La "resurrezione" del Celacanto, fossile vivente dei mari

Il Giornale Onlinedi Francesco Lamendola – 13/06/2007

«La scoperta dell'ornitorinco, dell'echidna, della procavia e dell'oritteropo è stata una sorpresa, quella del Celacanto ha addirittura sbalordito. Si sapeva che questo pesce era esistito milioni di anni fa, perché sene erano trovati denti, ossa, impronte in terreni assai antichi del litorale del Madagascar. Ma si credeva che fosse scomparso per sempre.

Orbene, contro ogni aspettativa, il 22 dicembre 1938, se ne pescò uno vivo di un azzurro magnifico presso la costa sud-africana. Benché appena morto fosse subito in via di decomposizione per il calore, fu riconosciuto e gli scienziati di tutto il mondo poterono esaminarlo.

“Questo avvenimento ebbe risonanza internazionale. E ben a ragione. Il Celacanto è forse l'animale più antico che si conosca di una classe di vertebrati che raggruppa gli animali con quattro arti, uomo compreso. (…)

“Il Celacanto è senza dubbio un pesce che non si è evoluto perché sembra che continui a esistere, come è sempre stato, su per giù, sin dai tenmpi più remoti.

“Passarono quattordici anni prima che fosse catturato un secondo Celacanto nell'arcipelago delle Comore, tra l'Africa e il Madagascar. Meno di un anno dopo un terzo esemplare abboccò a una lenza di fondo avente 160 metri di filo… Si pensa che il Celacanto viva tra gli 800 e i 900 metri di profondità e che salga di rado in superficie. Ciò spiegherebbe perché esso venga pescato raramente, benché le catture si ripetano di tanto in tanto, sempre in questa zona delle Comore».

DANIÈLE BELLOY

Prima di delineare le vicende che hanno portato alla riscoperta del Celacanto, un pesce che si credeva estinto da qualcosa come oltre 200 milioni di anni, e che invece si è ritrovato ancora vivo e vegeto nelle acque dell'Africa sud-orientale, ci sembra giusto spiegare brevemente perché tale scoperta rivesta un carattere così eccezionale per la scienza zoologica. Il Celacanto, infatti (nome scientifico: Latimeria Chalumnae), non è un pesce qualsiasi, a parte il fatto di essere straordinariamente antico. Le sue pinne ventrali sono peduncolate e costituiscono u abbozzo di arto vero e proprio: da questo punto di vista, secondo la teoria evoluzionista (la quale, è bene tenerlo sempre a mente, è, appunto, solo una teoria), esso rappresenta un embrione di forma di passaggio tra la vita acquatica e la vita terrestre, culminata nella progressione dal pesce all'anfibio, al rettile e infine al mammifero.

D'altra parte, il fatto che il Celacanto non si sia evoluto e che oggi esista come essere vivente nella stessa forma che aveva in lontane epoche geologiche, potrebbe suggerire inquietanti interrogativi sulla concezione generale dell'evoluzionismo: non è, questo pesce che appare come un autentico fossile vivente, la smentita lampante del fatto che le specie si evolvono da forme più semplici e rudimentali verso forme più perfezionate e complesse? Intanto ricordiamo, pr il lettore non specialista, che il Celacanto non è precisamente un pesciolino da acquario: è un grosso animale, lungo sino a metri 1,80 e che può pesare fra i 40 e gli 80 kg. Ha la testa grossa e una robusta dentatura, ma un cervello del peso di appena 3 grammi e che occupa meno di un centesimo del volume del cranio; il resto contiene invece grassi e altre sostanze.

Ecco come si esprime lo scrittore francese Danièle Belloy nel suo libro Les animaux champions de l'insolite (Paris, Hachette, 1972, trad. it. Gli animali strani e bizzarri, Milano, Il Saggiatore, 1973, p. 6),

“La scoperta dell'ornitorinco, dell'echidna, della procavia e dell'oritteropo è stata una sorpresa, quella del celacanto ha addirittura sbalordito. Si sapeva che questo pesce era esistito milioni di anni fa, perché se ne erano trovati denti, ossa, impronte in terreni assai antichi del litorale del Madagascar. Ma si credeva che fosse scomparso per sempre. Orbene, contro ogni aspettativa, il 22 dicembre 1938, se ne pescò uno vivo di un azzurro magnifico presso la costa sud-africana. Benché appena morto fosse subito in via di decomposizione per il calore, fu riconosciuto e gli scienziati di tutto il mondo poterono esaminarlo.

