Le lune della Terra

Le lune della Terra
Le lune della Terra
Jules Verne

A partire dalla metà dell’Ottocento, si comincia a discutere della possibilità che la Terra abbia o meno un secondo satellite naturale.

Le ipotesi più bizzarre e le teorie più fantasiose hanno da allora stimolato nuove scoperte e notevoli osservazioni, dando vita ad una vicenda che giunge fino ai giorni nostri e che rappresenta una pagina di storia dell’astronomia davvero interessante. Nel 1846, Frederic Petit, direttore dell’osservatorio di Tolosa, affermò che era stata scoperta una seconda luna della Terra.

Era stata vista da due astronomi, Lebon e Dassier, a Tolosa, e da un terzo, Larivière, ad Artenac, durante la serata del 21 marzo 1846. Petit trovò che l’orbita era ellittica, con un periodo di 2 ore 44 minuti e 59 secondi, un apogeo a 3.570 km dalla superficie terrestre e un perigeo a soli 11,4 km (!).

Petit fu ossessionato dall’idea di una seconda luna, e 15 anni dopo annunciò di aver fatto dei calcoli a proposito di un piccolo satellite della Terra, capace di causare alcune particolarità, allora inspiegabili, nel moto della Luna principale. In generale, gli astronomi ignorarono queste teorie, e l’idea sarebbe stata ben presto dimenticata se un giovane scrittore francese, Jules Verne, non ne avesse letto un riassunto.

Nel suo celebre romanzo “De la Terre à la Lune”, Verne racconta che un piccolo oggetto passò vicino alla capsula spaziale su cui viaggiavano i tre coraggiosi protagonisti diretti sulla Luna.

“Si tratta”, disse Barbicane, “di un semplice meteorite anche se enorme, trattenuto come un satellite dall’attrazione della Terra.” “È mai possibile?”, esclamò Michel Ardan, “la Terra ha dunque due lune?” “Sì, amico mio, ha due lune, sebbene sia comunemente ritenuto che ne abbia una sola. Ma questa seconda luna è così piccola e la sua velocità è così elevata, che gli abitanti della Terra non possono vederla.

È stato notando alcune perturbazioni che un astronomo francese, Monsieur Petit, ha potuto determinare l’esistenza di questa seconda luna e calcolarne l’orbita. Secondo lui, per compiere una rivoluzione completa intorno alla Terra essa impiega tre ore e venti minuti. […]”

“Tutti gli astronomi ammettono l’esistenza di questo satellite?”, chiese Nicholl. “No”, rispose Barbicane, “ma se essi, come noi, lo avessero incontrato, non potrebbero più dubitarne. […] Ciò ci dà un modo per determinare la nostra posizione nello spazio: […] la sua distanza è nota e perciò, quando lo abbiamo incontrato, eravamo a 7.480 km dalla superficie del globo”.

Jules Verne venne letto da milioni di persone, ma fino al 1942 nessuno notò alcune notevoli discrepanze:

  • un satellite che può trovarsi a 7.480 km dalla superficie terrestre avrebbe un periodo di almeno 4 ore e 48 minuti, non di 3 ore e 20 minuti;
  • poiché il satellite venne visto dal finestrino dal quale la Luna era invisibile, ma entrambi erano in avvicinamento, esso doveva avere moto retrogrado, cosa che certo sarebbe stata degna di nota. Ma Verne non fa alcuna menzione di quest’aspetto;
  • in ogni caso il satellite sarebbe stato in eclisse e perciò invisibile: il proiettile in cui i tre intrepidi stanno viaggiando, infatti, lascerà l’ombra della Terra molto dopo l’incontro con il satellite.

Nel 1952 il dottor Richardson, del Mount Wilson Observatory, tentò far quadrare ogni cosa ipotizzando che il satellite avesse un’orbita eccentrica con questi elementi: perigeo a 5.010 km e apogeo a 7.480 km dalla superficie della Terra, eccentricità 0,1784.

Ad ogni buon conto, Jules Verne ebbe il merito di far conoscere la seconda luna di Petit a tutto il mondo. Gli astrofili giunsero alla conclusione che c’era l’opportunità di diventare famosi: chiunque avesse scoperto questo secondo satellite, infatti, avrebbe avuto il proprio nome scritto per sempre negli annali della scienza.

