La respirazione – Dalla fisiologia al pranayama

La respirazione – Dalla fisiologia al pranayama

pranayama e respirazione consapevoleL’importanza del respiro

Abbiamo pensato che inserire un argomento come quello sulla “Respirazione” fosse una cosa molto importante per diversi motivi. Quello che vogliamo affrontare in queste pagine sono argomenti strettamente legati all’importanza del controllo mentale sulle emozioni.

Non stiamo dicendo che le emozioni non siano importanti nella nostra vita, tutt’altro, stiamo affermando che le emozioni, proprio perché importanti nello sviluppo psicofisico delle persone vanno gestite e controllate poiché le emozioni sono legate prevalentemente al nostro cervello istintivo e l’istintività, come è noto, se non gestita correttamente può dare sfogo a situazioni e ad azioni dannose per se stessi e per gli altri.

D’altronde non a caso le emozioni metaforicamente sono rappresentate dal “Mare” il quale può essere calmo ma, fattori diversi come ad esempio il vento, possono dopo un po’ farlo diventare tumultuoso e violento, inghiottendo tutto e tutti. Il Mare delle nostre emozioni va mantenuto calmo. Solo un mare calmo ci può permettere di fare rotta verso un porto sicuro come il successo. Il mare increspato e in tempesta è una tragedia che porta con se sempre delle vittime. Nessun marinaio prende il mare quando questo è in tempesta!

Tutta la nostra vita è legata al respiro, la nostra nascita avviene con un respiro che ci permette di fare la nostra entrata nel mondo, allo stesso modo la nostra dipartita avviene esalando l’ultimo respiro. Il contatto con il nostro mondo è tutto un respiro. Ma proprio perché il tutto è dettato dal respiro abbiamo sentito l’esigenza di approfondire la questione per dare un maggiore spunto di riflessione ai nostri lettori.

Dal nostro modo di respirare dipende la qualità della nostra vita. Un respiro lungo e lento denota stabilità, introspezione, salute fisica, controllo mentale. Un respiro corto e veloce denota insicurezza, ansietà, scarso controllo mentale e anche molta istintività oltre che naturalmente una salute instabile.

Detto questo appare evidente che la nostra salute, il nostro stile di vita, la nostra capacità di vivere bene la vita sono strettamente legate all’attività meccanica del nostro respiro. La respirazione è un fatto meccanico per preservare la vita stessa. Questo automatismo può però essere interrotto volutamente quando inseriamo la nostra volontà di modificare il respiro stesso. Perché è importante modificare il respiro automatico e/o meccanico?

La risposta è semplice. Il nostro respiro è strettamente legato alle nostre emozioni. Una emozione forte come la paura, lo stress, l’ansia rendono il nostro respiro instabile e troppo veloce. Un respiro troppo veloce non permette una corretta ossigenazione del cervello, le emozioni in questo caso la fanno da padrone e dunque il lato istintivo dell’essere avrà il sopravvento su tutto il funzionamento della macchina umana. Per contro quando si interviene sul controllo del respiro si avverte quasi subito un miglior rapporto con l’ambiente esterno. Per ambiente esterno intendiamo i nostri rapporti personali con la collettività e quindi con gli altri.

Come dicevamo, un respiro lento e profondo evidenzia, calma interiore, saggezza, introspezione, controllo emotivo e mentale. Tutte capacità che si possono acquisire intervenendo sul controllo della respirazione. Nelle scuole di pensiero non a caso viene insegnata la meditazione. La meditazione ha un effetto calmante sulla mente. La meditazione, inoltre, è la possibilità di lavorare su se stessi partendo dalla respirazione.

E’ proprio grazie alla respirazione che si riesce a rallentare il flusso dei pensieri e quindi a non pensare. Il non pensare poi è un’arte che produce dei benefici straordinari. Il non pensare permette di collegare se stessi al proprio “Se”. Lavorare sul proprio subconscio permette di creare condizioni straordinarie per una migliore qualità della vita stessa.

“Il respiro è un ponte verso la meditazione. Se riesci a intervenire sul respiro, all’improvviso ti ritroverai nel presente. Se riesci a intervenire sul respiro, conseguirai la fonte della vita. Se riesci a intervenire sul respiro, puoi trascendere il tempo e lo spazio. Se riesci a intervenire sul respiro, sarai nel mondo e al tempo stesso lo trascenderai.”
( Osho Rajneesh – Il Libro dei Segreti )

La meditazione svolge più cose contemporaneamente. In queste pagine parleremo del respiro come capacità di avere un controllo totale su se stessi. Le pagine che seguono vi permetteranno di approfondire la conoscenza sull’argomento.


Importanza del Respiro nella ricerca della consapevolezza

“Il respiro della vita è la consapevolezza della vita.” Upanishads

I misteri Orfici si rivolgono all’anima in questo modo: “Tu che vorresti respirare una volta ancora l’aria del paradiso, salve!”

Come Gurdjieff (maestro di quarta via) descrive l’aria che si respira quale uno dei tre tipi di nutrimento, insieme alla luce e al cibo. Senza questi nutrimenti l’organismo umano cessa di funzionare, sebbene il livello di necessità per ogni cibo vari. Si può vivere senza luce, letteralmente come si fa di notte, o psicologicamente, come quando si è in immaginazione. Si può digiunare sia dal cibo fisico che da esperienze che nutrono la mente e il cuore. Ma si deve respirare; un ciclo di tre secondi che ha poche variazioni. Questo anonimo, sottile ritmo della propria vita è così costante che non può essere casuale. ‘Il tempo è respiro’ Gurdjieff disse ai suoi studenti, senza aggiungere altro. Ma con questo Gurdjieff si riferiva non al
passare del tempo, ma al suo significato, come misura di consapevolezza. ‘Il tuo respiro è un orologio sacro’ dice Hafiz ‘perché non usarlo per dare cadenza alla tue preghiere?

