Il mistero del protone si infittisce

Una misurazione del raggio del protone effettuata su atomi di idrogeno ordinario ha ottenuto un risultato più piccolo rispetto al valore ufficiale di questo parametro, confermando il valore ottenuto da un esperimento di alcuni anni fa su una forma esotica di idrogeno che aveva scosso la comunità dei fisici.

Il protone potrebbe essere realmente più piccolo di quanto si pensasse.

Esperimenti su una forma esotica di idrogeno avevano già trovato una forte discrepanza con la dimensione accettata nel 2010. Ora, le prove di un gruppo tedesco e russo indicano un valore più piccolo per la dimensione del protone anche nell’idrogeno ordinario. I risultati, pubblicati il 5 ottobre su “Science”, potrebbero essere il primo passo verso la risoluzione di un puzzle che ha indotto i fisici a dubitare delle loro misurazioni più precise, e anche delle loro più amate teorie. Ma, “prima di qualsiasi risoluzione, questo nuovo valore deve essere confermato”, dice Jan Bernauer, fisico al Massachusetts Institute of Technology a Cambridge. Se altri laboratori lo confermeranno, aggiunge, “allora potremo capire perché i vecchi esperimenti erano sbagliati, o almeno lo speriamo”.

– Un mix di tecniche

Per decenni, i fisici hanno stimato la dimensione del protone usando una di due tecniche principali. I fisici atomici usano la spettroscopia per misurare i livelli di energia degli elettroni che circondano un nucleo atomico, costituito dal singolo protone in un atomo di idrogeno o in un nucleo più grande. La dimensione del nucleo influenza quelle energie perché gli elettroni trascorrono un po’ di tempo muovendosi attraverso il nucleo mentre orbitano attorno a esso.

La camera a vuoto usata negli esperimenti al MPQ. (Cortesia MPQ)

Per contro, i fisici nucleari hanno usato una tecnica simile a quella che aveva permesso a Ernest Rutherford di scoprire i nuclei atomici, colpendo gli atomi con fasci di elettroni veloci e misurando il modo in cui rimbalzano. Con il miglioramento della precisione delle misurazioni, i risultati di entrambi i metodi si sono progressivamente avvicinati, per convergere approssimativamente su un raggio di circa 0,8768 femtometri (un milionesimo di un milionesimo di millimetro).

Ma nel 2010, un nuovo tipo di esperimento effettuato al Paul Scherrer Institut a Villigen, in Svizzera, ha rottamato il consenso su questo valore. Dopo un decennio di tentativi falliti, una collaborazione multinazionale guidata da Randolf Pohl – all’epoca al Max-Planck-Institut per l’ottica quantistica a Garching, in Germania – ha misurato le transizioni energetiche non in idrogeno ordinario, ma in idrogeno “muonico” prodotto in laboratorio. L’idrogeno muonico è formato da atomi in cui l’elettrone è sostituito da un muone, una particella simile a un elettrone per la maggior parte delle sue proprietà, ma 200 volte più massiccia. La particella più pesante passa più tempo all’interno del nucleo, il che significa che la dimensione del protone ha un effetto molto maggiore sulle energie del muone, e questo a sua volta dovrebbe portare a una stima molto più precisa del raggio del protone.

Il gruppo di Pohl aveva trovato che il protone è il quattro per cento più piccolo rispetto al valore accettato. Alcuni ricercatori avevano ipotizzato che forse qualche legge fisica sconosciuta potrebbe far sì che i muoni agiscano in modo diverso dagli elettroni. Ma questo avrebbe richiesto una revisione del modello standard della fisica delle particelle, secondo cui muoni ed elettroni sono identici sotto ogni aspetto a eccezione della loro masse, e avrebbe potuto indicare l’esistenza di particelle elementari non ancora scoperte.