“Questo avvenimento ebbe risonanza internazionale. E ben a ragione. Il Celacanto è forse l'antenato più antico che si conosca di una classe di vertebrati che raggruppa gli animali con quattro arti, uomo compreso. Osserviamo le pinne. Quasi tutte sono portate da un peduncolo o da un moncherino. Si suole considerare questo abbozzo di arto come una forma di transizione tra le pinne normali e i veri arti. Si pensa che la vita venga dal mare perché, nel più remoto passato, la terra era interamente coperta da acqua salata. Si pensa anche che le terre siano progressivamente emerse dagli oceani. «Parenti» del Celacanto, provvisti anch'essi di pinne peduncolate, hanno probabilmente invaso progressivamente le paludi, poi la terraferma. Le specie che effettuarono con successo questo cambiamento di habitat sopravvissero perché 'modellarono', nel corso dei millenni, arti sempre più perfezionati. Ma non si capisce 'come' un arto capace di permettere di camminare abbia potuto formarsi partendo da una pinna peduncolata, trasformatasi nel corso dei millenni.

“Se si paragona a un albero l'evoluzione degli esseri viventi attraverso gli evi, bisogna ammettere che si dispone di un albero spezzato di cui si ritrova qui un pezzo di ramo, là un corto rametto. Il Celacanto è senza dubbio un pesce che non si è evoluto perché sembra che continui a esistere come è sempre stato, su per giù, sin dai tempi più remoti.

“Passarono quattordici anni prima che fosse catturato un secondo Celacanto nell'arcipelago delle Comore, tra l'Africa e il Madagascar. Meno di un anno dopo un terzo esemplare abboccò a una lenza di fondo avente 160 metri di filo… Si pensa che il Celacanto viva tra gli 800 e i 900 metri di profondità e che salga di rado in superficie. Ciò spiegherebbe perché esso venga pescato raramente, benché le catture si ripetano di tanto in tanto, sempre in questa zona delle Comore”.

Secondo le teorie evoluzionistiche, i Celacantidi e i Ripidisti discenderebbero entrambi dai Crossopterigi, i quali a loro volta deriverebbero – insieme ai Dipnoi – dai Coanichti, dei pesci muniti di scheletro osseo in cui le fosse nasali, oltre a comunicare con l'esterno attraverso le narici, si aprivano nella cavità boccale mediante due ulteriori aperture, appunto le coane. I Dipnoi sarebbero giunti a respirare l'ossigeno atmosferico, almeno nei periodi di clima asciutto, ma rimanendo in letargo nel fango e senza tentare di spingersi sulla terra emersa; i Crossopterigi, invece, si evolsero secondo due linee differenti: Ripidisti e, appunto, Celacantidi.

I primi si sarebbero alla lor volta suddivisi in due rami: alcuni si specializzarono adottando lo stello modo di vita dei Dipnoi, altri – i Rizodonti – iniziarono il rande balzo verso la conquista della terraferma. Nell'Eusthenopteron, una forma del Devoniano dell'Europa e del Nord America, la struttura scheletrica presenta notevoli affinità con quella dei primi anfibi, gli Stegocefali. Quanto ai Celacantidi, benché in essi si notino – come abbiamo detto – alcuni segni che fanno pensare a una tendenza verso la vita sulla terra emersa, la loro evoluzione si arrestò quasi fin dall'inizio ed essi rimasero pesci a tutti gli effetti; anzi, come si è visto, pesci viventi nelle acque profonde, intorno al limite dei 1.000 metri sotto la superficie, dove non giunge alcuna traccia di luminosità.

Scrive Pietro Sassi (nel suo libro Gondwana. Storia di un continente perduto, Milano, Ed. Massimo, 1961, pp. 95-96):

“I Celacantidi divennero noti al rande pubblico da quando, alla fine del 1938, venne pescato nelle acque del Canale di Mozambico, presso le foci del fiume Chalumna, un rappresentante vivente di questo gruppo, che si credeva estinto fin dall'era mesozoica. Scoperto, in una pescata di pesci più comuni, da Miss Latimer, del Museo di East London nel Sud Africa, venne studiato e descritto dall'ittiologo sudafricano J. L. B. Smith, e denominato Latimeria Chalumnae. Altri esemplari viventi vennero pescati, sempre nelle acque del canale di Mozambico, nel 1952 e negli anni seguenti.

“Così, proprio nelle acque che circondano le terre del Gondwana [l'antico super-continente dell'emisfero meridionale che comprendeva il Sud America, l'Africa, l'India, l'Australia, la Nuova Zelanda e l'Antartide, nota nostra], gli uomini ebbero la ventura di ritrovare vive le creature di un remoto passato. Ma nemmeno i Celacantidi si spinsero alla conquista delle terre emerse. Rimasero pesci prevalentemente marini com'erano sempre stati, e giunsero fino a noi senza subire notevoli modificazioni di forma e di struttura.”