Al contrario, nessun grande osservatorio prese in esame il problema della seconda luna, o se lo fece mantenne il più assoluto riserbo in merito. Gli astrofili tedeschi si misero a dare la caccia a ciò che essi chiamavano Kleinchen (“piccolino”).

William Henry Pickering rivolse la sua attenzione ai problemi teorici: se il satellite orbitasse a 320 km dalla superficie e se il suo diametro fosse di 0,3 metri, con la stessa capacità di riflessione della Luna, esso dovrebbe essere visibile con un telescopio da 3 pollici.

Un satellite di 3 metri, invece, sarebbe un oggetto di quinta magnitudine, visibile ad occhio nudo. Sebbene Pickering non si sia messo a cercare l’oggetto di Petit, tuttavia portò avanti una ricerca su un satellite secondario: un satellite della nostra Luna (On a photographic search for a satellite of the Moon, “Popular Astronomy”, 1903). Il risultato fu negativo e Pickering concluse che ogni eventuale satellite della Luna doveva avere un diametro inferiore ai 3 metri.

Un articolo di Pickering sulla possibile esistenza di una piccola seconda luna della Terra, A Meteoritic Satellite, apparve su “Popular Astronomy” nel 1922 e provocò un altro breve momento di agitazione fra gli astrofili, giacché conteneva queste asserzioni: “Un telescopio da 3-5 pollici, con un oculare a bassa focale dovrebbe essere il miglior strumento per trovarla. È una bella opportunità per l’astrofilo”. Ma di nuovo, le ricerche rimasero infruttuose.

Le lune della Terra

Le lune della TerraL’idea originaria era che il campo gravitazionale della seconda luna avrebbe dovuto dare conto delle piccole deviazioni, allora inspiegabili, del moto della Luna maggiore. Ciò significava un oggetto grande almeno parecchi chilometri: ma se questo secondo satellite esistesse davvero, allora avrebbero dovuto scorgerlo già i Babilonesi. Anche se fosse troppo piccolo per mostrare un disco, la sua relativa vicinanza dovrebbe farla muovere velocemente e perciò renderla agevolmente visibile, come ben sanno gli attuali osservatori di satelliti artificiali. D’altra parte, nessuno si è mai interessato molto a lune troppo piccole per essere viste.

Ci sono state altre ipotesi di ulteriori satelliti naturali della Terra. Nel 1898 il dottor Georg Waltemath di Amburgo affermò di aver scoperto non solo una seconda luna, bensì un intero sistema di minuscole lune. Waltemath fornì gli elementi orbitali di uno di questi satelliti: distanza dalla Terra 1,03 milioni di km, diametro 700 km, periodo orbitale 119 giorni, periodo sinodico 177 giorni.

“Talvolta”, affermò Waltemath, “brilla nella notte come il Sole”: egli riteneva che questa luna fosse stata vista in Groenlandia il 24 ottobre 1881 da Lieut Greely, dieci giorni dopo che il Sole era tramontato dando inizio all’inverno polare. L’interesse del pubblico aumentò quando Waltemath predisse che la seconda luna sarebbe passata davanti al Sole il 2, il 3 o il 4 febbraio 1898. Il 4 febbraio, dodici persone dell’ufficio postale di Greifswald (l’Herr Postdirektor Ziegel, alcuni membri della sua famiglia e alcuni impiegati postali) osservarono il Sole ad occhio nudo, senza proteggersi dalla luce abbagliante.

E facile immaginare una scena quasi ridicola: un solenne impiegato civile prussiano, che indica il cielo attraverso la finestra del suo ufficio, leggendo con voce stentorea ai suoi rispettosi subordinati la previsione di Waltemath.

Durante una successiva intervista, questi testimoni parlarono di un oggetto scuro con un diametro pari ad un quinto di quello solare, il quale avrebbe impiegato circa un’ora (dalle13.10 alle 14.10, tempo di Berlino) per attraversare il disco solare. Si provò ben presto che si trattava di un banale “abbaglio”, giacché durante quelle ore il Sole era osservato attentamente da due esperti astronomi, Winkler a Jena e von Benko a Pola: entrambi riferirono che sul disco c’erano solo alcune normalissime macchie solari.

Il fallimento di questa e di altre successive previsioni non scoraggiò Waltemath, che continuò a pubblicare previsioni e chiedere che fossero verificate.

