai figli la sicurezza economica significa renderli insensibili al bisogno degli altri; se dar loro facilmente tutto quello che desiderano significa renderli incapaci di godere delle piccole cose o, peggio ancora, di gioire della vita; se togliere loro ogni preoccupazione significa convincerli che tutto è a loro dovuto; se metterli al centro dell’attenzione significa far loro valorizzare se stessi oltre misura, cioè accentuare l’egoismo; allora adoperatevi affinché i vostri figli conoscano e affrontino le difficoltà della vita in prima persona”.

Tutto questo bene lo sapranno i genitori del futuro, e altrettanto bene sapranno i loro figli che ai genitori non si deve solo chiedere, ma anche dare. Genitori saranno non coloro che avranno fornito il materiale genetico per la nascita del corpo fisico ma coloro che avranno allevato una creatura, l’avranno seguita, curata, amata anche se non sarà stata da essi generata. E tutto l’amore che i genitori daranno ai figli, i figli lo ricambieranno.

Quando, adulti non avranno più bisogno del sostegno dei genitori, non dimenticheranno, non abbandoneranno chi li avrà preparati e introdotti nella vita; quando a loro volta saranno genitori che allevano figli, comprenderanno il sacrificio di chi li ha allevati e ricambieranno tutto l’affetto che su di loro fu riversato. Perciò i genitori non saranno considerati un peso quando non avranno più nulla da dire, e non saranno emarginati.

LA “COMUNE IDEALE”

La famiglia non comprenderà solo il compagno ed i figli; comprenderà anche i genitori che, se bisognosi, saranno amati come figli. La famiglia, inoltre, non comprenderà solo persone legate da vincoli di sangue; comprenderà prima di tutto persone unite da vincoli d’amore. Ciascun membro non si industrierà per cercare di prendere di più e dare il meno possibile; al contrario, ognuno desidererà rendersi utile e starà molto attento a non ferire gli altri perché non cercherà la propria gioia, bensì quella altrui.

In un certo senso la famiglia del futuro assomiglierà ad una “comune” ideale, nella quale i membri non avranno bisogno di “possedere” per sentirsi il dovere di avere cura; nella quale ognuno non avrà un ruolo fisso, dei compiti legati indissolubilmente alla sua figura; ma ciascuno potrà essere genitore e figlio, aiutatore ed aiutato; sempre, però, amante. E non vi sarà certo confusione e disorganizzazione, perché l’amore che pervaderà ogni membro, quell’amore che sarà stato la causa dell’unione dei membri in una famiglia, renderà ognuno responsabile di tutti e per tutti; e sarà sempre quell’amore a rendere costruttiva una così meravigliosa unione di esseri.

Quindi, ciò che oggi sembra un valore che va a perdersi, è un valore che sarà ritrovato nell’intimo. Questa, brevemente la famiglia del futuro. Scommetto che ognuno ne vorrebbe essere membro. Se così è, si adoperi per costruirla. E’ facile, sapete: basta avere l’Amore necessario.“ (Francois)

LA FUTURA CONDIZIONE DI ESISTENZA

“ Ci sono dei pensatori che tentano di spiegare la realtà con gli elementi che hanno a disposizione, o meglio con le idee che la loro visione parziale suggerisce. Ne risultano teorie non solo antropomorfiche ma che nemmeno sono l'espressione della possibilità dell'uomo di pensare in termini generali.

Uno di questi esempi è dato dall'affermazione che il destino dell'uomo, quale essere spirituale, lo assoggetta ad un divenire senza fine. L'essere spirituale continuerebbe in eterno un processo di acquisizione.

Tutto questo, poi, non prevederebbe un abbandono della Terra in senso ultra-fisico; cioè la Terra, sì, sarebbe abbandonata, ma l'essere continuerebbe, in altre dimensioni spirituali, una vita di relazione basata sulla percezione, sulla sembianza della realtà. L'essere spirituale sarebbe un uomo divinizzato, idealizzato, e nulla più.

E' chiaro che una simile affermazione deriva dall'incapacità di trascendere la propria condizione umana per accedere anche solo a quella intuizione di cui certi uomini si servono per scrivere dei racconti di fantasia. Pensare che il destino dell'essere spirituale lo releghi in una condizione in fondo antropomorfa, significa non solo non intuire la realtà ma addirittura difettare di immaginazione.