La vicenda della “riscoperta” del Celacanto è stata riepilogata con chiarezza e competenza da Pasquale Pasquini nella sua monumentale opera sulla vita degli animali (P.Pasquindi-A. Ghigi, La vita degli animali, 4 voll., Torino, U. T. E, T., 1978; vol. 1, La vita nel mare, pp. 925-932). Inoltre esiste un ottimo studio monografico, La storia del Celacanto, il fossile vivente, del biologo americano Keith S. Thomson (titolo originale: Living Fossile: the Story of the Living Coelacanth), tradotta in italiano dal'Editore fabbri di Milano nel 1993.

Un libro veramente ben scritto, che unisce il rigore scientifico al gusto avventuroso di una grande scoperta, ma che purtroppo non ha avuto molto successo nel nostro Paese – forse anche per il suo rifiuto di facili toni sensazionalistici – visto che è finito abbastanza presto nel circuito dei libri remainder. Peccato: si tratta di un eccellente esempio di opera scientifica divulgativa seria e al tempo stesso ben scritta, alla quale rimandiamo per ulteriori approfondimenti. Qui, per motivi di spazio, riportiamo il brano dell'opera di Pasquini dedicata al ritrovamento e allo studio del Celacanto.

(…) assume particolare importanza una scoperta 'sensazionale' di cui a suo tempo si parlò in tutto il mondo, in quotidiani e riviste, di uno stranissimo pesce, pescato la viilia di natale del 1938 nel mare del Sud Africa e precisamente nelle acque di east London e riconosciuto dal prof. J. L. B. Smith dell'Università di Rhodes, Grahamstown, come appartenente alla famiglia dei Celacanti, noti fossili rappresentativi delle rocce del Devoniano, scomparsi dalla storia della Terra nel tardo Cretaceo e che perciò si doveva ritenere che fossero rimasti in vita più o meno invariati nel tempo, nientemeno che per 230 milioni di anni!

“Tanto più sensazionale la scoperta in quanto è noto, sebbene ancora non ne sia stata fornita la spiegazione, che le specie sopravvissute di Pesci, quali Crossopterigi e Dipnoi, in grandissima parte non appartengono alla fauna marina; l'evoluzione più intensa che si avverò nel Carbonifero per i Pesci interessò quelli di acqua dolce, sebbene già in questo periodo e nel Permiano le acque del mare si andassero popolando con i primi Squali, di cui i primitivi giungeranno a noi con l'ordine degli Olocefali, le Chimere.

“Il gruppo cui appartiene il nuovo pesce, il famoso Celacanto, è quello dei Crossopterigi, che dall'inizio del Seconadrio andarono in declino: erano Pesci d'acqua dolce, dalla volta cranica completa, dalle narici esterne situate ventralmente, provviste di coane, con coda eterocerca o gefirocerca e pinne pari peduncolate, lobate, sorrette da raggi scheletrici biseriati o uniseriati e ricoperte alla lorobase da squame.

Di essi restano oggi i Polipteri delle acque dolci africane, e precisamente dei fiumi Nilo e Senegal, e i Celacanti del Carbonifero, del Permiano, del Trias, del Giura, del Cretaceo, con unico vivente il Celacanto scoperto dal prof. Smith, destinato, come vedremo tra poco, alle più impreviste e disgraziate vicende. Al primo annuncio che egli ne diede nel Transactions della Royal Society del Sud Africa nel 1939, fecero seguito infatti le più accese discussioni e non mancarono le proteste degli specialisti delusi di aver appreso che nel rarissimo esemplare pescato erano andate perdute le parti molli ed era rimasta soltanto la carcassa.

“Abbiamo sott'occhio la prima figura del Celacanto, pubblicata dalla londinese Nature, dell'esemplare pescato vivo nelle acque di East London: pesava oltre 80 chili e misurava un metro e mezzo di lunghezza. E qui comincia la dolente storia. Lo stranissimo pesce fu portato al Museo di East London, ma in mancanza di adeguarti mezzi di fissazione di personale capace di provvedere alla conservazione di una simile rarità, l'animale, con i suoi organi, andò in putrefazione [ricordiamo ce il mese di dicembre, nell'emisfero australe, corrisponde al pieno dell'estate, e quindi il cima della costa sud-africana conosce le massime temperature annue: nota nostra]. Una vera iattura! La pelle fu montata alla meglio dal tassidermista locale.

