L'arca perduta

Il Giornale OnlineNei resoconti delle spedizioni agli estremi confini del mondo, testimonianze legater al mito del Diluvio Universale. Le prove fotografiche sarebbero costituite segretamente al Pentagono.

La storia di una cataclismica alluvione e della sola famiglia sopravvissuta in un rudimentale barcone costituisce una delle leggende più antiche della cultura mondiale. È lecito pensare che questo mito epico sia basato su fatti reali e che la grande Arca di Noé si sia preservata sulle cime ghiacciate del monte Ararat? Questo è il parere del ricercatore Robin Simmons e di molti altri studiosi.

Alle pendici del vulcano spento

La testimonianza più nota è forse quella di Georgie Hagopian, un ragazzo di dieci anni, che vide i presunti resti dell'Arca mentre scalava il monte Ararat con uno zio, nel 1904. Il Monte Ararat, legendario luogo biblico dove sarebbe approdata l'Arca di NoèQuesto ed altri episodi furono narrati al nonno di Simmons, che si trovava in quegli anni nella zona: storie convincenti sui resti della leggendaria Arca conservati nel ghiaccio e nella neve, ancora occasionalmente visibili. Il nonno di Simmons, morto nel 1980 all'età di 106 anni, svolse, tra il 1904 ed il 1910, la sua professione di medico nella Turchia meridionale ed in Russia. Lavorò anche proprio alle pendici della montagna, leggendario luogo biblico di approdo dell'Arca. Alcuni dei pazienti curdi e armeni che aveva in cura si dicevano certi del luogo e della visibilità dei celebri resti sacri; l'Arca, secondo le testimonianze, si trovava proprio lì, sull'Ararat, nella parte settentrionale poco sotto la sella dei due picchi gemelli del vulcano spento.

Il medico conservava una vecchia foto del monte e ricordava il significato degli antichi nomi di quei luoghi, come Villaggio di Noè, Primo Vigneto, Casa di Sem, Primo mercato cittadino, Luogo della Prima Discesa e così via. Molti di quei nomi non sono più in uso, ma appartengono all'antica lingua armena. Racconti che rappresentarono per Robin Simmons l'inizio di una appassionata ricerca della soluzione di un enigma eterno. Il Corano riporta l'avventuroso approdo dell'Arca sulla montagna di Al Cudi, duecento miglia a Sud dell'Ararat, mentre in Iran si troverebbe un altro “Ararat” – il Kuh e Alvand – che vanta una lunga tradizione come possibile sito d'approdo.

Inoltre si racconta che una spedizione militare russa, nel periodo del regno dello Zar Nicola, localizzò l'Arca in una zona nel Nord dell'Armenia. Ciò avvenne poco prima della rivoluzione bolscevica, durante la quale molti dei soldati che parteciparono alla missione perirono e foto, mappe e manufatti dell'Arca scomparvero. Ma documenti e lettere appartenenti alle famiglie dei pochi superstiti sembrerebbero confermare l'autenticità della spedizione. Recentemente è trapelata la notizia che alcuni scritti ed oggetti personali dello Zar Nicola sono stati trasferiti dagli archivi segreti di Mosca e Leningrado allo Stanford Research Institute in California, un istituto finanziato da fondi federali, che collabora con i servizi segreti americani. Fra i reperti trasferiti potrebbero trovarsi anche i documenti della spedizione dello Zar sul monte Ararat?

Il tempo della visione

Tra i resoconti più interessanti spicca quello di Ed Davis, un ottuagenario allevatore statunitense. La sua testimonianza non è mai stata presa in seria considerazione dai vari ricercatori, che lo ritengono un semplice sognatore dalla viva immaginazione e dalla memoria lacunosa, invece la sua storia colpisce profondamente perché estremamente dettagliata e non pretenziosa.
Ed Davis, in gioventù, è stato un ingegnere militare della 363ma Armata Corpo Genieri, di stanza a Hamadan in Iran, impegnato nella costruzione di una strada che dalla Turchia portava in Russia. Il suo autista, il giovane Badi Abas, era nativo di un insediamento ai piedi dell'Ararat e gli raccontò di aver scalato la montagna con suo nonno, anni prima, e di aver trovato l'Arca: Davis avrebbe dato qualunque cosa per vederla!