Poiché il ciclo del respiro è meccanico e ‘ogni respiro porta un nuovo pensiero’ come osserva Rodney Collin, ci si rende conto che questo ciclo ripetitivo è di vantaggio per i propri sforzi. Un ‘io’ diventa lo stimolo per la consapevolezza piuttosto che per l’identificazione. ‘Il momento in cui un pensiero arriva nella tua mente’ dice un maestro Zen, ‘risvegliati subito’. Si è così scoperto uno scopo pratico per il proprio lavoro interiore, un focus per quello che si vuole ottenere. Il risveglio non avviene in un posto astratto, non fisico, ma letteralmente dentro se stessi.

Con questo scopo, si prende un respiro allo stesso tempo in cui si fa lo sforzo di essere presenti. Quando gli ‘io’ arrivano, con gentilezza non gli si permette di interrompere la presenza. La consapevolezza cresce e gli ‘io’ recedono. A volte si entra in un silenzio interiore perfetto. Dopo qualche istante il respiro diventa più energico, come se si respirasse per la prima volta. Si è svegli, purificati dal pensiero. In questo modo, il respiro diventa un ritmo per gli sforzi di risvegliarsi. Invece del passaggio meccanico del respiro, il respiro diventa uno strumento che marca la cadenza, il ritmo della presenza.

In merito all’argomento è stato detto:

  • Fino a quando gli uomini possono respirare, o gli occhi possono vedere, fino ad allora questo vive e questo ti dà vita. Shakespeare
  • Con ogni respiro, il corpo molecolare muore ed è rinato. Rodney Collin
  • Nella tua ricerca del respiro immortale, regola il tuo respiro ordinario per trovare la sua sorgente. Maestro Taoista
  • Sii presente ad ogni respiro. Non lasciare che la tua attenzione vaghi per la durata di un solo respiro. Ricorda te stesso sempre ed in ogni luogo. Gujduvani
  • Quando il respiro vaga, la mente vacilla. Patanjali

Fisiologia del Respiro

Il Diaframma

Se pensiamo al respiro, l’immagine che si presenta è quella dei polmoni: tutti sappiamo che è all’interno dei polmoni che avvengono gli scambi gassosi necessari alla nostra esistenza. È tuttavia interessante ricordare che i polmoni sono passivi durante la respirazione, e che questa avviene a seguito di movimenti muscolari.fisiologia del respiro

I muscoli che sostengono la respirazione sono:il diaframma, che forma una sorta di cupola che separa il torace dall’addome; gli intercostali;i muscoli toracici (stemocleidomastoideo, pettorali, grande dentato);gli addominali. Il principale motore della respirazione è dunque il diaframma.

Questo importantissimo protagonista della nostra vitalità e del nostro benessere è collocato, come abbiamo visto, fra torace e addome. Ha le sue inserzioni cioè su sterno, coste e vertebre lombari. Il suo movimento può essere visualizzato come quello di uno stantuffo: il diaframma infatti si abbassa durante l’inspirazione e si solleva durante l’espirazione. La capacità di escursione del diaframma è di circa 7-8 cm. Durante la respirazione a riposo, il suo movimento è di circa 1,5 cm, il che significa un’immissione di aria di circa 0,5 litri. Nella respirazione profonda, quando cioè il diaframma si muove in tutta la sua capacità, la quantità di aria “movimentata” arriva a circa 2,8 litri. Il diaframma, da solo, assicura il
movimento respiratorio fondamentale; nella respirazione di piccola ampiezza, è coadiuvato dai muscoli intercostali, mentre nella respirazione di grande ampiezza, la sua azione è supportata dai muscoli toracici nell’inspirazione e dagli addominali nell’espirazione. Dunque, il diaframma funziona come una pompa per sostenere le nostre funzioni vitali: è in genere sottostimato il fatto che il diaframma non ha solo funzione di principale muscolo respiratorio, ma gioca un ruolo importantissimo nella circolazione e nella digestione. Durante le ventiquattrore, il diaframma movimenta una quantità di sangue quattro volte superiore a quella del cuore.

In particolare, il suo movimento provvede alla rimozione delle stasi circolatorie delle cavità addominale e del piccolo bacino (pelvi), ove sono contenute grandi quantità di sangue, e negli arti inferiori.

Di fatto, molte persone lamentano una “cattiva circolazione” nelle gambe o
una digestione alquanto lenta, senza peraltro presentare alcun difetto né a
carico del cuore né a carico dell’apparato digerente. Ebbene, questi problemi circolatori e digestivi possono sovente essere dovuti a una scarsa mobilità diaframmatica. È legittimo a questo punto chiedersi come mai la respirazione, visto che è una funzione naturale, e che avviene indipendentemente dalla nostra volontà, non si svolga nella maniera migliore “naturalmente”, ma sia invece nella maggior parte di noi alquanto carente.

