Percezione dermo-ottica: un caso clinico

Il Giornale Online
(nella foto il Prof. Leonardo Ancona)
Estratto dello studio pubblicato su:
“Archivio di Psicologia Neurologia e Psichiatria”
Università Cattolica Sacro Cuore – Roma

di L. Ancona e A. Bellagamba

Questa ricerca riguarda un fenomeno conosciuto sotto il nome di “percezione dermo-ottica” (PDO) in riferimento alla natura dell'operazione secondo cui si svolge: essa consiste nella capacità di vedere luci, colori, scritti senza l'ausilio della vista mediante la cute di una parte del corpo, a contatto diretto o a distanza. Il fenomeno della percezione dermo-ottica nel campo umano appare come un evento sorprendente che suscita contemporaneamente interesse e critiche, apparendo come una sfida da affrontarsi in termini di fisica, di ottica, di istologia e di neurofisiologia.

È facile comprendere il carattere di sfida di un evento che risulta così insolito e raro, in quanto esce dagli schemi normali della percezione e che difficilmente consente, proprio per la sua rarità, uno studio sistematico. I primi riferimenti alla PDO risalgono al 1808 con alcuni casi studiati e riferiti da un medico francese, L. Pètetin, riguardanti alcune donne isteriche che in speciali condizioni psicofisiche avevano percezioni di tipo visivo a livello epigastrico, delle dita e delle piante dei piedi.

Analogamente un medico italiano, C. Angoloa, riferì nel 1820 di una ragazza di 14 anni nella quale, durante una crisi di sonnambulismo, i sensi della vista e dell'udito sembravano trasferirsi alla regione epigastrica. Su questa linea si inseriscono i fenomeni riscontrati da C. Lombroso nel 1882 su di una ragazza di 14 anni che, dopo gravi turbe all'epoca puberale, durante crisi definite sonnambuliche, “mentre perdeva la visione degli occhi, vedeva con lo stesso grado di acutezza alla punta del naso e del lobulo dell'orecchio sinistro”.

Nel 1921 L. Farigoule prospettò addirittura una teoria su tale fenomeno, secondo la quale le visione epidermica sarebbe virtualmente presente nell'uomo, poiché gli organi primitivi e rudimentali che negli animali inferioriservono alla visione attraverso la pelle non sarebbero radicalmente scomparsi; semplicemente tale funzione, diventata inutile data la presenza di organi specializzati per la vista, sarebbe messa in disparte ma suscettibile di attivarsi nuovamente in talune circostanze sia spontanee, sia provocate o ricercate.

Gli esperimenti di Farigoule si riferivano a persone poste in uno speciale stato di ricettività suggestiva che potevano, dopo vari tentativi, vedere con la pelle e nelle quali questa capacità era condizionata dalla presenza-assenza di luce nell'ambiente, disunendo e cessando con il diminuire ed il cessare dell'illuminazione. In tempi più vicini la psicologia russa ha ripreso ad interessarsi del fenomeno in questione lungo una duplice linea di studio; da una parte cercando di indurre con tecniche di apprendimento e di condizionamento la comparsa di questa capacità su un certo numero di soggetti così detti “normali” (Leontiev, 1952), dall'altra studiando i rari casi in cui tale sorprendente fenomeno era apparso spontaneamente (Nyuberg, 1964; Golberg, 1963).

Questi due ultimi studiosi esaminarono il caso di una donna che poteva discriminare tra di loro, senza guardarli, oggetti di carta o plastica di differente colore e stabilirono che poteva distinguere la luminosità della luce ambientale con le dita della mano sinistra ovvero, dopo uno speciale allenamento, discriminare con le dita dei piedi tra colore bianco e nero. Contemporaneamente nel 1963 R. P. Youtz negli USA comunicava che un suo soggetto poteva distinguere tra loro oggetti colorati ed identificare nonché nominare i colori quando gli venivano presentati alla cieca, con una significatività di risultati al livello di 0,001.

Lo stesso Youtz presentò a 133 ragazze del Barnard College quadrati di plastica diversamente colorati; posti tali quadrati in una scatola dove non fosse possibile guardare, i soggetti erano in grado di discriminare tra rosso e bianco, bleu e bianco, rosso e bleu, identificando il quadrato dispari tra una coppia di altri quadrati dello stesso colore; e ciò con una frequenza più elevata della media, molti ad un livello di significatività dello 0,001.

Infine, dopo le conferme di Bucknout (1965) e Makous (1966), Zavala (1967) nel confronto tra un soggetto dotato di tale insolita capacità sensoriale e tre soggetti normali di controllo verificavano che il soggetto sperimentale riusciva a discriminare i colori presentati, il numero ed il tipo dei semi delle carte da giuoco e le luci proiettate con una frequenza nettamente superiore a quella casuale dei soggetti di controllo. In riferimento alla letteratura sovrariportata si può pertanto affermare, con ragionevole sicurezza, che il fenomeno della visione con le dita è reale e che l'aspro scetticismo avanzato a suo tempo da Gardner (1966) non si è dimostrato consistente.

Queste critiche hanno avuto tuttavia l'effetto di stimolare l'adozione di metodi più rigorosi di ricerca, di precisi controlli e di ripetizioni delle prove in diversi contesti sperimentali. Sarà opportuno un rilievo a tale riguardo: nella quasi generalità nella letteratura riportata si fa riferimento alla visione con le dita considerando la discriminazione cromatica piuttosto che la vera e propria capacità di “vedere con le dita a livello simbolico”, come si ha nella lettura.

Soltanto nei due casi riferiti rispettivamente da Angoloa e da Lombroso era possibile la lettura di caratteri stampati e di una lettera, ma si trattava di capacità che entrambe le situazioni comparivano solo durante stati psicofisici particolari, con caratteristiche molto simili alle crisi di sonnambulismo. Evidentemente i soggetti studiati nelle altre ricerche fornivano soltanto. O prevalentemente, un tipo di prestazione limitato alla discriminazione cromatica. All'opposto, nel caso da noi studiato, il fenomeno saliente era rappresentato dalla “lettura con le dita” mentre il soggetto si trovava in condizioni psicofisiche normali.

Fonte: www.coscienza.org