Multiverso?


La radiazione cosmica di fondo ripresa da WMAP. (Cortesia: NASA)

Indizi di altri universi dalla radiazione di fondo
di Ginevra Sanvitale

Prima o poi, nella vita, tutti alzano gli occhi al cielo durante una notte particolarmente limpida e rimangono affascinati e interdetti di fronte all’idea della grandezza dell’universo. E si chiedono: “E se ce ne fosse più di uno?”. Ebbene, l’ipotesi che esista un multiverso, ovvero un insieme di universi alternativi al nostro, è un utile complemento alla teoria dell’inflazione.
Secondo questa teoria, negli istanti successivi al Big Bang ci sarebbe stata un’espansione esponenziale di quello che era l’embrione del nostro universo attuale: l’inflazione, appunto. Tuttavia a due interrogativi non è ancora stata data risposta: che cosa l’ha innescata e che cosa l’ha fermata? Dunque l’eventualità che ci siano state altre inflazioni in diversi luoghi e momenti e che abbiano generato altri universi è una possibilità affascinante e da esplorare.
La cosmologa Hiranya Peiris, dell’University College di Londra, e i suoi colleghi hanno pubblicato uno studio http://arxiv.org/abs/1012.1995 su arXiv che potrebbe portare a qualche passo avanti nella dimostrazione che la teoria del multiverso è fondata. Il gruppo di ricercatori ha deciso di analizzare la radiazione cosmica di fondo (CMB) per cercare indizi a sostegno dell’esistenza di altri universi: infatti, qualora esistessero e avessero in qualche modo interagito con il nostro, potrebbero aver lasciato delle impronte nella CMB.

Per cercare i segni di questa ipotetica interazione è stato creato un algoritmo che analizza i dati sulla radiazione di fondo raccolti dal Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (WMAP), della NASA. E sembra che qualcosa sia stato trovato: dai dati analizzati emergono forme e regolarità interpretabili come indizi di un’interazione fra un altro universo e il nostro… prima del Big Bang. Solo indizi, per ora, perché le prove potrebbero emergere solo da immagini a risoluzione più elevata, come quelle raccolte da Planck, dell’ESA.
Bisogna dunque rimanere con i piedi per terra. Quelle trovate sono solo piccole tracce e sarà necessario attendere di possedere dati più precisi per gridare davvero “Eureka!”. Inoltre, dato lo schema quasi casuale della CMB, è facile cadere vittima di osservazioni a posteriori e vedervi dentro ciò che si vuole vedere, sebbene l’algoritmo di Peiris sia stato calibrato in modo da minimizzare questo tipo errore. Nel frattempo abbiamo comunque un’idea in più da cui farci affascinare.

Fonte: http://www.stukhtra.it/?p=4532