Nirvana – Trascendere vita, morte e rinascita

L’”estinguersi della fiamma [di un lume] per esaurimento del combustibile”. Può essere accaduto a tutti di osservare una candela mentre sta finendo di bruciare nella cavità di un candeliere, notando come la cera disciolta si prosciughi lentamente finché anche lo stoppino, adagiato sul fondo, consuma se stesso e si riduce a lieve cenere bianca. Da questa comunissima esperienza viene forse il maggiore sprazzo di luce su una delle nozioni più sfuggenti tra quelle condivise da tutte le scuole in cui si è diversificato, in venticinque secoli di evoluzione, il buddhismo: l’insostituibile concetto di nirvana.

Infatti gli studiosi, concordi sulla prima parte del termine (nir è una particella negativa) disputano da tempo senza accordarsi sul significato della radice sanscrita da cui discenderebbe la seconda e più sostanziale parte del composto. Non parrà quindi scorretto far ricorso a una metafora, presente nei testi antichi, per cercare un accesso intuitivo a questa idea che nella dottrina buddhista assolve a quella medesima funzione che, in altri contesti religiosi, è demandata alla beatitudine ultraterrena, alla condizione paradisiaca.

È bene infatti tenere presente che, nel comparare le differenti vie spirituali, soltanto di rado si incontrano idee direttamente confrontabili e, quando ciò accade, le analogie che si possono istituire sono spesso lecite perché gruppi di dottrine hanno compiuto storicamente dei tratti di cammino comune, oppure derivano da un medesimo ceppo di credenze. Così, mentre è facile accostare, per similitudine e differenza, la nozione islamica di paradiso a quella cristiana, per ritrovare nel buddhismo qualcosa di omologo alla condizione di beatitudine dei redenti cristiani o islamici nell’aldilà è giocoforza rivolgersi alla nozione di nirvana. Infatti una grande cesura tra questi blocchi di tradizioni spirituali si pone già per la diversa concezione dell’esistenza e della morte.

Nell’universo induista (ma anche buddhista, giainista, bon ecc.) fondato sulla credenza in un incessante susseguirsi di morti e di rinascite a nuove esistenze (samsara), determinate dalla qualità meritoria o peccaminosa delle azioni compiute nelle vite antecedenti (legge del karma), il principio vitale (che non è un’anima intesa come sostanza individuale) troverà scampo e sollievo (essendo ogni esistenza segnata ineludibilmente dalla sofferenza) soltanto in una liberazione definitiva dal ciclo delle esistenze nel suo complesso. Ed è appunto per indicare questo stadio di ottenuta liberazione che è stato introdotto il termine nirvana. Per marcare più nettamente la fondamentale diversità d’impianto della dottrina buddhista dalle tradizioni religiose meglio note in Occidente occorre anche sottolineare che alcune forme di buddhismo, ad esempio quella tibetana, prevedono delle dimensioni di esistenza apparentemente molto simili a quella paradisiaca, almeno per qualche aspetto.
Tra le sei condizioni di esistenza in cui è possibile rinascere (come animali, uomini, spiriti affamati vaganti, spiriti purganti, dèi e anti-dèi), è inclusa la sfera delle divinità beate, potenti reggitrici del mondo fenomenico, la quale potrebbe parere di per sé desiderabile e gratificante. Ma anche l’esistenza divina, in realtà, è soggetta alla legge cosmica dell’impermanenza ed è perciò destinata ad avere fine e a ricondurre al ciclo delle innumerevoli rinascite. E inoltre è penalizzata, perché soltanto a partire dalla condizione umana si può accedere alla liberazione dall’anello senza fine di nascita e morte, giungendo appunto al nirvana attraverso la dottrina del Buddha, le pratiche meritorie e l’illuminazione.

Per questi buddhisti la vita celeste appartiene quindi al mondo delle esistenze condizionate e la beatitudine che vi si gode è solo falsamente corrispondente a quella paradisiaca, definitiva, di altre tradizioni.