Quando la notizia e lo schizzo dell'animale insieme con pochi appunti pervennero al prof. Smith, questi non esitò a riconoscere nel massiccio esemplare un rappresentante dell'Era Mesozoica, da lungo tempo estinto. Non restava che la speranza di catturarne uno nuovo per compiere su di esso un più approfondito studio; e la speranza veniva confortata da altre notizie che pervenivano via via al prof. Smith, fra cui quella di un pescatore degno di fede che dava per certo che cinque anni prima un pesce simile, anzi assai più grosso, era stato rinvenuto spiaggiato, in una zona della costa orientale di East London, ma, ahimé, in stato di parziale decomposizione. Anche questo, dunque, era andato perduto!

“Nonostante le vicissitudini incontrate dal primo stranissimo esemplare al suo arrivo al Museo, il prof. Smith, sulla scorta dei disegni della carcassa e di alcune parti meglio conservate dell'animale, come la porzione caudale della colonna vertebrale e parte della cintura pettorale, poteva perfezionare la conoscenza di questo importante superstite mesozoico di cui riconosceva la stretta affinità con il genere estinto Macropoma della famiglia dei Celacantidi, dell'ordine Attinisti. Lo battezzò Latimeria in onore di Miss Courtenay-Latimer, curatrice del Museo, che per prima aveva ricevuto l'esemplare e ne aveva immediatamente dato notizia al prof. Smith, affrettandosi a prendere i primi appunti e le misure: erano stati, ad esempio, notati la colorazione azzurro cupo tendente al bruno del tegumento rivestito di grosse scaglie gementi muco e l'abbondante essudato oleoso dell'iniziata decomposizione.

“Ecco a tutte le parti del mondo piovere le richieste di notizie più precise sullo strano essere antidiluviano; ecco piovere, come si è detto commenti sfavorevoli e critiche severe, per aver lasciato andare a male un così prezioso ed eccezionale reperto. Il prof. Smith, in una seconda comunicazione su Nature, risponde alle proteste degli zoologi eccitatissimi per la straordinaria cattura. Egli dice che facile è criticare quando non si ha nozione di come stiano le cose: ben pochi infatti sanno le condizioni della ricerca scientifica nel Sud Africa, dove esiste soltanto un Museo, quello di Città del Capo, attrezzato a sufficienza per la preparazione di animali cospicui, con personale scientifico e tecnico che, all'infuori di un solo ittiologo, è incompetente per i Pesci.

“Gli altri piccoli musei della costa sono poverissimi di mezzi e di personale e dispongono di un solo curatore, che non può evidentemente essere provetto in tutti i rami della Storia Naturale. Tanto più meritevole perciò, aggiunge lo Smith, l'opera di Miss Latimer, che all'arrivo dello stranissimo esemplare lo avvertì subito; e nessuna colpa può essere attribuita a chicchessia se la notizia gli giunse, a lui che si trovava a Knyoma, distante ben 400 miglia da East London, una decina di giorni più tardi!

“Dopo questi malaugurati avvenimenti e contrattempi, si fece evidente la necessità di iniziare accuratissime ricerche per catturare nuovi esemplari di Latimeria. Tutto quel poco che si era potuto appurare sul primo, unico, malconcio animale, faceva prevedere che esso fosse abitatore delle acque di profondità. Senza esitare, allora, il prof. Smith iniziò questa indagine partendo dal presupposto che un simile relitto non avrebbe mai potuto sopravvivere se non nella quiete delle acque profonde, nascosto e protetto fra le rocce, lontano da competizioni con specie più attive di pesci dell'epoca moderna.

“Per anni e anni con uno scrupolo straordinario, e pazienza e tenacia senza pari, eccolo andare senza soste alla ricerca di un nuovo Celacanto, orientando le sue indagini verso le acque del Canale di Mozambico. Non trascurò di dare larga diffusione alla notizia tra gli abitanti della costa dell'Oceano Indiano occidentale, fra i pescatori, distribuendo anche appositi manifestini in varie lingue, inglese, francese e portoghese, che illustravano le caratteristiche del rarissimo esemplare, la sua antichissima storia, insieme con una fotografia della prima Latimeria rinvenuta perché tutti potessero riconoscerla. Era offerto anche un premio di 100 sterline per ciascuno dei primi due Pesci che fossero stati catturati.

“La 'caccia' al Celacanto prendeva così proporzioni ragguardevoli; ne erano interessate le autorità dei luoghi, e il prof. Smith stesso, con sua moglie, esplorava per sei ani in lungo e in largo la costa africana, speso a piedi, in luoghi anche inaccessibili, facendo ricerche dappertutto. Dopo quattordici anni, ecco che finalmente la notizia tanto attesa giunge un bel giorno al nostro appassionato studioso: nell'incantevole isola Anjouan, dell'Arcipelago delle Comore, era stato rinvenuto un secondo Celacanto! Lo Smith, con un aeroplano militare messo a sua disposizione dal Primo Ministro dott. Malan, vola immediatamente da Durban all'isola di Pamanzi e dopo 36 ore di viaggio, tra andata e ritorno, entra in possesso del raro esemplare, che gli viene consegnato dal comandante di una goletta da carico, il capitano Hunt, il quale lo aveva avuto da un pescatore.