È un dato di fatto che noi non adoperiamo nemmeno un sesto della nostra capacità respiratoria: è un po’ come se la nostra auto funzionasse a due cilindri anziché a quattro: ci stupiremmo delle sue ridotte prestazioni? No di certo; eppure, pretendiamo che il nostro insieme psicofisico sia sempre al meglio delle sue possibilità, quando le nostre cellule sono ossigenate appena il minimo indispensabile. Dunque, come avviene che dalla respirazione ampia, piena, libera del neonato, si arrivi poi a una condizione respiratoria così ristretta, che è considerata dagli yogi come uno stato paragonabile a quello di malattia?

Vediamo i movimenti respiratori.

fasi della respirazione
Fasi della inspirazione ed espirazione

L’inspirazione

Abbiamo visto che i polmoni sono contenitori passivi. Ciascun polmone è avvolto dalle pleure, che sono due membrane, di cui quella interna è a contatto col tessuto polmonare e quella esterna con la gabbia toracica. Senza entrare in troppi particolari anatomici, diciamo che ogni movimento della gabbia toracica provoca un movimento dei polmoni. Durante l’inspirazione, il diaframma si abbassa; i muscoli intercostali allargano le coste e queste ruotano ancora un po’ verso l’esterno: tutto questo aumenta il volume della gabbia toracica, creando così un vuoto al suo interno (pressione negativa), che provoca l’aspirazione dell’aria.

  • L’inspirazione è dunque un movimento attivo.

L’espirazione

È dovuta, nel corso della respirazione normale, cioè non volontaria, all’azione del tessuto polmonare che, essendo elastico, ha la tendenza a ritornare allo stato originario dopo la sua estensione, avvenuta durante l’inspirazione. A questo si aggiunge il movimento di ritorno, cioè di abbassamento del torace, dovuto semplicemente alla forza di gravità che fa ricadere la gabbia toracica per effetto del suo stesso peso.

  • L’espirazione è quindi un movimento passivo.

Tuttavia, nell’espirazione profonda, entrano in gioco i muscoli addominali, che si contraggono per consentire al diaframma di risalire il più in alto possibile.

  • L’espirazione profonda è invece un movimento attivo.

Da quanto esposto, risulta evidente che la respirazione avviene grazie a movimenti muscolari, primo tra tutti quello del diaframma.

Le cause di una respirazione ridotta, ovvero contratta possono essere le seguenti. Dal momento della nascita in poi, il nostro essere subisce costantemente delle modificazioni. Il neonato sgambettante inizia a fare i conti con la realtà esterna: egli non è più un tutt’uno con l’organismo della madre che gli forniva costantemente tutto ciò di cui aveva bisogno. Adesso capita che le sue esigenze non vengano immediatamente soddisfatte, ma che ci siano anzi dei tempi d’attesa. In questi momenti il neonato fa la conoscenza con due emozioni che non lo abbandoneranno mai più per tutta la vita: l’incertezza (insicurezza) e la paura.

Così, in maggiore o minore misura, a seconda delle nostre personali esperienze infantili, ogni volta che siamo frustrati per qualcosa, sperimentiamo nuovamente quelle antiche paure, che nel corpo si esprimono con contrazioni muscolari “di difesa”.

Queste contrazioni, che diventano croniche, interessano i muscoli del tronco, quindi proprio quelli della funzione respiratoria: col passare degli anni, le spalle sono sempre più contratte, il dorso si irrigidisce e la colonna vertebrale perde gran parte della sua mobilità, il diaframma “si fissa” nella sua escursione minima.


I Diversi modi di respirare

Tutte le tecniche di respirazione sono atte ad attivare i Chakra. Vediamone alcune.

yoga e pranayama

  1. Sdraiato su un tappeto, braccia lungo i fianchi, gambe leggermente divaricate, occhi chiusi. Presta osservazione al tuo respiro; ascolti il tuo respiro entrare ed uscire. Assisti al ventre che si solleva e si abbassa in inspirazione ed espirazione.
  2. Il tuo respiro diventa sempre più lento e profondo. Dopo aver inspirato, espiri e lasci che l’aria lentamente esca completamente dai tuoi polmoni; lasci che l’espirazione sia molto prolungata. Ora, ferma il tuo respiro per qualche istante, fino a quando senti l’impulso ad inspirare.
  3. Il tuo respiro è ampio e profondo; provi una sensazione di sollievo e benessere totale. A questo punto lasci che la tua espirazione diventi un suono che si fa sempre più intenso e prolungato fino a diventare un OM che nasce dal tuo essere e si espande, per poi ritornare ad abbassarsi, e tu, ora, rimani nel silenzio.
  4. Ora modifica il tuo modo di respirare. Inspira e poi espira subito, senza pausa (respiro circolare) . Nello stesso momento della espirazione passa direttamente all’inspirazione, senza pausa. Il movimento è fluido, incessante. Lasci scorrere ogni sensazione, ogni emozione; osserva te stesso senza intervenire, solo ascoltando l’andare e venire del respiro.
  5. Impara a respirare a narici alterne (pranayama). Chiudi la narice destra con la mano ed inspiri con la narice sinistra. Ora chiudi la narice sinistra, ed espira profondamente con la narice destra. Ora cambia inspirando con la narice destra ed espirando con la narice sinistra.

Ormai abbiamo compreso come respirare in modo giusto e regolare. Proviamo, ora, sempre restando supini, a portare l’attenzione al primo Chakra.

