Le frontiere della memoria

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Crediti: shutterstock

“La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla”. Con queste parole, Gabriel García Márquez celebra l’importanza della nostra memoria. Noi viviamo di attimi vissuti, e dei ricordi di questi attimi custoditi nei nostri neuroni. Ma cos’è esattamente la memoria? Perché alcune persone hanno capacità mnemoniche eccezionali e altre sono affette da disturbi che ne compromettono la funzionalità?

La memoria è un fenomeno complesso, che coinvolge il nostro sistema nervoso mediante processi non ancora definiti nei dettagli.

I neuroscienziati sono in gran debito nei confronti del “cervello più famoso del mondo”, quello del paziente “H.M.”, che più di ogni altro ci ha permesso di interpretare le basi della “RAM” degli esseri umani. “H.M.”, divenuto incapace di immagazzinare nuovi ricordi permanenti a seguito dell’asportazione chirurgica dell’ippocampo, ha rivelato inconsapevolmente ai ricercatori l’importanza cruciale di questa regione cerebrale per la memoria a lungo termine. E’ soprattutto grazie a quest’area a forma di cavalluccio marino se siamo in grado di conservare a lungo una grande quantità di informazioni. Diverso è il caso delle altre forme di memoria. “H.M.” non aveva perso del tutto la capacità di immagazzinare piccole quantità di informazioni per pochi secondi, mostrando che non è l’ippocampo a governare la memoria a breve termine.

La maggioranza dei pazienti amnesici come H.M. presenta danni di natura traumatica, ma la causa principale della perdita della memoria va ricercata nelle malattie neurodegenerative. Sono disturbi che insorgono in età avanzata e rappresentano una piaga sociale per la popolazione. L’Alzheimer è, tra queste, la più temuta. Un milione di persone, solo nel nostro Paese, soffre di questo male senza poter far ricorso ad alcuna terapia. E’ per questa ragione che lo studio delle malattie degenerative costituisce oggi un campo d’indagine di grande importanza.

A fronte di questi casi, numerosi, di perdita o riduzione della memoria, vi è un numero molto minore di persone dotate di facoltà mnemoniche eccezionali. Il protagonista del film Rain Man trae ispirazione da Kim Peek, un autistico savant (letteralmente “sapiente”) in possesso di una memoria incredibile. Peek, soprannominato “Kimputer”, non si limitava a memorizzare l’elenco telefonico, ma pareva in grado di ripetere parola per parola tutti i dodicimila libri letti nel corso della sua vita. Una memoria eccezionale può risultare anche un problema, come avviene nelle persone affette da ipermnesia, una condizione neurologica che, all’opposto dell’amnesia, induce a memorizzare una quantità eccessiva di informazioni. Alcuni ipermnesici ricordano ogni istante della loro vita, senza tralasciare i più piccoli particolari, come i vestiti indossati in quella particolare occasione. Per queste persone la sfida più difficile non è ricordare, ma dimenticare.

Gli ipermnesici non sono gli unici a provare il desiderio di rimuovere i ricordi. E’ noto, infatti, come persino il dolore venga conservato in certi casi nella nostra memoria. Un esempio tipico è quello delle persone a cui è stato amputato un arto che riferiscono di continuare ad avvertire, per un certo tempo, dolore nella zona dell’arto perduto. Ma anche i dolori cronici sono causati in gran parte dal ricordo della sofferenza registrato nei nostri neuroni. Studi recenti hanno permesso di identificare una proteina che stimola la memorizzazione del dolore rafforzando le connessioni neuronali. Questa proteina aumenta in seguito a una stimolazione dolorosa, e potrebbe essere sufficiente ridurla o bloccarne l’attività per dare sollievo a chi soffre di forti dolori cronici. La speranza è di riuscire in futuro a cancellare le tracce dei ricordi dolorosi, al fine di eliminare il dolore direttamente alla fonte.

Un’altra promettente frontiera della ricerca sulla memoria è rappresentata dall’integrazione tra biologia e informatica. Un mondo popolato in un futuro non troppo lontano da cyborg ed esseri umani con una mente in parte artificiale potrebbe non essere uno scenario fantascientifico. Gli scienziati sono già in grado di integrare chip informatici nel cervello dei roditori, con la possibilità di restituire agli animali la memoria rimossa. L’obiettivo, nel prossimo futuro, è soprattutto quello di sopperire con la tecnologia informatica agli scompensi delle malattie neurodegenerative. Ma di qui alla creazione di super cervelli in parte artificiali il passo potrebbe essere breve.

Fabio Perelli

scienzainrete.it