Certo, io non sono qua a raccontarvi cose immaginarie, però se per farvi capire quello che voglio dire devo fare appello alla vostra fantasia, ebbene considerate pure quello che dico una favola, ma comprendete!

La difficoltà maggiore a capire il destino, la futura condizione di esistenza dell'essere spirituale, è data dal non riuscire a immaginare come egli trascorra la sua esistenza, che cosa faccia. Se poi, come noi facciamo, si afferma che l'essere, sperimentata, per manifestarla, una coscienza relativa, si identifica nella coscienza assoluta nella quale è abbattuta ogni separazione, ogni limitazione, ogni successione, e gode della plenitudine assoluta, spesso si sente chiedere: e poi?, proprio quale involontaria dimostrazione della incapacità di superare il modo umano di concepire la realtà. Si può parlare di un « poi» in un simile stato di coscienza? Un «poi» e un « dove « derivano da una condizione di esistenza limitata in senso spaziale e in senso temporale; da una abitudine a percepire la realtà in successione e in separazione.

Ora, invece, per avvicinarsi a capire un simile stato di coscienza, bisogna riuscire a immaginare uno stato di superamento della separatività, cioè una coscienza che abbraccia tutto quanto esiste, perciò un superamento dell'io e del non io e quindi il superamento del modo di percepire basato sulla separatività.

Non solo: tutto ciò, pur dando l'idea di una coscienza che non conosce limiti in senso spaziale, non dà ancora l'idea di un superamento dei limiti in senso temporale, che invece c'è nella coscienza assoluta. Se tutto quanto esiste mutasse nel tempo, una coscienza che abbracciasse tutto quanto esiste solo in senso di estensione, di quantità, sarebbe pur sempre limitata in senso di successione temporale, perciò non sarebbe ancora assoluta. Mentre, per essere tale, la coscienza deve comprendere anche le mutazioni.

Che cosa sono le mutazioni? Realtà diverse. Che cos'è l'io o un essere? La coscienza limitata ad una parte, o, più precisamente, sentire la realtà in termini di parte. Che cos'è un essere rispetto ad un altro? Un modo diverso di sentire la realtà in termini di parte. E che cos'è un io, una coscienza, un essere, nella successione? Ancora un modo diverso di sentire la realtà in termini di parte. Non fa differenza: sono tutte realtà diverse. La definizione della differenza dei sentire di un momento, appartenenti ad esseri diversi, calza, è la stessa, per la differenza di sentire di momenti diversi appartenenti ad uno stesso essere. Si tratta di modi diversi di sentire la realtà in termini di parte.

Allora, che cosa sono gli esseri?

Se il mio sentire di ora è diverso dal vostro di ora allo stesso modo di come è diverso dal mio sentire di un altro momento, che cosa è che mi fa dire « il mio sentire «? Certo il fatto che io l'ho vissuto. E che cosa è che mi fa dire « io l'ho vissuto «? Certo la memoria, ossia la capacità di conservare in sé, per poter evocare, immagini di cose viste, suoni uditi, sentimenti, stati d'animo provati, idee acquisite. Ma altrettanto certo è che il ricordo, per quanto vivo possa essere, è un'ombra, uno spettro; non è la realtà; non è tornare a vivere l'esperienza.

Il ricordo è memoria di un presente che fu. E quel che fu, per avere una esatta collocazione cronologica, deve essere riferito nella memoria a fatti certamente datati; altrimenti non è collocabile, altrimenti è un « non ora « che non si distingue da tutti gli altri « non ora « che la memoria riesce a ricordare. Questo perché la coscienza è sempre al presente.

Una coscienza che sia al tempo passato o futuro è inconcepibile: passato o futuro rispetto a che cosa? Al proprio essere. Ma siccome la coscienza è l'essere, è assurdo per misurare la propria distanza, separazione, disidentificazione, eccentricità, prendere quale punto di riferimento se stessi: il valore sarà sempre zero. Perciò la coscienza è sempre al presente, sicché il proprio essere è sempre solo quello del momento presente. Ogni momento siamo un essere diverso e, infine, quale reale condizione di esistenza, siamo un essere totale.

Sicché il mio sentire che fu, non mi appartiene più di quanto non mi appartenga il sentire di un mio simile. Difatti, se perdessi la memoria, in forza di quale altra facoltà potrei dare la paternità ad un sentire? Certamente nessuna. D'altra parte, la memoria non è determinante nell'esistenza del sentire.

