Nanocibo: siamo circondati dalle nanoparticelle

Il Giornale Online
di Dario Muzzarini – 18/02/2008

Dall' allarme di alcuni illustri ricercatori alla pratica: il passo non solo è breve, ma è già stato compiuto.

Nell'ormai lontano 1959 Richard Feynman, in occasione di una conferenza, parlò della possibilità dell'uomo di modificare la materia a livello atomico, ipotizzando che in un futuro più o meno vicino sarebbe stato possibile realizzare oggetti infinitesimamente piccoli.

Dopo neppure cinquant'anni di enormi progressi in campo scientifico, questa mera ipotesi teorica sta raggiungendo reali applicazioni in diversi campi, dall'agricoltura, alla sanità, alle telecomunicazioni.

Ciò che in realtà stupisce non è solo il carattere estremamente “spettacolare” racchiuso nella semi-acquisita capacità umana di creare artificialmente strutture composte da pochi atomi (come ad esempio i nano tubi utilizzati nell'elettronica), quanto piuttosto la silente diffusione di queste tecnologie in ambiti non “sospetti”. Se infatti risulta facile da comprendere – e tuttavia approssimativamente accettabile – l'utilizzo di nanotecnologie per l'innovazione dei materiali, ben diverso e sicuramente meno rassicurante ne risulta l'impiego in comparti relativi all'alimentazione umana, soprattutto alla luce degli avvertimenti che alcuni ricercatori, seppur a fatica, cercano di portare all'attenzione del grande pubblico; primo fra tutti in Italia Stefano Montanari, il quale, basandosi anche sul lavoro di altri ricercatori, sostiene che le nano particelle inorganiche (inalate o ingerite dall'uomo) siano responsabili di numerose patologie ( nanopatologie).

Sicuramente il dibattito scientifico proseguirà a lungo in questo senso; tuttavia, nell'attesa e nella speranza di avere informazioni precise e adeguate al riguardo, ognuno di noi dovrebbe perlomeno poter avere facoltà di scelta se evitare o meno, per quanto possibile, il contatto con le nano particelle. D'accordo sul fatto che sia praticamente impossibile sottrarsi al particolato presente nell'atmosfera, se non intervenendo alla fonte per ridurne la concentrazione, sicuramente è diritto di ogni individuo scegliere se nei propri alimenti e nei prodotti cosmetici che acquista debbano esserci o meno questi elementi: aspetto tutt'altro che trascurabile, in quanto è sufficiente una breve ricerca su internet per rendersi conto di come l'impiego di nano particelle stia rapidamente prendendo il largo nel comparto alimentare.

Secondo quanto riportato su venetonanotech, l'utilizzo delle nanotecnologie impatta già oggi in vario modo sull'alimentazione umana: dal packaging degli alimenti, che prevede l'utilizzo di nanoparticelle (ad esempio alcune confezioni dei panini di Mc Donald), all'utilizzo di emulsionanti arricchiti attraverso nanotecnologie per dare ai gelati con una ridotta quantità di grassi il sapore e la conformazione di un gelato normale. Altro esempio insospettabile è il cioccolato comunemente consumato dalle famiglie, come spiega in un articolo del suo blog il dott. Montanari : “l'inserimento di nanoparticelle di biossido di titanio in certi tipi di cioccolato, ad esempio, evita che il cacao si separi dal burro di cacao con l'andare del tempo, risparmiando allo schizzinoso consumatore quella antiestetica patina bianca che fa poco appetibile il prodotto”.

A proposito dell'assunzione di biossido di titanio non è ancora accertato se sia neutrale o ininfluente rispetto alla salute umana, tuttavia il consumatore che vuole garantirsi la massima qualità di “ciò che mangia” non può scegliere: questa specificazione non è infatti dichiarata nell'etichetta dei prodotti.

A livello teorico sembra abbastanza semplice e logico che ogni consumatore abbia il diritto di sapere di cosa si nutre e di poter scegliere cosa, secondo lui, sia meglio per la propria salute e di discriminare, se lo ritiene opportuno, alimenti sofisticati che contengano nano particelle inorganiche il cui solo nome fa passare l'appetito, anche se non esiste comune accordo sui reali rischi sulla salute umana.

I Nanofood (l'insieme di quelle tecniche o apparecchi che usano la nanotecnologia durante le fasi di coltivazione, produzione, lavorazione, o imballaggio del cibo) sono quindi già diffusi e quotidianamente ogni consumatore può trovarcisi inconsapevolmente di fronte. Tuttavia, il mercato esalta l'impiego delle nanotecnologie in settori come le telecomunicazioni o la ricerca medica, mentre tace sulle presenti applicazioni in campo alimentare. In questo senso, il dott. Montanari osserva: “La paura di distruggere un mercato remunerativo e in crescita come quello del cosiddetto Nanofood consiglia al produttore di non informare il consumatore”

La percezione di un rischio non verificato, in quanto non dimostrato scientificamente, può causare pesanti ricadute a livello commerciale, come già avviene con gli ogm. L'occultamento di questa possibilità, tuttavia, non rischia solo di ledere alla salute dei consumatori, ma intacca anche il fondamentale diritto ad essere informati di rischi e virtù di ogni alimento che acquista sul mercato. Se la legge non è in grado di imporre quest'obbligo, forse le imprese stesse che per scelta stabiliscono di non avvalersi di nano particelle inorganiche per i loro prodotti, potrebbero preoccuparsi di comunicarlo adeguatamente ai consumatori, traendo presumibilmente anche un vantaggio sul mercato rispetto ai concorrenti meno trasparenti, un po' come avviene per il “biologico”.

fonte:www.ariannaeditrice.it