La nostra essenza in un chip

Il Giornale Online
Una memoria al silicio.
Presto un microchip nel cervello consentirà di fotografare i nostri ricordi, catturare e riprodurre le nostre emozioni, trasmettere il sapere semplicemente scambiandoselo.

Occorrono ancora diversi anni per far sì che dei semplici microchip riescano ad immagazzinare la memoria umana, ma la ricerca sta dimostrando che tutto ciò è possibile. Moltissimi ricercatori affermano, infatti, che tra una trentina di anni potremo disporre di chip nel cervello e non solo per scambiarci la conoscenza l’un l’altro con buona pace della didattica tradizionale.

Numerosi scienziati ci stanno già lavorando a scopi medici o terapeutici. Theodore W. Berger, direttore del centro di Ingegneria Neurale dell’Università della California meridionale, ha realizzato un chip da impiantare nell’ippocampo, una delle aree del cervello responsabili della memoria.

Lo scorso giugno, presso la Brown Medical School nel Rhode Island, l’equipe del professor Gerhard Friehs ha impiantato nella corteccia celebrale di un ragazzo qudriplegico di 25 anni un chip della grandezza di quattro centimetri quadrati. Il microprocessore, prodotto dalla società Cyberkinetics, è stato battezzato BrainGate e grazie ai suoi cento elettrodi ha permesso al giovane di accendere e spegnere la luce e la televisione con il solo movimento della testa e di effettuare il check delle e-mail con gli impulsi emessi dal suo cervello.

Un esperimento simile è stato condotto al National Institutes of Healt dell’Università del Wisconsin-Madison, dove a un uomo e a una donna sono stati innestati degli elettrodi che consentono loro di usare il proprio pensiero come un telecomando per giocare ai videogame e usare il computer.

Tutte le esperienze sensoriali e cognitive sono informazioni che possono stare in un chip. Il problema è come registrarle e come leggerle. Avremo una memoria al silicio? E’ ancora presto per dirlo. Il problema non è solo quello di realizzare un chip ma anche capire dove e come collegare gli elementi biologici del cervello o del sistema nervoso a quelli artificiali del chip. Il dispositivo, infatti, da una parte non deve essere attaccato dal sistema di difesa del nostro organismo e dall’altra deve essere collocato nel punto giusto per intercettare le informazioni necessarie a ricostruire i ricordi.

Attualmente la scienza non è ancora riuscita a decodificare il sistema con cui i neuroni del nostro cervello riescono a ricostruire un’emozione, un suono, un odore, un’immagine e a legarle tra loro in un ricordo partendo da informazioni del mondo esterno che percepiamo tramite i sensi. Ma quale applicazioni può trovare questa esigenza di imprigionare le nostre emozioni e le nostre conoscenze? Non basta più una foto a catturare e a riprodurre ciò che ci fa piangere o ci strappa un sorriso? Non è più sufficiente l’insegnamento per trasmettere il sapere? E non soddisfano più le semplici azioni in vita pel lasciare un buon ricordo ai posteri?

Evidentemente no se già oggi diverse aziende stanno provando ad archiviare i nostri ricordi su supporti digitali. E’ il caso di Gordon Bell con il suo “MyLifeBits”, un progetto, in corso di realizzazione al Microsoft Media Presence Lab di San Francisco, che consente di riversare su pc i nostri ricordi, il lavoro, i viaggi, la musica che ascoltiamo, le conversazioni telefoniche. Il tutto attraverso una scatoletta, la SenseCam, una sorta di fotocamera capace di archiviare immagini quando si accorge, grazie a dei sensori, che alcuni dei nostri bioritmi stanno cambiando rapidamente perché ci troviamo di fronte ad una scena che ci provoca emozioni.

Eloisa (Easy Logic Intelligent Software Automa) è invece un programma di riconoscimento del linguaggio naturale. Si tratta di una ragazza virtuale che, ponendo domande al suo interlocutore, impara tutto di lui al punto da replicarne, seppure in maniera rudimentale, la personalità. Già a partire da 2005 ogni utente potrà avere un clone digitale on line, capace di ereditare le caratteristiche del proprietario per trasmetterle ai discendenti.

Infine, www.minduploading.org, concretizza la sete di immortalità per vie digitali che ha spinto alcuni cibernetici e ricercatori a ipotizzare, e a cercare di realizzare tecnologicamente, persino l’uploading, cioè la possibilità di riversare non solo la propria personalità, ma addirittura la complessità neuronale della mente umana (inclusa la consapevolezza del sé) da un supporto biologico, il cervello, a un supporto digitale, il microchip.

(Pubblicato il 29 dicembre 2004)

Fonte: http://www.rai.it/news/articolonews/0,9217,96638,00.html