Un altro falso analogo del paradiso cristiano, presente in parecchie forme di buddhismo popolare (tra cui quelle tibetane e giapponesi), sono le cosiddette “terre pure” dei bodhisattva (entità trascendenti soccorrevoli), per le quali è stata usata talvolta, traducendo, la designazione ingannevole di “paradiso”. La più nota è il cosiddetto “Paradiso Occidentale” di Amida (giapponese per Amitabha). Esse vengono indebitamente localizzate come isole o continenti ultramondani, ma più esattamente si tratta di condizioni di coscienza nelle quali, grazie al soccorso misericordioso dei bodhisattva, rinasceranno i devoti che li hanno fiduciosamente invocati. In tali “terre pure” i fedeli, al riparo da ogni negatività, riceveranno gli insegnamenti buddhisti e conseguiranno l’illuminazione.

Quanto dunque nella tradizione buddhista parrebbe più simile alla vita divina e paradisiaca non è in alcun modo qualificabile come l’obiettivo finale del percorso spirituale, il quale è invece il nirvana, termine con cui s’intende sinteticamente il trascendimento di vita, morte e rinascita, al di là sia di situazioni dolorose sia di stati di felicità. Tuttavia non si deve compiere l’errore di interpretare il nirvana in termini nichilistici, come annullamento di ogni condizione determinata e quindi dissoluzione nel nulla. Riandando infatti alla nostra metafora iniziale, che parrebbe condurre in questa direzione, occorre ricordare che, per la fisica indiana antica, il fuoco non si esaurisce ma, finita la combustione dello stoppino, torna alla sua “sede” che è l’etere, dalla quale è potenzialmente in grado di riappiccarsi a qualunque combustibile.

Siccome il Buddha rispose con il silenzio alle domande circa la natura del nirvana, la tradizione lo considera un’esperienza finale che può essere vissuta, ma non descritta concettualmente in modo adeguato, poiché le parole risentono dei limiti dell’esistenza fenomenica. Le fonti ne disegnano un sommario profilo in sequenze di negazioni, come questa: “O monaci, vi è una sede dove non esiste né terra, né acqua, né fuoco, né aria, né percezione, né questo mondo, né l’altro, né sole, né luna. Io affermo, o monaci, che in essa non c’è venuta, né andata, né immobilità, né morte, né nascita. È qualche cosa di non fisso, che non diviene, che non ha sostegno. È la fine della sofferenza.”

In assenza di una definizione canonica, le diverse scuole hanno disputato lungamente e con grande sottigliezza in proposito. Tra le caratterizzazioni che ne sono state date può essere utile la distinzione tra un nirvana che viene realizzato già prima della morte, in questa stessa esistenza sottoposta al condizionamento, e un nirvana senza residui (parinirvana) che sarà raggiunto solo con la morte. Già nel primo, affermano le scuole antiche, vi è il completo superamento delle tre “radici nocive” (attaccamento, avversione, illusione) e il dissolversi delle formazioni mentali che vincolano l’uomo alla realtà dell’esperienza comune. Conseguito in questa vita mediante l’illuminazione (bodhi), il nirvana, o comunque si voglia chiamare il frutto del “risveglio” buddista, costituisce una trasformazione totale, definitiva, e non più reversibile della condizione dell’uomo e, specularmente, della condizione stessa del mondo.

Grazie all’illuminazione realizzata, l’esperienza del Vuoto (shunyata) trascendente al di là di affermazione e negazione (che è l’Assoluto in termini buddhisti) si fa globale e unitaria e diviene allora totalmente inappropriato mantenere le antecedenti distinzioni, anche quelle didatticamente utili lungo il precedente cammino, anche quelle in apparenza più fondamentali e infine anche quella tra l’esistenza condizionata (samsara) e il nirvana medesimo. Per questo in molte scuole (chan e zen, ad esempio) si può incontrare la sorprendente affermazione che, alla fine del percorso (e quindi in realtà!), non vi è alcuna differenza essenziale tra samsara e nirvana, anzi che il samsara è il nirvana.

Di Gianfranco Bonola [ricercatore in discipline storico religiose dell'Università di Bologna, si occupa soprattutto di esegesi biblica in età illuministica e di pensiero religioso ebraico del XX° sec. (Rosenzweig, Benjamin, Scholem). Nella pratica spirituale buddhista è allievo del maestro Engaku Taino della tradizione zen Rinzai]

Fonte: http://www.gianfrancobertagni.it

Fonte: http://www.lamentemente.com/2009/03/10/nirvana-trascendere-vita-morte-e-rinascita/