Dirigiamo il nostro respiro in quella zona del nostro corpo e rimaniamo immobili ad osservare. In questo momento avviene la fase del contatto; rimani immobile, sempre lasciando il respiro in quella direzione. Sentirai una sensazione di calore, una pulsazione, un movimento energetico. Il primo Chakra si sta attivando.

Senti un forte flusso di energia che ti pervade; lascia che questa energia si diriga dove essa è necessaria. Rimani immobile ad assistere alle trasformazione che avviene in te stesso. Ripeti, ora, questo esercizio per ogni Chakra. Il flusso di energia proveniente dal primo Chakra attivato si trasforma e diventa un suono. Il suono si trasforma, portando con sé il flusso di energia positiva e questa nuova e potente energia, partendo dal primo Chakra, poco per volta, sale lungo la colonna vertebrale e pervade il tuo corpo. Rimani immobile, calmo e tranquillo, ascoltando cosa si è modificato nel tuo essere.


Introduzione al Pranayama

Respirare è dura

Perché mai una funzione primaria come il respiro crei tanti problemi è difficile da spiegare e arduo da comprendere in modo profondo. È addirittura incomprensibile come mai ad essa non vengano dedicati studi, ricerche e attenzione da parte di chi dovrebbe. È certo più lucroso popolare il mondo di malattie e malati che non prevenire con una corretta educazione respiratoria, quanto mai opportuna visto l’aumento esponenziale di allergie, asma e depressione. Beninteso, educando la respirazione, che rappresenta l’asse dell’intera struttura funzionale dell’uomo, è possibile intervenire in ogni patologia, modificare dall’interno assetti e attitudini tanto intime e irraggiungibili altrimenti.

Respirare è una lunga salita ininterrotta che comincia il primo giorno e si conclude il più tardi possibile. Suscita imbarazzo il respiro, molto più del sesso. Quando Enrico Caruso, a fatica, riesce ad estrarre significati segreti incastonati nella sua grande arte e con il cuore li porge e afferma “chi sa respirare sa cantare” l’unico disposto ad ascoltarlo, purtroppo, si occupa di
orecchie e non di respiro!

Il 20 agosto del 1980 Reinhold Messner, un altro primo della classe nell’arte del respiro, compie un’impresa titanica, senza precedenti: si arrampica da solo sul tetto del mondo in ‘stile alpino’, vale a dire senza portatori e senza bombole di ossigeno. Dunque respirando il nulla, i suoi sogni e qualche esule molecola di ossigeno, ma la cosa incredibilmente finisce lì. Ma non finisce il generoso Messner che dopo 3500 scalate, 100 spedizioni, alla rispettabile età di quasi sessant’anni per chiudere degnamente la sua carriera, attraversa il deserto asiatico del Gobi.

Impiega otto mesi per percorrere 2000 km, realizza il suo viaggio in solitaria, trasportando uno zaino di oltre 40 kg con una riserva d’acqua di 25 litri (!). Nessuno si fa delle domande, nessuno si interroga: come funziona quell’uomo eccezionale? Cosa ha cercato di dirci con le sue imprese?

Quelli del Nobel si girano dall’altra parte, agguantano lo specifico vessillo delle premiate competenze o il manuale politico degli opportunismi sagaci e continuano sopravvalutando qua e là; il mondo, invece, dopo qualche sbrigativa pacca sulla nobile spalla, continua anche lui il suo, pigro, vanitoso moto di rivoluzione intorno al sole abbronzandosi fra consuete nefandezze e miserie quotidiane. Reinhold Messner, uno dei più grandi yogi di tutti i tempi, è costretto a sostenere la sua economia e i musei della sua passione con l’acqua minerale e meno male che c’è!

Che l’aria potesse prima o poi rappresentare un problema un po’ tutti ce l’aspettavamo: è irrespirabile, piena della qualunque, gas, polveri, rumore, dolore, paranoia. E non è che l’inizio. Manca anche il tempo di respirare e per ultimo ti passa pure la voglia. Seppure queste considerazioni sulla pagina riferiscano il senso dell’attuale disagio esistenziale, esse rischiano di distrarre da quello che è un problema tutt’altro che recente e soltanto in parte legato all’aria.

Già, perché anche quando l’aria era sana come un pesce l’uomo non riusciva a respirarsela in santa pace. A dirlo non sono io, lo testimonia la realtà storica, lo studio monumentale del respiro compiuto dai santi maestri dello Yoga. Siamo nell’ l’India degli elefanti, antica, mitica, per intenderci la bisavola dell’India il cui grembo generò il nobile Siddartha che si fece Buddha.

In quell’India lì l’aria, quella atmosferica, era, ripeto quanto di meglio noi atrofici, pallidi metropolitani potremmo mai sognare di sognarci. Eppure l’uomo anche in quel paradiso biologico aveva già un serio problema con l’aria e più in generale con il prana. Se i trattati sul respiro vengono scritti nella “n” della notte dei tempi e testimoniano una conoscenza così raffinata, acuta nonché un’esperienza concreta del problema vuol dire che il problema esisteva già da tempo, quanto meno dal giorno prima della notte, se non addirittura dalla notte precedente ancora.