Per ringraziarlo di aver scavato un pozzo per il suo villaggio, nel Luglio del 1943 Badi Abas e la sua famiglia si offrirono di portarlo in un luogo dove l'Arca era visibile, a causa dei ghiacci che si ritiravano. Durante il viaggio si fermarono in prossimità di un altro villaggio il cui antico nome era “Dove Noè piantò le viti” ed effettivamente vi erano delle vecchissime piante di vite dal fusto talmente largo che era impossibile cingerle con le braccia. Gli abitanti del luogo avevano conservato in una grotta, ritenendole sacre, diverse suppellettili recuperate dall'Arca: lampade ad olio, vasi d'argilla ed utensili antichi. Tra questi Davis notò anche lo sportello di una gabbietta fatto con vimini intrecciati, pietrificati dal tempo, con ancora attaccato un chiavistello di legno.

Dopo alcuni giorni di viaggio a cavallo e poi a piedi lungo i percorsi solitamente usati da banditi e contrabbandieri, ostacolati da pioggia, vento e nebbia, il gruppo raggiunse una grotta decorata con strane scritture, secondo Davis “bellissime e antiche”. Il giorno seguente, dopo aver scalato una parete impervia, una delle guide indicò in basso verso un profondo crepaccio a forma di ferro di cavallo, esclamando: “Ecco l'Arca di Noè“. Da principio Davis non scorse nulla, poi: “La vidi. Un'enorme struttura rettangolare costruita dall'uomo, parzialmente ricoperta di ghiaccio e detriti, posta su un fianco. Era chiaramente visibile per una lunghezza di almeno 30 metri. Riuscii perfino a vederne l'interno fino alla parte terminale, dove era spezzata, e le assi sporgevano contorte e deformate. Da sotto quel punto sgorgava l'acqua.”

Più in fondo al crepaccio Davis vide l'altra estremità e notò che i due monconi un tempo erano sicuramente uniti perché le travi spezzate combaciavano. L'Arca era spaccata in tre o quattro parti e nel troncone terminale del pezzo più grande si intravedevano almeno tre ponti. La sua guida lo informò che vicino alla sommità si trovavano 48 stanze e che dentro il relitto vi erano delle gabbie piccole come una mano e altre così grandi da contenere una famiglia di elefanti. Pianificarono di calarsi giu con delle funi, all'indomani, per addentrarsi nell'Arca ed esplorarla a fondo, ma quella notte una furiosa tempesta di neve ricoprì la nave ed ostruì il passaggio, costringendoli a tornare indietro.

Molti dettagli però non corrispondono a ciò che Davis asserisce. Come è possibile vedere il monte Ararat da Hamadan, che dista più di 600 chilometri? Davis suppone che particolari condizioni atmosferiche possano creare dei miraggi. Il monte Kuh e Alvand si trovano vicino ad Hamadan, forse è lì che andò Davis? Insolita formazione rocciosa scoperta nelle vicinanze di Durupinar. Consultando le foto e le vecchie mappe d'archivio risulterebbe un percorso che Davis potrebbe aver seguito da Hamadan al villaggio di Ahora, passando per la Gola di Ahora, verso una zona sotto il massiccio promontorio che sporge dal ghiacciaio Abich II. Proprio sotto quest'area si trova una cascata alta circa 150 metri che si getta nel lunghissimo Ghiacciaio Nero.

Prove scientifiche

George Stephen è un tecnico militare con trent'anni di esperienza nel campo delle rilevazioni a distanza, dell'alta risoluzione, degli infrarossi e di altri metodi di analisi delle foto satellitari, uno specialista che afferma di avere accesso ad “ogni centimetro quadrato” del pianeta. Stephen ha accettato di analizzare la cima dell'Ararat per scoprire eventuali anomalie e queste sono le sue conclusioni: “Sono sicuro al 100% che sul lato nord della montagna, a circa 4.000 metri di altezza, vi siano due grandi oggetti costruiti dall'uomo: è sconcertante trovare delle strutture a una simile altitudine! Il terreno è davvero impervio… sicuramente non si tratta di attrezzature militari perché, essendo ricoperte dal ghiaccio per quasi tutto l'anno, non sarebbero utilizzabili.

Per le analisi ho usato il sistema PAMS, che consiste nel prendere una foto satellitare e sottoporla ad un processo laser che ne trae una lettura dello spettro: lavoriamo con 64 differenti sfumature di ogni singolo colore e ciascuna di queste sfumature ci fornisce delle precise indicazioni sulla natura dell'anomalia che stiamo analizzando. Poi passiamo ad estrapolare dei “tasselli” dall'area, in altre parole, invece di cercare l'ago nel pagliaio, rimuoviamo il pagliaio. 'Perforiamo' la zona finché non troviamo l'immagine di quello che stiamo cercando.