Se si togliesse la facoltà di ricordare, non cesserebbe il sentire: non si avrebbe più cognizione del tempo, si avrebbe cognizione che l'esistenza, la coscienza, è un continuo presente.

Il sentire di ogni istante – o meglio innumerevoli sentire che creano gli istanti – sono completi in se stessi; ciascuno afferma, manifesta una realtà. Sicché quel tenue e lacunoso filo che è la memoria, su cui si intreccia ogni rapporto con gli altri; che ci ricorda chi sono, che cosa ci debbono, cosa possiamo pretendere; che volutamente si smarrisce quando ci torna utile fingere di averlo smarrito; quel filo senza del quale non sappiamo chi siamo; qual è il nostro nome, e su cui fondiamo tutta la nostra vita di uomini, se si spezzasse, pur così determinante, non ci toglierebbe la cosa più importante del nostro esistere che si identifica con l'esistenza stessa: il sentirsi vivi, la coscienza di esistere.

Ma pure, questo sentire di istanti è legato in una catena, non solo per effetto di quel fragile ed evanescente filo che è la memoria; al di là di ciò che possiamo ricordare e del potere condizionante del ricordo, gli innumerevoli sentire con la memoria creano gli istanti si chiamano, si susseguono, si legano in virtù di qualcosa che non può essere apparente e caduco perché è la forza di coesione che crea l'essere, che fa di tante parti un sol tutto. Che cos'è che tiene uniti gli atomi della materia se non una forza che promana dall'atomo stesso?

In modo analogo, la forza che unisce gli atomi di sentire che compongono la coscienza, scaturisce dalla natura stessa del sentire. E dalla natura stessa del sentire dipende l'ordine secondo il quale i sentire sono uniti, e quindi la successione secondo cui si manifestano; o meglio, sembrano manifestarsi in quella successione perché, in quell'ordine, sono concatenati.

Dalla natura stessa del sentire relativo nasce l'ordine secondo cui esso è disposto e quindi secondo cui è disposto tutto quanto esiste: infatti le situazioni del mondo fisico, emotivo e intellettivo sono strettamente unite ad un relativo sentire, tanto che all'apparenza è impossibile dire se siano quelle situazioni ad essere come sono perché discendono da quel sentire, oppure se il sentire è quello che è in conseguenza di come sono le situazioni fisiche, emotive e mentali.

In effetti c'è un legame secondo il quale le coscienze del momento, i sentire, si legano, ed è il legame logico. Paragoniamo il sentire iniziale di coscienza di una incarnazione ad una equazione impostata: i sentire successivi, quelli in senso lato, logicamente legati all'iniziale, sono rappresentati dai vari passaggi che conducono alla soluzione dell'equazione. La soluzione rappresenta la caduta di una limitazione del sentire e l'ampliamento della coscienza.

Lo stesso legame logico esiste fra l'impostazione di una equazione e l'impostazione delle equazioni successive. Ne risulta un sistema di equazioni in cui tante sono le incognite quante le equazioni, perciò un sistema risolvibile. Ossia tutte le limitazioni cadono, tutte le incognite sono conosciute.

Un'altra domanda che frequentemente viene fatta è “che necessità ci sia che ogni essere nasca da Dio e a Dio ritorni, cioè che compia tutta una trafila così complessa e, in fondo, faticosa”. Prima di rispondere non si può fare a meno di dire che se la faticosa trafila è il prezzo per dare all'essere la coscienza assoluta, è molto più quello che si ha di quello che si paga.

Tuttavia una simile domanda è frutto di una errata concezione della realtà perché non tiene conto del fatto che al di là di ciò che appare, nella successione e nella separazione – cioè nell'illusorio divenire – nessuno si stacca da Dio o a Dio ritorna o giunge: tutto è sempre in Lui.

Se mai la domanda giusta è « che funzione hanno gli esseri nell'esistenza divina «, e, più giusta ancora, « qual è la funzione della coscienza del sentire relativo, nella coscienza assoluta «. Rispondo che la coscienza assoluta è una nel senso di unica e unitaria, però non nel senso di avente una sola qualità, anzi in questo senso è molteplice e poliedrica. L'Unità è realizzata con la comunione degli elementi, cioè in uno stato di esistenza in cui, per esempio, la vita che un uomo vive in successione è sentita simultaneamente nel non tempo, ossia in qualcosa che non ha né prima né dopo, né perciò durata, ed è sentita simultaneamente alla vita di tutti gli esseri.

