La nuova Politica Spaziale Nazionale di Bush

Il Giornale Online
L’amministrazione americana ha approvato il 31 agosto la nuova “Politica Spaziale degli Stati Uniti”, che va a sostituire quella varata da Clinton nel 1996. Il nuovo documento è caratterizzato da una linea più dura, in quanto enuncia la volontà di negare agli avversari l’accesso allo spazio, nel caso questi siano ritenuti avere intenzioni “ostili agli interessi degli Stati Uniti”. Le dieci pagine declassificate del documento, contenenti le linee guida e gli obiettivi della nuova politica, non proclamano l’armamento dello spazio, ma lasciano aperta la porta all’attuazione delle richieste in tal senso formulate nel corso degli ultimi dieci anni dagli strateghi militari, i quali hanno trovato dal 2001 nel Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld il loro principale sostenitore dentro l’amministrazione Bush.

La pubblicazione del documento è avvenuta soltanto il 6 ottobre. Notato inizialmente solo dagli addetti ai lavori, è stato portato all’attenzione mondiale dal Washington Post lo scorso 18 ottobre. Senza la mossa dell’influente quotidiano statunitense, la nuova Politica Spaziale di Bush sarebbe forse rimasta nell’ombra, a dispetto dell’importanza del suo contenuto.

Partendo dalla ricognizione che “la sicurezza nazionale degli Stati Uniti dipende in modo critico dalle capacità spaziali, e questa dipendenza crescerà”, il documento strategico afferma che “gli Stati Uniti preserveranno i propri diritti, capacità e libertà d’azione nello spazio; … e negheranno, se necessario, agli avversari l’uso di capacità spaziali ostili agli interessi nazionali statunitensi”. Quest’ultima frase richiama da vicino il “mantra” ricorrente in numerosi studi strategici che hanno preceduto la formulazione della nuova “policy” spaziale: “negare agli avversari l’accesso allo spazio, se necessario”, per impedire la messa in discussione del primato spaziale su cui si basa il primato tecnologico militare degli Stati Uniti.

Ciò che emerge in modo incontestabile, è il definitivo “arruolamento” dello spazio nella macchina bellica statunitense. E non potrebbe esser altrimenti, dal punto di vista dei generali dell’US Space Command, perché è sul mantenimento dell’attuale supremazia spaziale che gli Stati Uniti possono mantenere l’attuale vantaggio tecnologico-militare e procedere alla “trasformazione” delle proprie risorse belliche e di intelligence secondo le linee guida della “rivoluzione negli affari militari” imbastita da Rumsfeld.

Di più, lo spazio oggi è paragonabile al cielo agli inizi del ‘900, cioè si appresta a divenire inevitabilmente un nuovo “medium” della conduzione della guerra: se dal tempo dello Sputnik lo spazio ha fatto il suo ingresso nella sfera militare e ha giocato un ruolo centrale limitatamente alle attività cosidette di C4IR (Command Control Communication Computer Inteligence Recognition), oggi i militari statunitensi auspicano una vigorosa accelerazione nello sfruttamento delle sue potenzialità belliche, come nuovo “medium” strategico ed esclusivo “attraverso e dal quale” proiettare globalmente la propria forza militare, cioè implementare quella “Full Spectrum Dominance” intesa come capacità di proiezione militare globale di velocità e potenza soverchiante per qualsiasi avversario. Nella nuova “policy” tutto questo è riassunto, in tono minore, in: “La libertà di azione nello spazio è tanto importante per gli Stati Uniti quanto lo è il potere aereo e marittimo”.

Dal passaggio precedente discende il rigetto da parte degli Stati Uniti di qualsiasi nuovo trattato mirato a proibire il dispiegamento di armi nello spazio: “Gli Stati Uniti si opporranno allo sviluppo di nuovi regimi legali o altre restrizioni che cerchino di proibire o limitare l’accesso o l’uso dello spazio da parte degli Stati Uniti”. La difesa dei propri “assets” spaziali, del resto, implica, secondo quanto elaborato in vari studi strategici, la predisposizione di strumenti di controllo e difesa –e la difesa può anche spingersi al limite dell’offesa.

