Non è il Giove che conoscevamo

Non è il Giove che conoscevamo
La possibile struttura e i moti convettivi di Giove, dal nucleo all’atmosfera, in base ai dati raccolti da Juno. È indicato anche un possibile nucleo roccioso, avvolto da idrogeno metallico (in blu) e da uno strato più esterno di idrogeno molecolare (in marrone). Crediti: Nasa / Jpl-Caltech / SwRI

Cicloni che sfiorano i 1400 km di diametro, un campo magnetico d’intensità oltre ogni aspettativa, un nucleo che potrebbe non essere solido: Giove sta sorprendendo gli scienziati. Ne parliamo con Alberto Adriani, responsabile dello strumento Jiram, in queste ore a San Antonio (Texas) per la conferenza stampa internazionale sui primi risultati scientifici della missione Juno. Dopo la poesia, i numeri. Dopo le spettacolari immagini dei primi flyby, dopo i patimenti e le gioie per le condizioni della sonda (costretta a lavorare in un ambiente proibitivo), dopo le modifiche in corsa dei piani di volo per garantirne la durata fino alla fine, ecco finalmente arrivare sulle pagine di Science e di Geophysical Research Letters i primi – attesissimi – risultati scientifici della missione Juno. Presentati al mondo in questi istanti durante una conferenza stampa della Nasa, sono risultati destinati a incidere a lungo sulla nostra comprensione di Giove. Dai due studi pubblicati su Science, firmati fra gli altri anche da tre ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica (Alberto Adriani, Davide Grassi e Alessandro Mura, tutti e tre in forze allo Iaps di Roma) emerge infatti un ritratto del gigante del Sistema solare per molti aspetti inatteso.

Dai voli radenti a 5000 km al di sopra delle nubi, il primo dei due articoli, dedicato all’interno di Giove e alle regioni più profonde della sua atmosfera, evidenzia gli scenari caotici rilevati nelle zone polari. Ci sono enormi cicloni il cui diametro che può arrivare fino a 1400 km. E un campo magnetico la cui intensità, pari a circa 7.77 Gauss (oltre dieci volte il campo magnetico terrestre), è molto superiore a quanto previsto dai modelli. Il secondo articolo è invece dedicato alla magnetosfera e al fenomeno delle aurore, ed è basato sui dati raccolti dal 24 giugno 2016, quando Juno ha incontrato l’onda d’urto – il cosiddetto bow shock – del pianeta.

Cruciali per entrambi gli studi le informazioni collezionate dallo strumento Jiram – il Jupiter Infrared Auroral Map, uno spettrografo infrarosso finanziato dall’Agenzia spaziale italiana, realizzato da Finmeccanica e gestito sotto la responsabilità scientifica gestito sotto la responsabilità dell’Istituto per l’astrofisica spaziale e la planetologia (Iaps) dell’Istituto nazionale di astrofisica, in particolare di Alberto Adriani, principal investigator dello strumento, anch’egli in questi giorni negli Stati Uniti, al Southwest Research Institute di San Antonio (Texas), dove lo abbiamo raggiunto per farci raccontare un po’ più in dettaglio questi risultati.

giove
Immagini dei due poli ottenute dalla sonda Juno. Crediti: J.E.P. Connerney et al., Science (2017)

Adriani, in questi mesi Jiram, lo strumento “italiano” a bordo della sonda Nasa Juno, ci ha restituito immagini stupende delle aurore di Giove. Ora apprendiamo che vi ha anche fatto scoprire qualcosa di nuovo. Che cosa?

«Una delle nuove scoperte sono i poli di Giove. Prima di Juno nessuna missione spaziale od osservatorio terrestre era stato in grado di osservate la struttura dei poli gioviani, che sono coperti di vortici di numero diverso tra nord e sud. Otto cicloni circondano il vortice polare (anch’esso un ciclone) del nord e cinque cicloni circondano il vortice polare sud (anch’esso un ciclone). Questo è stato osservato la prima volta durante il quarto passaggio di Juno al pianeta, che è stato in febbraio. Osservazioni successive sui poli sono state effettuate durante i passaggi di aprile e maggio. Si supponeva che i poli potessero somigliare a quelli di Saturno, osservati da Cassini, ma la realtà si è rivelata completamente diversa».

In che senso?

«Quando Juno è partita, il mondo scientifico aveva certe aspettative, certe idee, su quello che avrebbe potuto trovare. Le ipotesi su Giove erano basate sulle conoscenze degli altri pianeti. Invece si sta capendo adesso che molte di quelle ipotesi erano sbagliate, e la realtà che ci si sta presentando è spesso molto diversa da quella attesa».

Ma cosa sappiamo oggi, di Giove, che non sapevamo un anno fa? Quali sono, per ora, i risultati secondo lei più rilevanti della sonda Juno?

«La missione Juno ha un’orbita polare e si prefigge di fare una mappatura dell’intero pianeta volando vicino a esso per ben 34 volte ma sondando diverse longitudini. La nuova visione di Giove si sta quindi formando pian piano: ogni volta che la sonda passa vicino al pianeta aggiunge un tassello di conoscenza. La struttura interna di Giove, per esempio, si era pensata in modo diverso. Si ipotizzava il pianeta più simile alla Terra, con un nucleo solido roccioso, ma i primi riscontri danno un’indicazione diversa. Il nucleo, se c’è (ci attende ancora molto lavoro nell’interpretazione dei dati), sembrerebbe non proprio solido. All’interno del pianeta ci sono moti non previsti, Giove appare più dinamico di quanto aspettato. E anche sotto le nubi il pianeta sembra, di fatto, piuttosto diverso da come si poteva supporre. Infine, al di fuori, la magnetosfera non è esattamente come s’immaginava, sia nella struttura sia nell’interazione col pianeta, e cioè la formazione delle aurore».

Jiram, il Jovian InfraRed Auroral Mapper su Juno, è dotato di una camera fotografica che lavora a lunghezze d’onda intorno ai 5 μm. Durante il sesto passaggio di Juno vicino al pianeta, Jiram ha preso diverse immagini che sono disposte nella mappa mostrata nell’immagine. Tale mappa rappresenta la radiazione termica emessa dal pianeta: il giallo pallido significa caldo, mentre il rosso indica le regioni fredde, coperte da nubi spesse che impediscono al calore proveniente dalle zone più interne del pianeta di essere disperso verso lo spazio. Jiram è in grado di raggiungere una risoluzione spaziale senza precedenti che, nel caso di questa immagine, è di circa 50 km. La mappa si estende da 0° a 70° N latitudine e da 10° E a 100° E longitudine.

Torniamo a Jiram. Dal punto di vista della funzionalità, come si sta comportando lo strumento? Risponde bene, è all’altezza delle vostre aspettative?

«Lo strumento funziona piuttosto bene, nonostante il fortissimo stress ambientale che subisce a causa dell’intenso bombardamento di particelle energetiche ogni volta che ci sia avvicina al pianeta».

E ora, nei mesi a venire, che novità si attende?

«Abbiamo un passaggio ogni 53 giorni, ma è difficile dire quali novità, non saprei cosa aspettarmi. L’unica cosa certa è che un giorno Jiram smetterà di funzionare. Finora abbiamo potuto verificare che molto spesso le aspettative sono state deluse, e altre sorprendenti realtà si sono presentate. Continuiamo comunque a monitorare l’atmosfera e le aurore gioviane per aggiungere conoscenza ed informazione a quello che abbiamo scoperto finora. L’atmosfera di Giove e la sua aurora sono entità molto complesse, e c’è ancora molto da imparare».

Marco Malaspina

media.inaf.it