Sul Monte Ararat si notano chiaramente due manufatti rettangolari: si trovano a circa 350 metri di distanza l'uno dall'altro, all'interno di una gola, su di una cengia rocciosa. L'oggetto superiore è sospeso nel vuoto, incastrato nel ghiaccio. Sembrerebbe che un tempo i due oggetti fossero uniti perché è tuttora visibile nel terreno una traccia che li collega, come se fossero scivolati giu da una posizione più elevata.La cartina mostra i tre siti principali dove sarebbe ubicata l'Arca Non so dirvi di che materiale siano fatti ma non si tratta né di roccia né di metallo, dev'essere una sostanza organica, probabilmente legno. Non so spiegarmi chi o come abbia potuto issare a quella altezza un oggetto di tali dimensioni, o costruirlo sul luogo. Sarebbe un'impresa incredibile! E comunque non vi sono tracce del fatto che sia stato costruito sul posto o che vi sia stato trasportato in qualche modo, è stranissimo ma sembra proprio arrivato lì dal nulla, come se vi fosse precipitato o atterrato… personalmente non credo nell'Arca di Noè ma, francamente, non ho idea di cosa possa essere.”

Ulteriori conferme

Anche Robin Simmons e il suo socio George Adams decisero di visitare l'area e cercarono, vanamente, di raccogliere i fondi necessari per la loro spedizione, nonché di ottenere i permessi ed i visti indispensabili per attraversare la zona, pesantemente militarizzata. Nonostante la mancanza di fondi, Simmons decise di tentare lo stesso ed assunse come guida Ahmet Arslan, un turco dell'Azerbaijan, cresciuto alle pendici dell'Ararat. Arslan venne mandato in avanscoperta per individuare la zona esatta e scattare alcune fotografie, cosa che fece, ma quando tornò alla base sembrava molto scosso e spaventato. Rifiutò di portare Simmons sul luogo dell'avvistamento e non voleva nemmeno parlare di quanto aveva visto. Comunque, alla fine, confermò di aver avvistato, incastrato nel ghiacciaio, un oggetto di legno (di cui si notavano le travi), dalle pareti rettangolari e dal tetto spiovente, simile nella forma ad una capanna, o meglio una stalla molto grande. Ahmet disse di essersi spinto fino a circa cinquecento metri dall'Arca, purtroppo non aveva potuto avvicinarsi troppo perché il crepaccio era ricoperto da una crosta di ghiaccio sottile, sotto la quale sentiva scorrere l'acqua… troppo pericoloso. Quando Stephen vide le foto scattate da Ahmet riconobbe immediatamente uno dei due oggetti da lui scoperti grazie al sofisticato software satellitare, invece Ed Davis, stranamente, disse che l'oggetto non somigliava a quello da lui fotografato.

Alcuni mesi dopo Simmons e George Adams tentarono nuovamente di recarsi sull'Ararat, con un elicottero MI-8 Russo. Poiché i militari turchi negarono l'atterraggio, si limitarono a fotografare e filmare l'Ararat e la Gola di Ahora dall'alto. Nonostante si fossero ormai accumulati sulla zona quasi sette metri di neve, identificarono rapidamente l'area e fotografarono i due oggetti descritti da Ahmet. Quasi 800 metri più in basso, in una gola rocciosa piena di detriti, Simmons e Adams scorsero un'altra forma simile, sporgente da una scoscesa falda detritica. L'acqua ruscellava sotto di esso: era forse il relitto avvistato da Davis? Tutte e tre le sagome anomale, estremamente simili, potrebbero effettivamente essere tronconi spezzati dello stesso oggetto. Purtroppo non abbiamo delle misurazioni precise, ma nella Bibbia si afferma che l'Arca misurava almeno 140 metri, forse addirittura il doppio se si considera che il “cubito” (l'unità di misura in uso all'epoca) poteva essere “cubito reale”. Potrebbe dunque darsi che l'Arca si spezzò in almeno quattro grossi frammenti, disseminati in seguito dai movimenti del ghiacciaio?

Cover up militare?

Nel 1974 una squadra “operazioni speciali” dell'esercito USA venne impiegata segretamente per fotografare un'attrezzatura radar sovietica che individuava gli SR-71 in volo dalla Turchia entro lo spazio aereo dell'URSS. Di ritorno dalla missione i soldati, per evitare di essere localizzati, scalarono l'Ararat. Colti da una tempesta di neve, cercarono rifugio in un crepaccio. Caddero letteralmente all'interno di una enorme struttura che, in un primo momento, scambiarono per un antico santuario bizantino. Riflettendo che non poteva esserci nulla del genere ad una tale altitudine conclusero, ben presto, che doveva trattarsi dell'Arca di Noè. Apparentemente il loro rapporto, chiamato in codice “Arpione nero”, giunse fino alla Casa Bianca e venne sottoposto all'attenzione del Presidente. Un impiegato della Casa Bianca, che ha chiesto di mantenere l'anonimato, afferma di aver visto questa documentazione segreta, nella Sala Ovale.