Tutto questo non significa che la coscienza assoluta sia uno stato d'essere frazionario, di confusione, nel quale tutto si accavalli e confonda. Già la coscienza umana – che pure è relativa – è unitaria. Ogni momento del sentire che origina gli esseri, è presente nella coscienza assoluta identicamente a come gli esseri lo sentono.

Non potrebbe essere diversamente da così, dato che il sentire che origina gli esseri è lo stesso sentire contenuto nella coscienza assoluta. Non è uno identico, è lo stesso. Se tale sentire non esistesse nella coscienza assoluta non esisterebbero né gli esseri, né la coscienza assoluta.

Dunque l'esistenza degli esseri appartiene all'esistenza di Dio e la ragione della loro esistenza risiede nella completezza, nell'assolutezza della Realtà divina. Il sentire di coscienza che ciascun essere manifesta è un elemento costituente della coscienza assoluta, dove esiste in un eterno presente, al di là dell'illusorio manifestarsi in successione temporale. Ciascun sentire è un momento, un elemento dell'essere relativo, come ciascun essere è un elemento dell'organico Essere assoluto.

Questa concezione della Realtà esistente, rendendo partecipe della Divinità tutto quanto esiste, spiega come niente e nessuno possa essere considerato reietto, escluso, perduto. Tuttavia, mentre conforta con la certezza che nessuno può perdersi definitivamente – anzi ognuno è destinato fatalmente alla massima gloria dell'esistenza assoluta – può indurre a credere che non abbia alcun valore cercare di mutare gli avvenimenti, migliorare le situazioni e le persone essendo già tutto esistente al di là del tempo e della volontà dell'uomo.

Una simile errata conclusione è evitata tenendo presente che, siccome tutto quanto è percepito da ciascun essere, costituisce uno stimolo alla sua evoluzione, alla costituzione e rivelazione della sua coscienza – ed anche se la percezione è comune a più esseri rappresenta per ciascuno un'esperienza personale – ne risulta che tutto quanto esiste è come se esistesse solo ed esclusivamente per ciascun essere, solo per la costituzione-rivelazione della sua coscienza, come se ciascun essere fosse al centro di uno spettacolo vitale concepito solo per lui ed egli fosse l'unico essere ad esistere. Mentre, in realtà, innumerevoli sono gli esseri, pure essendo ciascuno unico e irripetibile. Perciò ciascun essere – essendo come se fosse l'unico ad esistere – è come se fosse l'unico a partecipare, manifestare, far esistere la coscienza assoluta.

Allo stesso modo siccome la realtà colta da ciascun essere è percepita in successione, in divenire, è come se la realtà fosse tale, cioè stesse ora sviluppandosi, prendendo corpo, mentre in effetti la Realtà esiste già nella sua completezza. Tuttavia non potrebbe esistere se non si manifestasse così come ciascun essere la percepisce e la manifesta. Perciò nel momento in cui il sentire è sentito è come se fosse il momento in cui prende esistenza; da qui l'importanza della propria esistenza e della propria volontà.

Ciononostante, per la vostra mentalità di uomini inseriti in una realtà di apparente divenire, in cui impera il principio di causa ed effetto differito, resta difficile capire che senso abbia, per esempio, aiutare un vostro simile se egli, per la legge karmica, non abbia via di uscita; oppure lottare per far volgere gli eventi in un certo modo quando, nel piano divino, fossero stabiliti in modo diverso.

Una simile incomprensione ha le sue radici in una coscienza della realtà che è già molto se riesce a stimolare l'uomo ad agire con la promessa di un risultato; una concezione della realtà tutta esteriore; mentre in effetti quello che è considerato mondo esterno è importante nella misura in cui si trasfonde in esperienza interiore; sicché il dare o il fare non sono tanto importanti per la riuscita quanto per il proposito, quanto per l'intenzione del soggetto.

Guardiamo più nel dettaglio l'articolazione di tale verità.

Esiste una storia generale dell'umanità che è data dalla cronologia degli eventi umani di carattere politico, sociale, economico, religioso e via dicendo. Tale storia è immutabile, non può essere variata; in essa si intessono le storie individuali, personali degli uomini. Storie particolari, che possono avere – sia pure in misura limitata – varianti.