Scendiamo sempre più nell’abisso. Malattie respiratorie. Lo scatto non mi coglie impreparato: già i cinesi avevano capito che il polmone era un organo fragile perché, a differenza degli altri, esso è in continuo contatto diretto con l’esterno che anche allora, comunque non te la regalava. Virus e batteri se la spassavano anche loro nell’eden post–atlantideo. Lavoro usurante da sempre quello del polmone e dei suoi annessi, diremmo oggi. Privi della grazia, degli antibiotici e di un sindacato che li tutelasse quelle brave persone degli yogi cercarono pazientemente una soluzione integrata al problema perché, per quanti difetti avessero non ce la facevano proprio a non pensare che sotto c’era dell’altro. Già, perché non riuscivano a spiegarsi il perché qualcuno si ammalava e un altro no.

Applicare la legge del Karma per comprendere le cose della vita è affare delicato quasi quanto cucinare il pesce. Se non si sta attenti si finisce per stiracchiare spiegazioni saccenti e incomprensibili. Si pettinano le bambole e quella brava gente lo sapeva bene. Gli yogi erano, infatti, gente pratica, piena di buona volontà e voglia di vivere, gente che non ci stava proprio a farsi ammazzare malamente dal primo raffreddore anche se era il Karma che glielo mandava: si rimboccò le maniche e, fra l’altro, fu anche pranayama. Santi maestri!

Non è qui il caso di tracciare la storia del respiro e del pranayama e di come su questo studio si sia intessuto il pensiero, la spiritualità, la storia di quei popoli.

Mi piace però ricordare che tale studio ha condotto l’uomo che lo ha applicato a percepire in modo istintuale e diretto il suo rapporto con la sua natura divina. In questa esperienza può forse aver conosciuto beatitudine o dannazione o le due cose insieme, incontrato Shiva o qualche altro dio, ma soprattutto ha imparato a conoscere sé stesso e a fare a meno della parola, che dio la benedica! Tutto questo ci conduce nelle braccia di un silenzio drammatico e abissale ma questa è un’altra storia…


La respirazione yogica completa e il pranayama

«Con la respirazione yogica il corpo diventa forte e sano; il grasso superfluo scompare, il viso si fa luminoso, gli occhi scintillano, un fascino particolare emana da tutta la persona. La digestione si svolge con facilità. Il corpo si purifica interamente e la mente diviene calma, obbediente. La pratica costante apporta felicità e pace
Swami Sivananda

Questa scienza, che ha sfidato i secoli, è come una goccia di verità nell’oceano inquinato che è la vita moderna. Ora viviamo in una civiltà che ci impone modi di vita innaturali: non sappiamo più respirare; mangiamo troppo ed in malo modo; ignoriamo l’arte del rilassamento psico-fisico, presi come siamo dal ritmo stressante della vita che conduciamo.

La pratica dello yoga consente di ottenere benefici sul piano fisico, mentale e spirituale, ma soprattutto costituisce una via di ricerca dell’Uomo Interiore.

Una delle pratiche più importanti e spesso sottovalutate è la respirazione.

La respirazione yogica completa

La respirazione completa consiste in tre fasi successive legate da un unico e armonico atto e costituisce la respirazione ideale:

  1. respirazione addominale o diaframmatica;
  2. respirazione toracica o media;
  3. respirazione clavicolare o alta.

La tecnica

Per eseguire la respirazione completa, questa deve essere calma e profonda e non deve essere praticata a scatti o forzatamente. Respirare secondo i dettami della scienza yoga deve diventare una gradita abitudine.

Cominciamo dall’espirazione, perché è questa la fase più importante della
respirazione, contrariamente a quanto siamo soliti pensare e fare. In ogni circostanza, dunque, bisogna liberare in profondità i polmoni dall’aria viziata, prima di inspirare aria fresca.

Ora ci mettiamo seduti, colonna vertebrale, collo e capo eretti. Nell’espirare bisogna contrarre prima la parete addominale e quindi vuotare la cassa toracica, per percepire l’espirazione. Inizialmente aiutiamoci con una leggera pressione delle mani ai due lati della cassa toracica. Il diaframma tende a salire verso il torace. L’espirazione deve durare il doppio della inspirazione (6 secondi circa). Per facilitare il rallentamento dell’espirazione possiamo poggiare il mento verso lo sterno e proveremo una meravigliosa sensazione di benessere.

Il respiro deve essere come un’onda tranquilla, quindi inspiriamo cominciando sempre dall’addome, gonfiandolo leggermente, per passare poi alla cassa toracica e agli apici.

L’inspirazione yogica completa unisce i tre modi di inspirare e li integra in un unico movimento ampio e ritmico. Il diaframma nell’ispirazione si abbassa verso gli organi addominali. Noi conosciamo generalmente solo 2 o 3 fasi della respirazione, ignoriamo la ritenzione a polmoni vuoti e quella a polmoni pieni (dal sanscrito suniakakumbaka). Dopo l’espirazione effettueremo una ritenzione a polmoni vuoti per la durata di un secondo, mentre la ritenzione a polmoni pieni seguirà l’inspirazione sempre per un secondo.

Questo ritmo respiratorio (6-1-3-1 secondi) non comporta alcun rischio e non ha controindicazioni, salvo casi di gravi disturbi patologici.


Il pranayama

Ovvero il quarto stadio nel cammino dello Yoga.

Così come il termine Yoga è di vasto significato, lo è anche a parola prāĦāyāma.

PrāĦa significa fiato, respirazione, vita, vitalità, vento, energia o forza. Indica anche l’anima in opposizione al corpo. La parola è usata generalmente al plurale per indicare i respiri vitali.

Ayāma significa lunghezza, espansione, stiramento o controllo.

PrāĦāyāma perciò significa estensione del respiro e suo controllo.