Il grosso Celacanto, di un metro e 385 millimetri di lunghezza, era stato pescato all'amo, inescato con un pesce, nelle acque della scogliera sommersa, a circa 200 m. dalla costa in un fondale di sei piedi. Il pescatore lo aveva ucciso a colpi di mazza sulla testa, procedimento non certo indicato a permettere una qualsiasi preliminare indagine anatomica. Comunque, l'animale era stato portato al mercato per essere venduto come «pesce da taglio». Ma era stato riconosciuto subito da uno del luogo che dalle lettura dei volantini era a conoscenza dell'intensa ricerca che di una simile rarità si andava facendo da anni e soprattutto del premio in denaro promesso al fortunato scopritore.

L'animale fu così salvato, sottratto alla vendita e portato al capitano Hunt. Anche questi, come era prevedibile, non disponeva di alcun liquido conservativo per procedere subito alla fissazione dell'animale, neanche di un po' di formalina. Preoccupato di perderlo, ordinò così che venisse 'salato' facendo un taglio lungo il dorso, dall'estremità del muso fino alla coda, per far penetrare il sale. Questo procedimento naturalmente condusse alla distruzione del cervello, di molte parti molli della testa e, dato che il taglio interessava l'esofago, anche dei visceri.

“Il pesce fu poi trasportato a Pamanzi e qui, finalmente, vi fu iniettata la formalina; quando il prof. Smith ne venne in possesso, constatò le non troppo soddisfacenti condizioni dell'esemplare in più parti lacerato: il cervello poi era andato completamente perduto. Anche questa volta, nonostante la diligente organizzazione, l'eccezionale, originalissimo ma anche tanto disgraziato pesce, non si prestava che a un esame scientifico molto incompleto.

“Ma un grande passo avanti era stato compiuto: l'habitat del Celacanto era ormai finalmente individuato! I nativi della zona riferirono pii allo Smith che di esemplari simili, anche se più piccoli, se ne erano pescati di quando in quando in quei luoghi; questo si ricordava da generazioni e generazioni, sì che si poteva ormai con certezza concludere che nell'Arcipelago delle Comore quella rara specie viveva e forse anche altre specie. Al nuovo esemplare, che lo Smith ascriveva a un secondo genere, veniva attribuito il nome di Malania, in onore del Primo Ministro del Sud Africa, Dott. D. F. Malan, che ne aveva favorito il laborioso ritrovamento.

“Dobbiamo alla scoperta dell'ambiente di vita dei Celacanti e all'organizzazione di nuove ricerche sistematiche da parte dell'Istituto perla Ricerca Scientifica del Madagascar, sotto il patrocinio dell'Amministrazione superiore francese, se in meno di due anni si poterono assicurare allo studio e alla scienza ben nove nuovi esemplari di Celacanti, pescati fra Anjouan e la Grande Comora, che, opportunamente preparati e in ottimo stato, hanno reso possibile un approfondito studio di questa rarità e anche dei singoli organi, per i quali si dimostrò necessario un preventivo trattamento, prima di procedere alla conservazione.

“Quali sono, dunque, le caratteristiche che rendono così peculiari queste forme primitive di Pesci? E, innanzi tutto, siamo proprio sicuri che Latimeria e Malania rappresentino due generi diversi? Gli altri esemplari, venti successivamente alla luce nelle stesse acque adiacenti a Madagascar, somigliano infatti strettamente al primo genere Latimeria; ma vi è di più: l'incertezza, l'incompletezza, il contrasto dei dati ricavati dal secondo esemplare così profondamente alterato…

“Dobbiamo intanto osservare la singolare disposizione e conformazione delle pinne del Celacanto: le pari, due pettorali e due pelviche; le impari, due dorsali e l'anale. Eccettuata la prima pinna dorsale, le altre hanno un aspetto peculiare, specie le due pettorali che, inserite come sono su due peduncoli muscolari, provviste di uno scheletro assile e di un complesso sistema di muscoli, possono assumere le posizioni più varie e, essendo spostate in avanti, permettere ampi movimenti a guisa di 'zampe'. Viene fatto di supporre un originario adattamento dell'animale alla deambulazione in condizioni di vita semianfibia e non è improbabile che simile adattamento comporti nel Celacanto attuale, opportunamente designato dal volgo come «pesce con le zampe», la possibilità di 'camminare sul fondo'.

