Le stagioni impazziscono invasione degli "alieni"

Il Giornale Online
di MAC MARGOLIS

Grande e grossa, scura e brutta, l'achatina fulica non è proprio ciò che si vorrebbe ammirare sulla spiaggia di Ipanema. Da quando ha conquistato una testa di ponte in Brasile 19 anni fa questo poco adorabile mollusco, meglio noto come lumaca di terra gigante dell'Africa, si è rivelato inarrestabile. Importato alla chetichella nel 1988 come sostituto economico delle escargot, le lumache edibili, è divenuto una piaga che affligge il più grande Paese dell'America Latina come uno strano virus: può crescere fino a raggiungere le dimensioni di un pugno umano, arriva a pesare un chilo o più, depone 2.000 uova al giorno e mangia cibo per un decimo del suo peso, divorando di tutto, dall'insalata alle feci di topo, ai suoi stessi compagni morti.

E può essere portatore della filaria dei ratti, un parassita che penetra nel cervello umano provocando la meningite. “Penetra nei giardini, si arrampica sui muri, striscia sul pavimento”, dice Silvana Thiengo, esperta di lumache della Fondazione brasiliana Osvaldo Cruz. “E l'abbiamo trovata a Copacabana!”.

La ripugnante lumacona del Brasile è solo una delle molteplici varietà di bestie e agenti patogeni che in tutto il mondo hanno abbandonato il loro habitat naturale. I biologi le chiamano “specie esotiche”, mentre il resto del mondo le chiama per ciò che sono: “bioinvasori”. Si tratta di esseri viventi di tutte le forme, dai microbi agli alberi, dalle zanzare alle manguste. In comune hanno un debole per la furtività: si spostano nel pianeta sulle ali degli uccelli migratori, annidati nei fili dei tessuti, nuotando nell'apparato circolatorio dell'uomo. I bioinvasori sono concorrenti feroci: al riparo dai predatori del loro habitat naturale prosperano nei territori vergini, monopolizzando le scorte di cibo e riproducendosi a un ritmo che fa impallidire i conigli. Una volta insediatisi in un nuovo territorio, le specie occupanti potrebbero non andarsene più.

Non c'è niente di nuovo né di catastrofico in sé nella fauna e nella flora selvatica che si spostano ed emigrano da sole. Senza questa millenaria forma di dislocazione, l'umanità non avrebbe di che nutrirsi e star bene. “Oltre il 90% delle culture, come il grano, il mais e il riso, e quasi tutte le specie di bestiame sono specie esotiche”, dice David Pimentel della Cornell University. Ma la bioinvasione ha fatto passi da gigante in un mondo sempre più senza frontiere, nel quale miliardi di persone e tonnellate di merci attraversano il pianeta nel giro di poche ore, mentre le ispezioni doganali e le quarantene sono sempre più una pura formalità. In realtà le forze stesse che rendono prospera l'economia internazionale – commercio, viaggi, trasporti e turismo – la rendono vulnerabile per le specie invadenti.

Nel corso dell'ultimo mezzo secolo il commercio globale è cresciuto di 20 volte: le navi cargo, gli aerei e i camion forniscono un passaggio gratis a un numero sterminato d'insetti e germi, in un epico subbuglio genetico che Jeffrey NcNeely del World Conservation Union, ha denominato “il grande reshuffling”, rimpasto. L'Accademia Nazionale delle Scienze ha riferito che ogni anno nei porti Usa sono intercettate 13.000 malattie delle piante. Eppure gli ispettori doganali esaminano appena il 2% dei cargo in ingresso e dei bagagli. “È il prezzo della globalizzazione”, dice Charles Perrings, economista ambientale dell'Università Statale dell'Arizona.

Qualsiasi animale o insetto nocivo, straniero o no, può essere una seccatura, ma i bioinvasori sono particolarmente dannosi. alcuni sono in grado di far fuori interi raccolti, intasare le vie d'acqua, inaridire l'ambiente lasciando strada libera a roghi e incendi spontanei. Alcuni microbi letali sono in grado di scatenare pandemie, come la mucca pazza e l'Aids. Inoltre, perfino quando non sono una minaccia diretta, le piante, gli animali e gli agenti patogeni esotici impoveriscono la natura, emarginando una serie di specie locali o creando ibridi e incroci. Un numero sempre maggiore di studiosi concorda che la bioinvasione è la più immediata minaccia alla vita sul pianeta, dopo la deforestazione e lo sviluppo a rotta di collo. “Una volta che in un sistema ci s'imbatte in una pianta o in una specie animale non originaria è molto difficile ripristinare l'habitat come era in precedenza”, dice Mark Spencer, esperto di bioinvasioni del Museo di Storia Naturale di Londra.