Tale controllo agisce in ogni fase della respirazione, cioè:

  1. Inalazione o inspirazione, che è chiamata pūraka (riempimento).
  2. Esalazione o espirazione, che è chiamata rechaka (svuotamento dei polmoni).
  3. Trattenimento o possesso del respiro, uno stato in cui non vi è inspirazione o espirazione che è chiamato kumbhaka.

Kumbhaka, nei testi dell’ Hatha Yoga, è anche usato in un libero senso generico per includere le tre fasi respiratorie dell’inspirazione, esalazione e ritenzione. Kumbha è una brocca, un recipiente per l’acqua, una giara o un calice. Un recipiente per l’acqua, può esse svuotato dell’aria che è al suo interno e riempito completamente di acqua, oppure può essere svuotato di tutta l’acqua e riempito completamente di aria. In modo analogo, vi sono due stati di kumbhaka:

  • quando il respiro viene sospeso dopo una profonda inspirazione (con i polmoni pieni di aria vivificante) è conosciuto col nome di antara kumbhaka (antara significa interno interiore).
  • quando il respiro viene sospeso dopo una espirazione completa (con i polmoni svuotati di tutta l’aria nociva) è conosciuto col nome di bahya kumbhaka (bahya significa esterno o esteriore).

La durata della vita dello yogi non viene misurata con il numero dei suoi giorni ma con quello dei suoi respiri, perciò, egli segue i giusti modelli ritmici della respirazione lenta e profonda, che rafforzano il sistema respiratorio, calmano il sistema nervoso e riducono la bramosia. Man mano che i desideri e le brame diminuiscono la mente si libera e diventa un mezzo adatto alla concentrazione. Con una pratica non adatta del prāĦāyāma l’allievo introduce parecchi disturbi nel suo sistema respiratorio come il singhiozzo, l’asma, la tosse, il catarro, mali alla testa, agli occhi e alle orecchie ed irritazione nervosa. È necessario molto tempo per imparare le lente, profonde, regolari e giuste inalazioni ed esalazioni. Perciò, non cercate di dominare il prāĦāyāma in fretta, dato che state giocando con la vita stessa. Impadronitevi di queste tecniche prima di provare kumbhaka. Nel praticare il prāĦāyāma le narici, le cavità nasali e le membrane, la trachea, i polmoni e il diaframma sono le sole parti del corpo che compiano piena attività. Queste ultime da sole sentono la piena resistenza della forza del prāĦa, il respiro della vita.

Con una pratica appropriata si è immuni dalla maggior parte delle malattie.
Non cercate mai di praticare il prāĦāyāma da soli, dato che è essenziale avere sorveglianza personale di un Guru che conosca le limitazioni fisiche del suo allievo.


Alcuni esempi di PrāĦāyāma:

  • Nadi Sodhana
    (Purificazione dei nervi o respirazione alternata)

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Sedersi in posizione comoda

Poggiare il pollice destro sulla narice destra ed il mignolo e l’anulare
su quella sinistra chiudendole.

Stadio Preparatorio:

  • Espirare dalla narice destra.
  • Inspirare dalla narice destra, quindi chiuderla ed espirare dalla sinistra.
  • Inspirare dalla narice sinistra, quindi chiuderla ed espirare dalla destra.

Il ritmo è il seguente: inspirare dalla narice destra, espirare dalla narice sinistra, inspirare dalla narice sinistra, espirare dalla narice destra

*Stadio preparatorio: espirare dalla narice destra Un ciclo di Nadi Sodhana:
*Eseguire dieci cicli di respirazione.

Benefici: Migliora l’ossigenazione del sangue, il corpo si rinfresca ed i nervi si calmano. Rende la mente ferma e lucida.

  • Surya Bhedana
    (Perforazione del sole)

esempi di pranayama

  • Inspira lentamente e profondamente a destra occludendo la narice sinistra.
  • Ritenere facoltativamente
  • Occludendo a destra espirare lentamente con la sinistra
  • Sempre con la destra inspirare
  • Ritenere facoltativamente

Occludendo a destra espirare lentamente con la sinistra
Sequenza tipo 2” / 4” / 2” (secondi)

  • Chandra Bhedana
    (Perforazione della luna)

esempi di pranayama 2

  • Inspira lentamente e profondamente a sinistra occludendo la narice destra
  • Ritenere facoltativamente
  • Occludendo a sinistra espirare lentamente con la destra
  • Sempre con la sinistra inspirare
  • Ritenere facoltativamente
  • Occludendo a sinistra espirare lentamente con la destra

Sequenza tipo 2” / 4” / 2” (secondi)

  • Ujjayi – il respiro vittorioso
    Un pranayama fondamentale che dona pazienza, calma i nervi e tonifica tutto l’organismo

Il nome

L’etimologia di questo termine non è certa. Tradizionalmente Ujjayi prânâyâma viene tradotto come «il respiro vittorioso» in quanto per la sua esecuzione è necessario espandere al massimo il torace – atteggiamento tipico di un guerriero.

Una differente interpretazione prevede che il termine derivi dall’unione del prefisso ud, che significa «elevare», e della parola jaya, una tradizionale forma di saluto indiana: il termine quindi può indicare «ciò che si esprime ad alta voce» ed indicherebbe la non silenziosità di questo prânâyâma.