“D'altro canto, la parte posteriore del corpo dove si estende la grande pinna caudale, non si costringe gradualmente, come avviene di regola nei Pesci, ma è segnata da una separazione netta dell'estremità caudale, che si restringe rapidamente prolungandosi in una listerella che separa i raggi ella pinna in due lembi eguali, l'uno dorsale, l'altro ventrale. Una simile pinna caudale, cui segue una piccola pinna supplementare, serve da ottimo timone nel nuoto, soltanto in via eccezionale da propulsore nella caccia e nella fuga. Queste sono caratteristiche che si ritrovano in tutti i Celacanti estinti, così come le grosse squame cicloidi embricate che rivestono il moderno Celacanto e sono assai simili a quelle delle forme del Carbonifero.

“Altra condizione singolare sarebe quella, desunta però da un giudizio assai dubbio del tassidermista, di possedere una vescica natatoria a pareti assai deboli, mentre si sa che i Celacanti estinti posseggono una vescica natatoria rigida per una impalcatura della parete costituita da lamine ossee, ciò che esclude che essa potesse funzionare da 'polmone' come nei Dipnoi attuali. A questa vescica natatoria ossificata riesce molto difficile attribuire una funzione: che di sicuro ha, ma non è certo quella di organo idrostatico come nei Pesci attuali, nei quali la vescica, ripiena di gas, regola, è noto, il galleggiamento dell'animale ad una data profondità.

“La giusta rinomanza conquistata dal Celacanto, la cui scoperta, come dice il Le Danois, è da considerare forse «l'avvenimento più importante del secolo in materia di storia naturale», si deve ancora ad altre peculiarità e soprattutto alla persistenza di caratteristiche embrionali tipiche dei Vertebrati, quali, tra le altre, e fra quelle più sicuramente accertate, uno scheletro assile fibroso rappresentato esclusivamente dalla corda dorsale e privo di corpi vertebrali, e un cuore semplice lineare.

“Tutte le strutture scheletriche boccali del Celacanto superstite hanno a che fare con lo scheletro della bocca della maggioranza dei pesci attuali derivante dall'arco mandibolare, ma ricordano piuttosto e molto da vicino le corrispondenti strutture di quei Ripidisti o Osteolepidoti dai quali si ritiene siano derivati i Celacanti fossili in un periodo iniziale del Devoniano di una durata valutabile a 14 milioni di anni. E tanto i Ripidisti quanto i Celacanti potrebbero alla loro volta sempre ipoteticamente, farsi derivare da un antenato Agnatostomo, privo di scheletro osseo e di impalcatura scheletrica di sostegno della bocca, come gli attuali Ciclostomi.

Dal primo arco branchiale di questo ipotetico progenitore degli Gnatostomi odierni si sarebbero sviluppate mascelle e mandibola: quest'ultima esiste nel moderno Celacanto, mentre le ossificazioni corrispondenti ai mascellari superiori sono qui di pura origine dermica e in tale condizione permangono senza evolversi ulteriormente: sono assenti, cioè, i mascellari e probabilmente anche i premascellari.

“L'ipotesi che abbiamo esposto potrebbe trovare conforto nel fatto constatato che gli archi branchiali del Celacanto sono riccamente dotati di denti, utili forse a rafforzare l'azione di presa di grosse prede da parte della potente mandibola in assenza di mascellari superiori. Tutte queste – è evidente – sono soltanto congetture che non si basano su fatti dimostrati: tuttavia è fuor di dubbio che esse possono indicarci che mentre i vari gruppi animali si andavano trasformando ed evolvendo, i Celacanti, quasi sfidando la evoluzione, si arrestarono nelle condizioni in cui il gruppo cui appartenevano si trovava all'inizio del Devoniano.

Il Celacanto attuale corrisponde infatti perfettamente a tutti Celacantidi fossili che i paleontologi hanno scoperto e scoprono ancor oggi in quei giacimenti antichissimi. Fossile vivente per eccellenza, dunque, superstite del grande gruppo dei Crossopterigi da cui dovettero evolversi tutti i Vertebrati a respirazione aerea; fossile, ma nostro contemporaneo, rimasto immutato in quello stadio che forse dette origine, per successive trasformazioni e attraverso condizioni di vita anfibia, ai primi Tetrapodi che abitarono la Terra.

“Il nostro Celacanto è sopravvissuto, non si sa come, a segnarci una elle tappe della evoluzione organica nel corso delle successive epoche geologiche ein questa sua lunga storia non ha subito che minime variazioni, forse nessun vero cambiamento, ciò che ci sembra tanto più misterioso e incomprensibile quando si tien conto che i Celacanti non vissero sempre nel medesimo ambiente, quelli del Devoniano essendo infatti animali marini, laddove quelli del Carbonifero si dimostrano essere in prevalenza d'acqua dolce.