Non si deve credere che laddove la storia particolare può essere variata – cioè laddove esiste una possibilità effettiva di scelta – tutto sia lasciato nella nebbia dell'indefinito. Tutt'altro: nell'Eterno Presente delle situazioni cosmiche esistono già definite tutte le alternative alla scelta possibile. Se, ad esempio, due sono le possibilità che la scelta offre, due sono i rami della storia tracciati.

Quindi, non indefinizione, ma doppia definizione.

Non si deve neppure credere che la storia generale sia più importante delle particolari; infatti da un certo punto di vista non è che la risultante di quelle, perciò da quel punto di vista sembrerebbe subordinata ad esse.

Ma così non è, tant'è vero che la storia generale è costituita in funzione delle storie particolari, ma non in dipendenza di quelle. Cioè la storia generale è costituita in funzione delle esperienze evolutive dei singoli individui e quindi in funzione delle esperienze che essi debbono compiere; ossia non è l'uomo che segue un destino già tracciato, è l'inverso: il tracciato è quello che è per offrire all'uomo le esperienze che vuole e che deve avere.

Tuttavia, laddove le scelte individuali andrebbero ad influire nella storia generale – cioè la storia generale diventerebbe dipendente dalla particolare -, perché ciò non avvenga il problema è risolto attraverso la « variante «, la doppia definizione degli avvenimenti: l'una è quella che gli altri vedono e che per loro costituisce un passaggio obbligato – la storia generale -; l'altra è quella vissuta personalmente quale frutto di una possibilità di scelta che si discosta da quello che gli altri debbono necessariamente vedere e vivere e che costituisce la libertà del singolo nella necessità della collettività.

In altre parole, allorché la scelta di un singolo si ingerisse nella vita degli altri in modo contrario alla loro necessità evolutiva, la scelta – attraverso ad una variante – sarebbe vissuta da lui solo, proprio per evitare l'interferenza.

Supponiamo che un capo di stato sia posto di fronte al dilemma di porre il suo popolo in guerra o no. Chiaramente la guerra è un evento generale e quindi invariabile, perciò se il capo di stato avesse la libertà personale di sottrarsi alla guerra – cioè la possibilità di non dichiararla per vivere in pace -, a scelta operata lui solo vivrebbe la pace, mentre tutto il suo popolo vivrebbe la guerra. L'esempio, ovviamente, è radicalizzato, portato agli estremi limiti, paradossale; però spero che se anche è irreale, serva a farvi capire la realtà.

Già sento qualcuno di voi concludere: « Se la guerra è un avvenimento predestinato, è inutile pregare o manifestare perché non avvenga «. Ed eccoci tornati al nocciolo del problema.

Secondo voi, che il capo di stato firmi o non firmi la dichiarazione di guerra, è lo stesso? Spero che riusciate a capire che se anche la guerra deve scoppiare, è estremamente importante che il capo di stato scelga la pace: l'atto investe la sua persona, la sua intenzione e quindi la sua comprensione, la sua evoluzione, la sua coscienza – che si tratta di avere o non avere, che c'è o non c'è. Vi pare poco?

Certo, ai fini collettivi la decisione del singolo non può mutare ciò che gli altri debbono avere o non avere, ma al fine individuale quanta importanza ha che si faccia o non si faccia una cosa indipendentemente da quello che sarà il risultato!

Se pensate che sia inutile cercare di aiutare i vostri simili perché comunque voi facciate le cose andranno come è scritto che vadano, vi dico che in ogni caso una cosa importantissima verrà a mancare: quella per la quale tutto esiste e vive, per la quale si succedono i giorni, le vite, le storie: la vostra coscienza, quella coscienza che è la manifestazione di un Dio nell'essere e in forza della quale esistiamo e per mezzo di cui nulla, infine, può rimanerci estraneo, dandoci essa la plenitudine assoluta.

Sicché, pregate o manifestate per la pace; anche se non potete cambiare le cose che non possono essere cambiate, potrete cambiare voi stessi e con voi stessi il mondo, la realtà nella quale vivete. Se anche il vostro operare altruistico non raggiungerà lo scopo prefissato, voi, operando, vi porrete dalla parte giusta. E questo vi pare poco o inutile?“

Fonte: cerchiofirenze77.org, cesnur.org