Gli astronomi non diedero alcun credito alla “luna” di Waltemath. Al contrario gli astrologi colsero l’occasione al volo e nel 1918 l’astrologo Sepharial battezzò questa luna con il nome di “Lilith”.

Egli considerava che fosse nera abbastanza per essere invisibile per la maggior parte del tempo, diventando visibile solo quando era nei pressi dell’opposizione o quando transitava attraverso il disco solare. Sepharial calcolò le effemeridi di Lilith, sulla base di varie osservazioni condotte da Waltemath.

Riteneva inoltre che Lilith avesse all’incirca la stessa massa della Luna, ignorando allegramente che se un tale satellite esistesse davvero, anche se invisibile, dimostrerebbe la sua esistenza perturbando il moto della Terra. Ancora oggi alcuni astrologi usano la “luna nera” Lilith per rendere ancora più “scientifici” e attendibili i loro oroscopi…

Intorno al 1950, quando si cominciò a discutere sul serio di satelliti artificiali, ognuno si aspettava che essi sarebbero stati incapaci di portare a bordo delle radiotrasmittenti, ma che sarebbero stati seguiti con il radar da Terra. In questo caso, un gruppo di piccoli satelliti naturali avrebbe potuto provocare qualche fastidio, giacché avrebbe riflesso i raggi dei radar al posto dei satelliti artificiali.

Il metodo per cercare questi satelliti naturali fu sviluppato da Clyde Tombaugh, lo scopritore di Plutone: si calcola il moto del satellite, ad esempio, a 5.000 km di altezza. Poi si appronta una fotocamera che riprenda il cielo esattamente a quella data altezza: le stelle, i pianeti e gli altri corpi celesti appariranno come linee sulle fotografie prese dalla fotocamera, mentre qualsiasi satellite alla giusta altezza apparirà come un punto. Se il satellite fosse ad una altezza lievemente diversa, produrrebbe una breve linea.

Le osservazioni al Lowell Observatory cominciarono nel 1953, invadendo un territorio ancora sconosciuto: ad eccezione dei tedeschi in cerca di “Kleinchen”, nessuno aveva mai fatto attenzione allo spazio tra la Luna e la Terra!

Nell’autunno del 1954, settimanali e quotidiani di buona reputazione affermarono che la ricerca aveva dato i suoi primi risultati: un piccolo satellite a 700 km di altezza e un altro a 1.000 km. Si dice che un generale abbia chiesto: “È sicuro che sono naturali?”

Nessuno sembra sapere come tali notizie si siano originate, giacché le ricerche furono completamente negative. Invece, quando i primi satellti artificiali furono lanciati nel 1957 e nel 1958, vennero ripresi dalle fotocamere.

Malgrado tutte queste considerazioni, non è affatto escluso che la Terra abbia più di un satellite naturale. Per breve tempo la Terra può trovarsi ad avere dei satelliti molto vicini: i meteoroidi che passano nei pressi della Terra e scivolano attraverso gli strati superiori dell’atmosfera possono perdere abbastanza velocità per trasformarsi in altrettante lune orbitanti intorno alla Terra. Ma poiché ad ogni perigeo passano nell’atmosfera e dunque si “consumano”, sono destinati a non durare a lungo: di solito si estinguono dopo una o due rivoluzioni; se il corpo in questione è particolarmente massiccio può resistere anche per qualche decina di rivoluzioni, ma nulla più. Ci sono alcune indicazioni che tali “satelliti passeggeri” sono stati osservati; è anche possibile che la luna di Petit sia uno di questi.

Oltre ai satelliti temporanei ci sono altre due possibilità che la Terra abbia più di una luna. La prima è che la Luna abbia dei propri satelliti: malgrado svariate ricerche, però, non ne è stato trovato neppure uno. Inoltre oggi si sa che il campo gravitazionale della Luna è irregolare ovvero “bitorzoluto” abbastanza perché qualsiasi orbita lunare risulti notevolmente instabile: ogni satellite lunare quindi è destinato a schiantarsi sulla Luna dopo breve tempo, pochi anni o un decennio tutt’al più.

L’altra possibilità è che ci possano essere dei gruppi di satelliti di piccole dimensioni, che orbitano intorno alla Terra collocati 60 gradi davanti o dietro alla Luna, ovvero nei cosiddetti “punti di Lagrange” dell’orbita lunare (vedi la figura a lato). Questi satelliti furono ipotizzati per la prima volta dall’astronomo polacco Kordylewski dell’osservatorio di Cracovia: egli cominciò la sua ricerca visuale nel 1951, armato di un buon telescopio, giacché sperava che si trattasse di oggetti ragionevolmente grandi.