Nel Trias, successivamente, riapparvero forme marine delle acque costiere, ma i loro discendenti preferirono discendere in acque più profonde, fra i 150 e i 400 m., dove oggi li ritroviamo [in realtà, come abbiamo visto e come successive indagini hanno mostrato, in acque ancora più profonde: nota nostra]. Per quale ragione tutti questi successivi cambiamenti di condizioni ambientali, climatiche, ecc. non abbiano influito sui Celacanti, di cui ignoriamo le abitudini, che certo si devono porre tra le cause della loro singolare stabilità attraverso i tempi, resta ancora e forse sempre resterà un mistero!

“Altrettanto misteriosa appare la loro odierna localizzazione in una ristrettissima area, il Canale di Mozambico, in un ambiente che ancora non conosciamo nei particolari, tra le anfrattuosità degli scogli basaltici sottomarini che sembrano custodire, come in un archivio ancora inesplorato, questo tipo di organizzazione primitiva di Vertebrati rimasto intatto e immutato da milioni e milioni di anni.

“Ma gli interrogativi che ci pone la scoperta di questo fossili viventi non si esauriscono qui: come ancora, ad esempio, spiegare la relativa rarità con cui si rinvengono di norma i Celacanti fossili a confronti dei reperti forniti da certe rocce del Trias degli Stati Uniti, dove essi si ritrovano invece a centinaia e centinaia di esemplari? È questa la prova di una straordinaria inesplicabile localizzazione che ebbero queste forme in determinate zone o non è la rarità riscontrata soltanto apparente, dovuta cioè a un'incompletezza degli archivi paleontologici che noi interroghiamo?

Come spiegare ancora che, mentre dal Devoniano al Cretaceo superiore i Celacanti, se pur rari, ma largamente diffusi, si ritrovano quasi senza soluzione di continuità nelle varie epoche, nei successivi terreni geologici, per una durata che è calcolabile a 70 milioni di anni e più, scompaiono del tutto per riapparire 'viventi' isolati in questa zona limitatissima delle acque di Mozambico? Potrà un giorno essere colmata questa lacuna della storia dei Celacanti che va dal periodo post-Cretaceo ad oggi? Nessuno lo può escludere.

Certo è che i problemi che l'antichità dei Celacanti ci prospetta, sono fra i più suggestivi; e. senza voler ripetere qui l'esagerata affermazione, pur proclamata dalla stampa e dalla radio, che i Celacanti possano essere considerati i nostri antenati diretti o per lo meno le forme più strettamente affini a quegli, pure dobbiamo dedurre, dal confronto dei Celacanti fossili con la specie o le specie viventi, la permanenza fino ai tempi attuali di queste forme estremamente specializzate e la probabilità che esse siano progenitrici dei Tetrapodi primitivi.”

Molta parte delle caratteristiche misteriose e pressoché inspiegabili della struttura anatomica del Celacanto, come abbiamo già accennato, comincerebbe tuttavia a diventare assai più comprensibile se i biologi mettessero tra parentesi, sia pure come semplice ipotesi di lavoro, le loro ferree convinzioni evoluzionistiche, e guardassero al Celacanto come un esempio di fissismo delle specie. Allora la sua mancanza di 'evoluzione', nel corso di centinaia di milioni di anni, cesserebbe di costituire un enigma e apparirebbe come un dato perfettamente naturale.

Ma non è questa la sede per aprire un tale discorso: ci siamo limitati ad affacciare una ipotesi che, naturalmente, ben sappiamo essere alquanto eterodossa nel quadro del paradigma scientifico “ufficiale”. Ma non sono queste ipotesi eterodosse quelle che, di tempo in tempo, hanno fatto progredire le nostre conoscenze sulla natura, rompendo gli schemi consolidati e un tantino abitudinari di un sapere eccessivamente tradizionalista?

Prima di concludere, c'è un'ultima osservazione che vorremmo fare. Il caso del Celacanto ci prospetta anche una questione etica che ci vede, per una volta tanto (dopo che abbiamo causato e continuiamo a causare la scomparsa d'innumerevoli specie viventi) nella funzione di possibili difensori dall'estinzione di una specie vivente antichissima. Noi umani abbiamo degli obblighi morali nei confronti del Celacanto, a cominciare da quello di andarci piano con la caccia e la cattura di questo straordinario pesce. Non sarebbe la prima volta che, in nome della scienza (oltre che del commercio e dell'industria, o più genericamente del 'progresso') si porta all'estinzione una specie che aveva lottato milioni di anni per sopravvivere.

A questo proposito, ci piace riportare le riflessioni conclusive del professor Thompson nel già citato libro La storia del Celacato (pp. 249-251).