– Tecnica emozionante

Nell’ultimo articolo, Pohl – ora alla Johannes Gutenberg Universität a Mainz, in Germania – e i suoi collaboratori hanno solleticato gli atomi di idrogeno (contenenti elettroni ordinari) con due diversi laser. Il primo ha mandato gli elettroni degli atomi in uno stato eccitato, e il secondo li ha portati a un’eccitazione ancora superiore. Il gruppo ha poi rilevato i fotoni rilasciati dagli atomi quando questi elettroni sono tornati a stati di eccitazione di bassa energia.

Il gruppo ha combinato questi dati con una precedente misurazione ad alta precisione per calcolare la costante di Rydberg, che esprime l’energia necessaria per strappare l’elettrone dall’atomo di idrogeno. La teoria standard ha permesso poi ai ricercatori di calcolare il raggio del protone da questa costante. Il valore che hanno trovato è coerente con la misurazione dell’idrogeno muonico e il 5 per cento più piccolo del raggio protonico “ufficiale”.

Un’altra immagine delle apparecchiature usate per la misurazione delle dimensioni del protone. (Cortesia Randolf Pohl/MPI of Quantum Optics)

Per assicurarsi di aver eliminato effetti sperimentali spuri, il gruppo ha trascorso tre anni ad analizzare i dati, afferma Lothar Maisenbacher, coautore dell’articolo e fisico atomico al MPQ. Bernauer, che lavora alla tecnica di scattering (diffusione) elettrone-protone, è impressionato. “È un grande esperimento”, dice. “Penso che abbiano davvero fatto avanzare il loro campo”. L’attenzione che hanno posto in questo lavoro è “impressionante” e rende la loro misurazione più affidabile di molte altre, spiega Krzysztof Pachucki, fisico teorico all’Università di Varsavia che fa parte del gruppo di lavoro del Committee on Data for Science and Technology (CODATA).

CODATA, l’agenzia internazionale che pubblica i valori più affidabili delle costanti fondamentali, sta esaminando l’esperimento di Mainz. “Prenderemo questo risultato molto seriamente”, afferma Pachucki. L’anno prossimo il comitato dovrà rivedere il manuale “ufficiale” delle costanti universali della natura. A causa di questo esperimento, CODATA “probabilmente” cambierà i propri valori per il raggio protonico e per la costante di Rydberg, dice.

– Servono più prove

Ma il gruppo tedesco-russo non è ancora pronto a sostenere che il puzzle è stato risolto, dice Maisenbacher. “Non abbiamo identificato alcun motivo concreto perché le altre misure non debbano essere corrette”, afferma. “Vorremmo vedere più esperimenti effettuati da altre persone”. Un certo numero di gruppi di ricerca in tutto il mondo sta facendo proprio questo. Bernauer è interessato, per esempio, ai risultati degli esperimenti di spettroscopia effettuati alla York University di Toronto, in Canada. Se anche la loro misurazione darà un valore piccolo, “inizierò a credere che i vecchi dati abbiano un problema”, dice Bernauer. Ma resterebbe ancora aperta la questione relativa ai risultati sullo scattering protone-elettrone.

In questi esperimenti, i ricercatori hanno convenzionalmente usato elettroni che hanno una gamma di energie diverse. La stima della dimensione del protone richiede un’estrapolazione fino a una situazione ideale con elettroni a energia zero.

Di recente Ashot Gasparian – esperto in fisica delle particelle e fisica nucleare alla North Carolina A&T State University a Greensboro – e la sua squadra hanno effettuato un esperimento alla Thomas Jefferson National Accelerator Facility a Newport News, in Virginia. Hanno iniettato un gas freddo di idrogeno direttamente nell’acceleratore di elettroni invece di bombardare l’idrogeno liquido conservato in una scatola di plastica, come fatto n precedenza. Questa tecnica ha permesso di eliminare alcune incertezze sperimentali e anche di usare elettroni con energie inferiori rispetto a prima. In linea di principio, questo potrebbe rivelare se e dove sbagliassero le precedenti estrapolazioni. Al momento stanno analizzando i loro dati e si spera che i risultati siano disponibili il prossimo anno. “Il pallino è nella nostre mani”, dice Gasparian.

Davide Castelvecchi

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Nature il 5 ottobre 2017. Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.)

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