Secondo Pimentel, si calcola che negli Usa solo circa 50.000 bioinvasori provochino danni all'agricoltura, agli alberi e agli allevamenti di pesci per 120 miliardi di dollari. Sommando India, Regno Unito, Australia, Sudafrica e Brasile, i costi raddoppiano, arrivando a 228 miliardi di dollari. A livello globale lo scotto della bioinvasione per l'economia e l'ambiente (risultante da danni alle riserve idriche, degrado del suolo ed estinzione delle specie naturali) può raggiungere la sbalorditiva cifra di 1,4 trilioni di dollari l'anno. Se la maggioranza degli esperti ha ragione, la bioinvasione provocherà spese che potranno solo peggiorare.

Al pari di molte altre cose del mercato globale, il fardello della bioinvasione ricade in modo diverso sui vari Paesi. Il bilancio delle vittime è spesso devastante per i Paesi più poveri, dove un raccolto mancato può innescare una carestia. Gli agenti nocivi esotici più implacabili, come lo pseudococco della manioca, la macchia grigia delle foglie e l'erba strega, dimezzano da soli il raccolto dei Paesi più poveri, ponendo “una seria minaccia alla vita e alle condizioni di vita”, dice Guy Preston del programma Working for Water.

Poiché le specie esotiche hanno la tendenza a prosperare in un clima più mite, il riscaldamento del pianeta ha allargato le frontiere di tutta una serie di organismi che amano il calore. “Le specie invadenti sono di certo in vantaggio in un mondo sempre più caldo”, dice Pimentel.

Ma importare la natura può anche essere una benedizione. Una vespa parassita del Sudamerica ha contribuito a far sì che milioni di coltivatori africani potessero tenere sotto controllo lo pseudococco della manioca che devasta i raccolti, mentre l'Australia è riuscita a trasformare con successo un virus killer proveniente dalla Repubblica ceca in uno sterminatore dell'onnipresente e dilagante coniglio europeo. Spesso, però, la natura dà i suoi contraccolpi. La mangusta indiana spedita nelle Indie Occidentali per dare la caccia ai topi, ha finito col divorare tutto quello che striscia o gracchia. Una manciata di uccelli che nidificano al suolo e fino a una dozzina di rettili e anfibi sono quasi giunti all'estinzione.

In realtà il peggior lascito dei bioinvasori potrebbe essere la devastazione che implicano per qualsiasi altra forma di vita naturale. Negli Usa fino al 40% delle specie estinte è imputabile alle erbe, ai predatori o agli agenti patogeni invasori, secondo Pimentel. E liberarsi dei bioinvasori è assai problematico. Forse l'unico modo veramente sicuro per porre freno alla bioinvasione è sigillare i buchi che si allargano alle frontiere internazionali. Se le ispezioni doganali negli Usa sono poco meticolose, in buona parte del resto del mondo sono addirittura risibili. Solo nel 2005 l'India è arrivata a chiedere ai passeggeri in arrivo se trasportavano frutta, vegetali o piante, tutti importanti mezzi di trasmissione delle malattie. Ma i controlli doganali hanno pur sempre i loro limiti nell'economia globale. Grazie a severe e rigide leggi import l'Australia ha messo a punto una delle più efficaci difese contro la bioinvasione di qualsiasi altro Paese, eppure alla fine degli anni '90 gli allevatori canadesi di salmone hanno accusato l'Australia di avere normative doganali poco corrette. L'Organizzazione mondiale del commercio condivise le loro accuse costringendo l'Australia ad aprire il suo mercato, decisioni che potrebbero compromettere i regolamenti relativi alla quarantena.

E in un'epoca in cui i germi e gli agenti patogeni possono volare nei cieli e viaggiare sui mari, perfino i controlli più meticolosi alle frontiere potrebbero rivelarsi poco utili. Nella maggior parte dei Paesi le specie esotiche sono troppo ambientate per essere sradicate. Memori di ciò che diceva Ralph Waldo Emerson – “un'erba infestante è una pianta le cui virtù non sono state ancora scoperte” – alcuni studiosi stanno cercando di studiare i bioinvasori: in India un team di ricercatori sta aiutando le famiglie nelle campagne a trasformare la lantana camara, erbaccia infestante che invade i boschi, in un utile sostituto del bambù. Non tutte le specie nocive e gli agenti patogeni potranno prestarsi a un uso positivo, ma ciò non significa che gli studiosi debbano rinunciare. “Il vero problema non è arrestare la bioinvasione, ma comprenderla”, dice Perrings. In definitiva significa imparare a convivere con il nemico.

Copyright Newsweek – Repubblica Traduzione di Anna Bissanti

fonte: www.repubblica.it