“Infine, dovremmo porci l'interrogativo etico: quanto è importante la sopravvivenza della specie Latimeria Chalumnae? In fondo, si tratta soltanto di un pesce, e non commestibile per giunta. È un interrogativo che si può porre per qualsiasi specie, compresa la nostra. Cinquant'anni fa non sapevamo che esistesse una popolazione di Celacanti viventi, così a chi sarebbe importato se si fosse estinta nel giro di altri cinquant'anni? Ma questa specie la conosciamo, naturalmente, ed è un po' come il problema del gattino randagio. Una volta che lo si è preso in casa, se ne è responsabili.

“Ci sono parecchie ovvie ragioni perle quali dovremmo assicurare la sopravvivenza della specie. Abbiamo scoperto questo pesce per caso e abbiamo l'obbligo morale di preservarlo perché le future generazioni lo possano vedere e conoscere. Abbiamo l'obbligo morale di riconoscere la nostra ignoranza e di porre fine a pratiche che possono essere pericolose per la sopravvivenza del pesce. Se la specie bisogno dell'intervento dell'uomo per sopravvivere, ed è palese che non ne ha, dovremmo essere sicuri di sapere quello che stiamo facendo. La Latimeria Chalumnae nin rappresenta un ostacolo per le attività dell'uomo, perciò non siamo nella posizione di barattare la sua estinzione con qualche tangibile beneficio a nostro favore. Non si trova sulla nostra strada; la sua esistenza non impedisce di costruire un bacino idrico o di dar dai mangiare ai bambini affamati. Non abbiamo bisogno del suo habitat per costruire basi navali o per testare pesticidi.

“E la Latimeria, possiamo dire, non offre neppure una qualche concreta opportunità economica (fatta eccezione per alcuni aspiranti showmen). Il suo olio non ha nessun evidente valore medicinale (mentre quello del Ruvettus ne ha, ma nessuno è interessato al Ruvettus). L'olio non è proprio un afrodisiaco e non provoca nemmeno il cancro al fegato: sono tutte sciocchezze. In pratica, abbiamo bisogno di assicurarci che la Latimeria non estingua semplicemente perché la nostra specie ama la conoscenza e c'è ancora tanto da conoscere di questo animale.

“Abbiamo l'obbligo morale di non essere sconsiderati con qualcosa che appartiene a qualcun altro. Se ci stessimo occupando di una proprietà reale – un'auto un pozzo petrolifero – avremmo anche un obbligo leale. Ma il Celacanto vivente appartiene a qualcun altro. Appartiene soprattutto alle future generazioni, generazioni delle Comore, come pure di americani, di inglesi o di giapponesi, alla gente comune come agli scienziati. Noi scienziati probabilmente meno di cinquanat) che studiamo attivamente i Celacanti, unitamente ai venti (o giù di lì) imprenditori che vogliono sfruttarli (in effetti, anche gli scienziati li sfruttano, naturalmente) rappresentiamo difficilmente la maggioranza degli azionisti.

“Fra tutte le specie in pericolo del mondo, la Latimeria Chalumnae può essere l'unico organismo la cui estinzione sia causata dagli scienziati. Ci sono parecchie specie di orchidee e di conchiglie che sono state portate a estinzione (o quasi) dai raccoglitori dopo che gli scienziati le avevano scoperte, ma nel caso della Latimeria la caccia è stata condotta essenzialmente dagli uomini di scienza. La specie è stata scoperta da scienziati e raccolta per scienziati, per la ricerca e (finora almeno) per essere esibita in istituzioni scientifiche. Questo è un altro primato storico per la scienza, anche se di dubbio prestigio.

“Quindi gli scienziati hanno la gravosa responsabilità della sua sopravvivenza: se la Latimeria si estingue, non ci sarà veramente nessun altro da biasimare.

“Ci si adatta più facilmente all'estinzione di una specie quando si verifica 'per caso'. Ma sappiamo che la maggior parte dei 'casi' sono provocati, di solito dall'avidità o dalla stupidità. Una volta che la possibilità di lasciare semplicemente il pesce in pace è stata espressa chiaramente, è difficile ignorarla. Non ci si rimette niente a prendere ancora uno o due esemplari per una ricerca progettata con cura e a vietare quindi del tutto la pesca. Il pubblico mondiale dovrà aspettare alcuni anni prima di assistere alo spettacolo eccitante di un Celacanto vivo chiuso in un acquario. Nel frattempo, si accontenterà delle favolose immagini televisive che mostrano il pesce libero di muoversi normalmente nel suo ambiente naturale.

La Latimeria Chalumnae è solo un altro pesce. Ma…”

Fonte: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=11847