La tecnica

Esistono due tecniche classiche di esecuzione: di seguito verrà illustrata la più semplice, che non implica ritenzione del respiro, a differenza del Poorna-Ujjayi che prevede una ritenzione prolungata a polmoni pieni ed è pertanto riservato ai praticanti esperti.

Le posture migliori per eseguire questo prânâyâma sono siddhâsana, padmâsana oppure il mezzo loto; in caso non si riesca a mantenere l’immobilità richiesta è possibile sedere in vajrâsana.

posizioni prânâyâma - siddhâsana - padmâsana - vajrâsana

Il bacino è leggermente inclinato in avanti in modo che la regione lombare sia lievemente incurvata; le braccia sono tese, il dorso delle mani appoggia contro le ginocchia, le dita vengono portate in jnana mudra.

La tecnica per eseguire Ujjayi consiste nel contrarre i muscoli alla base del collo, vicino all’inserzione delle clavicole, in modo da ostruire parzialmente la glottide – il segmento mediano della laringe che comunica con la regione posteriore del cavo della bocca.

La frizione dell’aria sulle pareti della laringe provoca un suono caratteristico, sordo e continuo, simile al flusso e al riflusso delle onde del mare sulla battigia; il suono deve risultare dolce e regolare, evitare dunque sforzi eccessivi e mantenere il corpo rilassato.

Conservare il controllo della cintura addominale per tutta la durata del prânâyâma; la contrazione dei muscoli addominali non permette al ventre di espandersi, pertanto l’inspirazione sarà principalmente toracica e subclavicolare. Tanto l’inspirazione quanto l’espirazione avvengono attraverso le narici, che rimangono rilassate e passive.

Inspirare lentamente contraendo i muscoli del collo per ostruire la glottide; quando il diaframma incontra la crescente resistenza offerta dalla cintura addominale verranno sollevate e dilatate al massimo prima le costole e infine la parte alta del torace. Al termine dell’inspirazione il torace risulta completamente espanso e non deve risultare possibile l’introduzione di un seppur minimo volume aggiuntivo di aria.

Dopo uno o due secondi di ritenzione con la glottide completamente bloccata iniziare gentilmente l’espirazione dapprima contraendo i muscoli dell’addome poi quelli del torace abbassando le costole e le clavicole, badando tuttavia a non incurvare la colonna vertebrale.

L’espirazione deve essere completa e avere una durata almeno doppia rispetto all’inspirazione; anche per tutta la durata dell’espirazione la glottide rimane parzialmente ostruita ed il suono prodotto risulta regolare e piacevole da ascoltare.

Dopo uno o due secondi di ritenzione a polmoni vuoti inspirare nuovamente e ripetere il prânâyâma. Effettuare cicli di una decina di respirazioni, proseguendo per 5-10 minuti con brevi pause di riposo fra un ciclo e il successivo. Al termine dell’esercizio rilassarsi in shavâsana per qualche minuto.

Ujjayi può accompagnare anche l’esecuzione degli âsana, limitandosi ad una parziale chiusura della glottide; oltre ai benefici del prânâyâma in questo modo la mente si concentra più facilmente e risulta inoltre più agevole osservare se il respiro fluisce con regolarità durante la pratica.

Effetti del Prânâyâma

L’ostruzione parziale della glottide durante l’inspirazione causa un aumento della depressione intratoracica che ha come conseguenza un maggiore richiamo sulla circolazione venosa polmonare ed un incremento degli scambi gassosi e pranici; analogamente durante l’espirazione viene accresciuta la pressione intrapolmonare che contribuisce a mantenere l’elasticità dei polmoni.

La compressione degli organi addominali dovuta al controllo della cintura addominale stimola in particolar modo Svâdhisthâna e Manipûra chakra.

Controindicazioni

La ritenzione deve essere evitata da chi soffre di disturbi cardiaci o affezioni polmonari.

Ujjayi senza ritenzione, eseguito supini con le gambe sollevate, offre un grande benefico a chi soffre di alta pressione sanguigna o disturbi alle coronarie.

Risultati attesi nello svolgimento della tecnica del prânâyâma

Il diaframma è un muscolo potente e si può considerare per importanza un secondo cuore che separa gli organi addominali da quelli toracici, procurando un eccezionale massaggio agli organi interni. La semplicità del sistema della respirazione yoga impedisce a molti di prenderla in seria considerazione, mentre sprechiamo fortune in cerca di salute con sistemi complessi e costosi.

La respirazione completa yoga è una necessaria difesa dall’inquinamento; correggendo la respirazione abituale otteniamo una rivitalizzazione dell’organismo nei confronti della fatica fisica e della depressione mentale. Il ritmo della respirazione è collegato a quello del cuore, in rapporto tale che ad ogni respiro corrispondono quattro battiti cardiaci; anche il ritmo dei pensieri è collegato a quello della respirazione: una persona che respira in fretta è agitata mentalmente.

E’ auspicabile che tale dinamica del respiro entri nella scuola a livello di informazione prima, di formazione poi, mettendola in pratica nella educazione fisica.

Vi invitiamo vivamente a porla in pratica in qualsiasi momento della giornata e per la prima volta ci accorgeremo di quali energie enormi aspettano di essere rivelate a noi.

Il pranayama segreto

Anzi segretissimo, ma non per colpa di nessuno, semplicemente perché il vero Yoga non è in quello che si vede. Questa cosa qua si sa eppure si glissa concentrando l’insegnamento in modo ossessivo su quello che si vede.