Un pilota militare americano dichiara di aver compiuto, tra il Dicembre 1959 e l'Aprile 1960, circa 40-50 voli da una base militare segreta in Turchia verso l'Unione Sovietica, documentando fotograficamente la costruzione della centrale nucleare di Chernobyl. Di ritorno da tali voli di ricognizione sulla zona di confine tra Russia e Iran, in direzione del monte Ararat, disse di aver visto diverse volte dal finestrino un oggetto oblungo e rettangolare, simile ad una nave, da una altitudine di circa 4.500 metri. Il pilota afferma che le immagini riprese durante quei voli si trovano ora negli archivi sotterranei segreti del Pentagono. È stata avanzata una richiesta ufficiale per poter esaminare tali fotografie ad alta risoluzione dell'anomalia nella calotta glaciale dell'Ararat, ma finora è rimasta senza risposta.

Misteriosi ritrovamenti

Un'altra testimonianza è quella di Dave Duckworth. Nell'autunno del 1968 alla Smithsonian Institution di Washington, D.C., dove lavorava come volontario, vennero recapitate innumerevoli casse marcate “Spedizione sull'Ararat della National Geographic/Smithsonian Institution”. Uno specialista esterno all'Istituto, Robert Geist, si occupava del materiale, che venne tutto mandato nell'ala dedicata alla paleontologia dei vertebrati. Il giovane Duckworth vide, secondo il suo racconto, delle fotografie aeree agli infrarossi che mostravano la forma di una nave incastrata nel ghiaccio ed anche utensili antichi, vasi, ed un sarcofago d'alabastro che conteneva un corpo. Geist gli confermò che finalmente avevano scoperto la leggendaria Arca di Noè, e che avevano inoltre recuperato altri corpi, ma che non doveva parlarne con nessuno. Passati alcuni anni, Duckworth decise di fare altrimenti e rivelare ciò che aveva visto. In seguito, nel 1974 – lo stesso anno dell'operazione “Arpione nero” – due sedicenti agenti dell'FBI gli intimarono da quel momento di tacere, ricordandogli che: “Si era trovato là dove non avrebbe dovuto essere e aveva visto cose che non lo riguardavano”.

Implicazioni politiche e religiose

Molti sostengono che l'Arca sia stata preservata per uno scopo ben preciso, ma quale?
Secondo uno studioso islamico dell'Università di Erzurum l'Arca è una sorta di bomba pronta a scoppiare. Un gran numero di musulmani crede infatti che la rivelazione del ritrovamento dell'Arca segnerà il ritorno di Maometto sulla Terra, venuto a scatenare una Guerra Santa per liberare il mondo dagli eretici e che in seguito tutti i veri credenti saliranno al Cielo su di un'Arca d'oro. Una delle guide di Davis gli riferì un antico detto:”Quando il Maestro tornerà, una luce splenderà sull'Arca e la ricostruirà”. Cosa accadrebbe in Medio Oriente se si scoprisse che l'Arca si trova effettivamente sull'Ararat e che è stata saccheggiata dagli Occidentali? Che i governi al potere sapevano tutto da lungo tempo, ma hanno preferito mantenere segreto il ritrovamento? E che questa montagna sacra ed i suoi tesori sono stati profanati dal “grande Satana”, ovvero l'America? Inoltre, se si scoprisse che l'Arca si trova davvero sull'Ararat e non sul monte Al Cudi, come affermato nel Corano, la situazione internazionale potrebbe precipitare, facendo apparire false le rivelazioni di Maometto.

Un mistero protetto con mine e divieti

L'idea che l'Arca di Noè esista realmente e che si sia preservata fino ai nostri giorni è contraria all'opinione generale scientifica ed accademica. Tuttavia, il vero enigma risiede nel perché la soluzione del mistero continui ad eluderci. Dipende forse dalle potenze che lo proteggono attivamente? L'Ararat e la Gola di Ahora sono ormai zona off limits: sono proibite le scalate, le esplorazioni e le fotografie ovunque, i sentieri sono stati minati e le postazioni militari assicurano il rispetto dei divieti. Se non vi è modo di chiarire questo enigma arcaico, allora è necessario partire da un nuovo paradigma per spiegare la presenza dei manufatti scoperti a quelle altitudini. Potrebbero essere la prova di un mondo antidiluviano i cui gli abitanti sono deceduti a causa di un improvviso cataclisma globale. Comunque, è forse – per chi di dovere – troppo tardi o troppo pericoloso, svelare la vera natura delle misteriose anomalie dell'Ararat?

Redazione di Misteri della Terra
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