La ricerca diede esito negativo, ma nel 1956 un suo compatriota e collega, Wilkowski, suggerì che potrebbero esserci molti corpi minuscoli, troppo piccoli per essere visti individualmente, ma in numero sufficiente per apparire come una nube di particelle di polvere. In questo caso sarebbero visibili meglio senza telescopio, cioè ad occhio nudo!

L’utilizzo di un telescopio “li ingrandirebbe fino a farli sparire”: per poterli vedere, invece, ci sarebbe bisogno di una notte oscura con un cielo pulito e la Luna sotto l’orizzonte. Nell’ottobre 1956, Kordylewski vide, per la prima volta, una chiazza debolmente luminosa in una delle due posizioni.

Non era molto piccola, sottendendo un angolo di 2 gradi (cioè circa 4 volte più grande della stessa Luna), ed era molto fioca, soltanto metà della luminosità del cosiddetto gegenschein (una chiazza luminosa nella luce zodiacale, direttamente opposta al Sole), notoriamente difficile a vedersi.

Nel marzo e nell’aprile 1961, Kordylewski riuscì a fotografare due nubi nelle posizioni previste. Esse sembrano essere di estensione variabile, ma ciò potrebbe essere dovuto ai mutamenti di illuminazione. J. Roach rilevò queste nubi satelliti nel 1975 con le sei sonde dell’OSO (Orbiting Solar Observatory).

Nel 1990 furono fotografate di nuovo, questa volta dall’astronomo polacco Winiarski, il quale scoprì che esse avevano un diametro apparente di alcuni gradi, che “vagavano” fino a dieci gradi dal punto di Lagrange e che erano un po’ più rossastre della luce zodiacale.

Così la secolare ricerca di un secondo satellite della Terra sembra aver avuto successo, dopo tutto, anche se questa “seconda luna” si è rivelata essere completamente differente da qualsiasi attesa.

Questi piccoli satelliti sono molto difficili da scorgere e da distinguere dalla luce zodiacale e in particolare dal gegenschein. Ma ci sono persone che continuano ancora a proporre nuovi satelliti naturali della Terra. Fra il 1966 e il 1969 John Bargby, uno scienziato americano, sostenne di aver osservato almeno dieci piccoli satelliti naturali della Terra, visibili solo al telescopio.

Bargby trovò le orbite ellittiche per tutti questi oggetti: eccentricità 0,498, semiasse maggiore 14.065 km, altezza del perigeo 680 km e altezza dell’apogeo 14.700 km. Bargby li riteneva essere frammenti di un corpo più grande, frantumatosi nel dicembre 1955.

Egli basò la maggior parte dei suoi asseriti satelliti sulle supposte perturbazioni dei satelliti artificiali. Bargby utilizzò i dati dei satelliti artificiali pubblicati nel Goddard Satellite Situation Report, ignorando che i valori di questa pubblicazione sono solo approssimati, talvolta anche notevolmente errati, e che perciò non possono essere usati per una precisa analisi scientifica. Inoltre, se ci si basa sulle orbite calcolate da Bargby, si può dedurre che al perigeo tali satelliti dovrebbero raggiungere la prima magnitudine e quindi essere agevolmente visibili ad occhio nudo: ma nessuno li ha ancora visti.

Nel 1997, Paul Wiegert, Kimmo Innanen e Seppo Mikkola scoprirono che l’asteroide 3753 ha un’orbita davvero strana e può essere considerato un compagno della Terra.

Sebbene non ruoti direttamente intorno al nostro pianeta, infatti, l’asteroide 3753 è notevolmente influenzato dall’attrazione gravitazionale terrestre, come mostra il diagramma qui sotto, che mette in evidenza la forma della sua orbita rispetto alle orbite dei quattro pianeti interni. In seguito questo asteroide è stato battezzato con il nome di Cruithne.

 

Marco Murara (Associazione Astrofili Trentini)
astrofilitrentini.it


Marco Murara, nato ventitré anni fa, ha conseguito la maturità classica nel 1995 e la laurea in giurisprudenza nel 1999. Suo interesse particolare è la storia dell’astronomia, cui si dedica attivamente da alcuni anni