Un’antica storia sufi, ma forse anche indiana, tibetana, cinese o tutte e quattro quante sono, ci racconta come quest’atteggiamento non sia per niente nuovo. Si narra che un tale, in una buia notte senza luna, perse la chiave di casa proprio davanti al suo portone. Una tremula lampada fissata in alto sopra la trave che sormonta il portone disegna un cerchio di luce in terra e l’uomo, chino e in affanno, cerca senza trovare. Sopraggiunge uno straniero di passaggio che vede l’uomo così affaccendato e, incuriosito, gli
chiede che cosa stia facendo. “Cerco la chiave della mia casa.” risponde il tipo senza distogliersi dall’impresa. “Se me lo permetti, vorrei aiutarti” ribatte benevolo lo straniero e completa: “quattro occhi vedono meglio di due!”. E così i due si rimettono subito all’opera, ma non ci vuole davvero molto tempo perché lo straniero si accerti che proprio lì, nello spazio illuminato dalla lampada, non vi è alcuna traccia di quella chiave. Come mai il poveretto si ostina a cercare in quel piccolo fazzoletto di terra illuminata? Non si è accorto che dove cerca non c’è nulla? La chiave non potrebbe trovarsi altrove? “Perdonami, amico mio” gli chiede flautato lo straniero che aggiunge non senza imbarazzo “ma da quanto tempo stai cercando?”. “Da almeno un’ora.” risponde senza distrarsi il cercatore. “… scusa l’inchiesta, amico mio, sempre qui?, voglio dire sempre qui sotto la lampada?” “Sì!” il cercatore non dà cenno di interrompere la sua ricerca quando l’altro l’incalza con ferma dolcezza “Ma non ti sei accorto che qui la chiave non c’è?” Solo allora il cercatore si arresta. L’uomo è in ginocchio i glutei poggiati sui talloni, le mani sulle cosce, i gomiti larghi a sostenere le spalle stanche. Alza il capo e il volto si apre in un tenue, grato sorriso rivolto allo straniero “Certo, amico mio! Non sono mica matto! So benissimo che qui la chiave non c’è, ma so anche che solo qui c’è la luce!” e continuò a cercare. Cosa comprese l’allibito straniero da questa storia? Che io sappia non c’è un’altra storia che lo spiega. Una sola cosa è certa, col nuovo giorno tutto sarà più chiaro! Si diceva, yoga che non si vede, o meglio ancora si potrebbe dire che il meglio dello yoga non è in quello che si vede. Nel caso specifico del pranayama dove l’aspetto strutturale, ‘visibile’ è minimo la cosa vale due volte.

Shiva e Shakti

Shiva e ShaktiUna delle immagini simboliche più diffuse e meno comprese dello yoga è insieme quella che ne rappresenta la sintesi segreta. In essa gli sposi celesti sono raffigurati intenti all’atto sessuale, come spesso accade in queste iconografie. In questa celeberrima, in particolare, Shiva è raffigurato supino, immobile, inerte (in apparenza) con Shakti che lo sovrasta facendosi penetrare dallo sposo, ma al contrario di quegli è mobile e seducente. Che cosa volevano indicare i santi maestri con questa rappresentazione? Volevano significare che la rivincita del principio femminile ha le sue radici nei cieli dello yoga? Indicare quale fosse il ruolo dello sposo nell’ambito del processo riproduttivo: una sorta di fuco che muore dopo l’accoppiamento? Che la via dell’illuminazione è una via tutta al femminile? Niente di tutto questo. L’immagine racconta di come il maschile e il femminile siano fra loro embricati (il femminile in movimento, il maschile passivo), ma soprattutto espone l’insegnamento fondamentale dello yoga.

L’impulso creativo

Uno degli aspetti più interessanti e originali dello Yoga è proprio la risoluzione corporea di concetti filosofici e mistici. Questa visione alchemica e integrata del processo di autorealizzazione, nell’ambito di una visione tantrica, propone all’uomo una prospettiva di straordinaria apertura dove il corpo non è più visto come un limite, ma come un preciso riferimento mistico. È in questo senso che va letta l’immagine sacra: alla base della colonna vertebrale sta Shiva, immobile, in erezione. Il dio simboleggia l’impulso creativo (la coscienza che crea) e il luogo da cui esso deve nascere: la base della colonna. Sopra è Shakti che asseconda dolcemente e rende fertile e manifesta questa forza. Nella pratica e certamente qualcuno se n’è accorto, accade generalmente il contrario. La rigidità della Shakti inibisce il manifestarsi di Shiva.

I Benefici derivanti da una buona respirazione

Imparare a respirare è una buona idea. Le tecniche respiratorie rinforzano sacro, pelvi, bassa schiena e rilassano conseguentemente spalle, gola e cervicale. Una buona pratica respiratoria calma il cuore e la mente, rende più lucidi e attenti. Agisce sul fuoco gastrico migliorando la digestione e l’assimilazione. Migliora l’elasticità della pelle essendo questa direttamente collegata col polmone. Dunque è indicata per tutti. I giovani possono trovare giovamento nello studio dove la respirazione è depressa e nello sport dove lo sforzo tende a farla salire. Per i meno giovani apre una prospettiva di rivitalizzazione, ringiovanimento di tessuti, strutture, funzionalità: un tonico anche per il morale. Per quanti già praticano e già apprezzano e godono dei frutti del buon respiro, confrontare le proprie esperienze è sempre fonte di arricchimento e crescita.

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