La paura rallenta il tempo

Il Giornale Online
Chi è stato vittima di un incidente sa che nei momenti di forte stress, di paura o, più in generale, quando sentiamo di essere in pericolo la percezione del tempo sembra rallentare (sensazione che si prova persino nei sogni, ad esempio, quando si vorrebbe correre e le gambe stentano a muoversi, come inchiodate a terra).

Ripensando anche a situazioni giudicate banali (ma solo dopo la loro conclusione), come un testa-coda senza conseguenze su di una strada ghiacciata, ricordiamo azioni rallentate, come se il fattaccio avvenuto in un battibaleno fosse in realtà durato un'eternità.

Qual è la causa di questo rallentamento della percezione? È realmente la nostra percezione del tempo a giocarci questo strano scherzo oppure è il ricordo dell'evento a imprimersi nella nostra memoria al rallentatore? Se lo sono chiesti i ricercatori del Baylor College of Medicine di Houston (Texas, Usa) che hanno sottoposto alcuni volontari a una serie di test: tra questi, l'improvvisa apparizione di un gigantesco ragno: una vedova nera accanto alla tazza del caffè, a colazione, e una improvvisa caduta libera da un'altezza di una trentina di metri. Situazione, quest'ultima, in cui i volontari, dovevano poi cercare di riprodurre, cronometro alla mano, la durata del loro volo e quello degli altri. E la stima della durata della propria caduta era mediamente maggiore del 36% rispetto a quella realmente vissuta. Secondo i ricercatori ciò dimostra che effettivamente vivere dall'interno una forte emozione ci porta a percepire il tempo in modo più dilatato.

Lo scopo della ricerca era quello di capire se l'alterazione della percezione avviene già durante l'evento o se invece è una stima errata prodotta quando lo richiamiamo alla memoria. Per capirlo gli studiosi hanno messo al polso di ogni soggetto uno speciale apparecchio chiamato “cronometro della percezione”: si tratta di un semplice display che mostra numeri in velocissima sequenza, leggibili solo in un ipotetico caso di percezione rallentata. Preparati a guardarlo in caduta libera, i soggetti non sono comunque stati in grado di identificare i numeri. Una chiara dimostrazione, secondo i ricercatori, del fatto che durante gli eventi stressanti, contrariamente a quanto pensiamo, non viviamo in “slow motion” (al rallentatore).

I risultati dei test hanno quindi spostato l'attenzione dei ricercatori sulla memoria: «La capacità di stimare il trascorrere del tempo e la memoria», afferma David Eagleman, coordinatore della ricerca, «sono strettamente correlate». Nel cervello, durante un evento stressante, l'amigdala (area del cervello anatomicamente assegnata al lobo temporale, al di sotto dei lobi frontali) aumenta la propria attività producendo un secondo gruppo di ricordi che si aggiunge a quelli normalmente depositati da altre aree del cervello. In questo modo agli eventi più stressanti sono associati ricordi più complessi e “densi” che contribuiscono ad una percezione più articolata del tempo, che così ci sembra durare di più. Secondo i neurologi è lo stesso motivo per cui eventi accaduti durante l'infanzia sembrano durare più a lungo di quanto non sia realmente successo: da bambini infatti raccogliamo più ricordi perché tutto ci appare nuovo, mentre invecchiando tendiamo a memorizzare meno particolari, e a percepire quindi il tempo come più veloce.

Fonte: www.gentechescrive.com