L’amministrazione statunitense ha voluto assicurare che la nuova politica non è un primo passo verso l’armamento (“weaponization”) dello spazio. “Non si tratta di un cambiamento di politica. La nozione della difesa dallo spazio è differente dall’armamento dello spazio”, così ha risposto Tony Snow, portavoce della Casa Bianca, alle domande dei giornalisti. Gli esperti della materia esprimono però riserve e preoccupazione: “Mentre questa politica non dice esplicitamente che abbatteremo satelliti o dispiegheremo armi nello spazio, mi sembra, in realtà, che essa apra la porta a questo sviluppo”, così Theresa Hitchens, direttrice del Center for Defense Information di Washington, ha dichiarato alla France Presse.

Allo stato attuale delle cose è possibile che l’amministrazione Bush non sia disponibile ad assecondare le richieste di quanti chiedono l’effettivo armamento dello spazio. Questa ipotesi è, comunque, tutt’altro che campata in aria, dato che tutta una serie di documenti militari esprimono chiaramente l’interesse per la sua attuazione, e già si muovono i primi passi in questa direzione. Gli Stati Uniti, poi, hanno respinto l’idea di negarsi a priori la possibilità di dispiegare armamenti nello spazio Negli anni scorsi, varie nazioni, tra le quali la Cina, hanno chiesto nell’ambito delle Nazioni Unite l’apertura di negoziati finalizzati alla produzione di un trattato per il bando delle armi nello spazio, al fine di rafforzare quell’Outer Space Treaty del 1967 (proibisce il dispiegamento nello spazio di armi nucleari e altre armi di distruzione di massa) che dopo la denuncia da parte di Washington dell’Anti-Ballistic Missiles Treaty sta dando anch’esso preoccupanti segnali di crisi. Ma Washington si è regolarmente astenuta nelle votazioni all’ONU su tale questione, e, infine, ha esplicitamente votato contro una risoluzione che chiedeva il bando delle armi nello spazio.

Per il momento, si può notare che la nuova politica spaziale di Bush segna un significativo scostamento da quella di dieci anni fa, ed equivale alla trasposizione nello spazio della National Security Strategy del settembre 2002. Come in terra e così nei cieli, il messaggio rivolto ai “peer competitors” è il medesimo: gli Stati Uniti non sono disposti a permettere l’affermazione di nuove Potenze antagoniste e ad assistere passivamente all’erosione del loro status di solitaria Superpotenza militare. Sempre secondo la Hitchens: “Questa è una visione molto più unilateralista dello spazio. Gli Stati Uniti in questa politica cercano di asserire i propri diritti, ma così non riconoscono i diritti degli altri Paesi nello spazio, mentre la politica di Clinton era molto attenta nel riconoscere i diritti di tutte le nazioni nello spazio”.

Nello spazio come sulla terra, gli Stati Uniti hanno ribadito la sfida ai loro avversari. A questi lasciano la libertà di raccoglierla (mettendo in conto la ripresa di nuove corse all’armamento) e di assumersi i costi e i rischi di questa scelta. Ma potrebbero proprio essere gli Stati Uniti a pagare il maggior prezzo della loro strategia, perché gli “assets” spaziali sono vulnerabili, e la corsa in avanti degli Stati Uniti potrebbe inciampare nella strategia di sabotaggio allo studio da parte cinese. In cima alla lista delle preoccupazioni degli strateghi americani, la Cina ha dimostrato di avere già le capacità per accecare con potenti laser terrestri i satelliti americani che sorvolano il suo territorio.

Prima di divenire Segretario alla Difesa, Rumsfeld mise in guardia contro una “Space Pearl Harbor” e insistette perché fossero prese nuove misure per meglio proteggere gli interessi americani. Ora che quest’ultime sono divenute politica ufficiale, è auspicabile che non siano proprio esse la causa dell’escalation della tensione e la scintilla di gravi crisi in un “medium” finora, almeno sulla carta, riservato a usi pacifici.

di Gabriele Garibaldi,
Tratto da: “Scienza e Pace”, 1° Novembre 2006

Fonte: guerranellospazio.googlepages.com

Documento ufficiale: http://www.ostp.gov/html/US%20National%20Space%20Policy.pdf