Le rovine sommerse di Yonaguni in Giappone

Yonaguni
Yonaguni
Yonaguni, un particolare delle strutture sottomarine (Crediti it.wikipedia.org/wiki/Yonaguni)

Tutto cominciò il 9 luglio 1997 quando, nel sito americano della giornalista Laura Lee apparve una notizia curiosa:

“Il mio amico Shun Daichi mi ha mandato dal Giappone sei foto di monumenti in pietra sottomarini. Non si tratta di piramidi in senso stretto, ma di rovine subacquee mostrate recentemente dalla televisione giapponese in un documentario. Sono sei strutture trovate al largo di Okinawa. Una è a Taiwan. Sono comunque tutte sotto il mare. Tutti i geologi coinvolti concordano sul fatto che queste strutture siano vecchie di dodicimila anni.”

La notizia terminava così, senza commenti e senza importanza. Ma ben pochi potevano immaginare il putiferio che essa avrebbe scatenato. Fra i primi ad arrivare in Giappone, lo studioso americano John Anthony West ed il geologo Robert Schoch; i due ricercatori che, nel volume di Robert Bauval “Il mistero di Orione”, si dicono convinti che la sfinge di Gizah sia anteriore alla civiltà egizia e dunque di origine atlantidea.

Stranamente proprio Schoch e West, dopo avere analizzato un primo costone roccioso, sagomato a piramide, scoperto nei fondali di Yonaguni (area di Okinawa) avevano sentenziato trattarsi semplicemente di strutture naturali, levigate dalle maree. Il 18 ottobre del 1997 lo studioso giapponese Shun Daichi replicava via Internet: “Schoch e West sbagliano”.

Le rovine sono state studiate anche dal professor Kimura dell’università di Ryukyu; questi si è detto sicuro che esse siano artificiali. West cerca a tutti i costi l’Atlantide in Occidente, ma noi giapponesi siamo sicuri di quanto diciamo. Abbiamo studiato dettagliatamente il primo filmato delle rovine, realizzato da un sub professionista a nome Kihachiro Artake e, d’accordo con il geologo professor Ishii, dell’università di Tokyo, abbiamo concluso che le rovine siano artificiali.”

Alla fine ha avuto ragione il giapponese. E Schoch e West hanno subito uno smacco colossale il 14 marzo 1998, allorché in Internet sono comparse le immagini, registrate dalla televisione nipponica, di una successiva spedizione subacquea, che ha messo a nudo le rovine. Tra i ruderi che i due americani hanno frettolosamente liquidato come rocce sedimentarie è spuntata una scalinata, un basamento ed una sagoma che ricorda un tempio a gradoni o una piramide di stile Maya. Altro che scogli levigati!

Il mondo accademico si è interessato alla vicenda quando, sempre nel 1997, l’équipe di oceanografi diretta dal professor Masaki Kimura, geologo dell’Università Ryukyu di Okinawa, ha analizzato i resti di un’antica civiltà nelle acque dell’isola Yonaguni. Posti al largo del Mar della Cina, nello stretto che collega il Giappone a Formosa e sommersi a 25 metri sotto il livello del mare, rappresentano per gli scopritori la testimonianza di una civiltà vissuta oltre 10.000 anni fa. Le costruzioni, di enormi dimensioni, hanno suscitato eccitazione e sgomento nella comunità archeologica internazionale.

Le caratteristiche architettoniche di quella che può essere considerata una colossale struttura, di grandezza paragonabile a quella della piramide di Cheope, sono accostabili alle costruzioni mesopotamiche chiamate Ziggurat, piramidi a gradoni, tipiche dell’area medio­orientale. In precedenza nessuno aveva fatto caso alla presenza di queste costruzioni ed il professar Kimura è stato il primo ad aver capito che la struttura non era opera della natura, bensì dell’uomo.

Teruaku Ishi, docente di geologia all’Università di Tokio, sostiene che la Piramide sommersa potrebbe risalire almeno all’ottomila a.C.. Altri studiosi la retrodatano addirittura al 12.000 a.C.; come dire, più antica delle piramidi d’Egitto.

La corrispondenza architettonica tra le strutture sommerse di Okinawa e i templi egiziani, mesopotamici e mesoamericani pone sul tavolo le argomentazioni che gli studiosi di paleoastronautica hanno sino ad oggi avanzato e che molti archeologi solo ora iniziano a prendere in considerazione: vale a dire la presenza di una civiltà planetaria molto evoluta, antecedente il diluvio, Atlantide o la leggendaria Mu, (oppure ciò che i giapponesi chiamano la mitica Onogorojima) della cui cultura pre­diluviana si trovano tracce nei monumenti megalitici sparsi un po’ ovunque nel mondo.

Il fatto che la Piramide di Ryukyu sia posta sotto il livello delle acque è un indizio consistente del fatto che la civiltà che la eresse scomparve con il diluvio.

Che il Giappone facesse parte, migliaia di anni fa, di un antico impero scomparso, era già stato ipotizzato nel 1968 da W. Raymond Drake nel suo libro Spacemen in the Ancient East, in cui il Sol Levante viene inserito all’interno dei continente di Lemuria. Drake scrive che i primi coloni del Giappone erano uomini di razza bianca, custodi della conoscenza lemuriana.

La bandiera del Sole nascente, simbolo dei Giappone, rappresenterebbe ancora il sacro simbolo di Lemuria. “Come gli lndù, i Cinesi e gli Egiziani, i Giapponesi hanno avuto ben dodici dinastie di imperatori divini ­ afferma Drake ­ che hanno regnato per 18.000 anni, suggerendo una dominazione di origine cosmica. Gli etnologi concordano sul fatto che i primi antenati dei Giapponesi erano uomini bianchi che soggiogarono gli autoctoni Ainu, oggi quasi dei tutto scomparsi, iniziando così la stirpe Yamato.

Analisi linguistiche suggeriscono che la lingua giapponese ha affinità con il babilonese”. Ciò conferma che non sono i soli monumenti a fornire le tracce di una radice culturale comune di epoca antidiluviana tra le popolazioni dell’antichità.

Le piramidi e i templi egiziani, la piattaforma del tempio di Baalbek in Libano, le fondamenta del tempio di Gerusalemme, oggi visitabili dalla parte cristiana della città sacra presentano la stesse caratteristiche, da molti ricercatori addebitabili ad una cultura antecedente il diluvio, in un periodo compreso tra il 10.000 e il 15.000 a.C.. Peculiarità incredibilmente presenti nelle mura di cinta del palazzo imperiale di Tokio, anch’esse formate da blocchi monolitici perfettamente incastrati l’uno nell’altro, come per le costruzioni inca e caratterizzate dalla medesima tecnica ingegneristica.

Guarda i filmati delle rovine
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