Pianeta perduto

Il Giornale Onlinedi Valentina Murelli

Dal gorilla al narciso. Dagli squali del Mediterraneo al legno di rosa. Il 40 per cento delle specie animali e vegetali è a rischio. Colpa dell'inquinamento, del global warming e dell'opera distruttiva dell'uomo

Un uccello su otto, un mammifero su quattro, un anfibio su tre: il 40 per cento delle specie animali è a rischio. A tenere il conto è l'ultima lista rossa della World Conservation Union (Iucn), che elenca le specie in pericolo all'interno di un campione selezionato di circa 40 mila animali e 12 mila vegetali. Colpa di perdita di habitat naturali, inquinamento, introduzione di specie aliene che scalzano quelle native. E dei cambiamenti climatici: secondo uno studio pubblicato su 'Nature', basterebbe uno scenario di moderato riscaldamento globale per avviare verso l'estinzione dal 15 al 37 per cento delle specie del pianeta entro il 2050.

Insomma, l'allarme è epocale: “In passato ci sono state cinque grandi estinzioni di massa, come quella dei dinosauri. Ora siamo di fronte alla sesta, che ha un ritmo mille volte superiore a quelle precedenti”, afferma Marcello Buiatti, docente di Genetica all'Università di Firenze.

Così, negli ultimi anni, per esempio, si sono estinte 30 delle 113 specie di rane arlecchino dell'America centrale. Altre specie sono in difficoltà in Australia, negli Stati Uniti, in Africa e in Europa. Nel 2007 sono entrati per la prima volta nella lista rossa i coralli, con alcune specie delle isole Galapagos. Nuovo ingresso anche per diversi rettili messicani e nordamericani e per vari avvoltoi africani e asiatici colpiti sia dalla carenza di cibo, dovuta a una drastica riduzione delle prede abituali, sia dai veleni con cui gli allevatori cospargono le carcasse di animali lasciate sui pascoli per uccidere predatori di bestiame come iene e sciacalli, ma che sono divorate anche dagli avvoltoi.

E a ferire di più il nostro immaginario è il declino delle grandi scimmie antropomorfe, come i gorilla occidentali di pianura (ridotti del 60 per cento negli ultimi 20 anni dalla caccia e dal virus ebola), gli scimpanzé e gli oranghi del Borneo, confinati in fazzoletti sempre più piccoli di foresta.

In Europa, nonostante i proclami dei paesi membri e le direttive dell'Unione, la situazione non è certo più incoraggiante: un mammifero su sei, per esempio, è seriamente minacciato di estinzione. E spariscono animali come il visone europeo, la volpe artica, la lince iberica e la foca monaca, di cui rimangono rispettivamente solo 150 e 400 esemplari. Non solo: “La situazione è drammatica per la fauna ittica d'acqua dolce”, rivela Luigi Boitani, docente di Biologia della conservazione all'Università di Roma La Sapienza. Secondo la Iucn, 200 delle 522 specie di pesci d'acqua dolce in Europa sono in pericolo: l'anguilla come varie trote autoctone distrutte dall'introduzione di varietà commerciali. Colpa della diminuzione delle riserve d'acqua, dell'inquinamento, della costruzione di dighe, e dell'introduzione di specie aliene. Nei nostri mari, poi, si scopre che il 42 per cento degli squali e delle razze del Mediterraneo è a rischio per colpa della pesca.

L'ogcocephalus delle Cocco Island
E non va meglio per le piante, soprattutto nelle foreste equatoriali e tropicali, distrutte al ritmo di qualche migliaio di campi da calcio al giorno per far posto a colture intensive. Nel 2007 è stata dichiarata estinta la Begonia eiromischa della Malesia, ma in grave difficoltà sono anche il legno di rosa e varie specie di mogano. Anche nella regione europea perdiamo piante molto amate: narcisi, orchidee, gigliacee, peonie. “E questo non per colpa dell'agricoltura, ma dell'abbandono dei campi. In alcuni casi più fortunati, la foresta si riprende il territorio da cui era stata cacciata. In altri, invece, i terreni sono utilizzati per la realizzazione di infrastrutture viarie o commerciali”, spiega Francesco Spada, docente di Geobotanica all'Università di Roma La Sapienza: “Per questo, penso che talvolta sia strumentale chiamare in causa il cambiamento climatico per spiegare la perdita di biodiversità: il problema principale è lo sfruttamento selvaggio del territorio”.

La fotografia della vita sulla Terra scattata dagli scienziati a 15 anni dall'entrata in vigore della Convenzione internazionale sulla biodiversità, proposta alla Conferenza su ambiente e sviluppo di Rio de Janeiro (1992), insomma, mostra un pianeta in grande sofferenza: si è rotto il ciclo naturale delle estinzioni e delle nuove specie che arrivano sulla scena. Oggi, questo alternarsi è dettato dai pasticci di inquinamento e antropizzazione. E la ricchezza delle forme di vita del pianeta si va drammaticamente impoverendo. Proprio ciò che la Convenzione tentava di arginare. Apparentemente, sembra oggi, senza grande successo. Perché?

“La Convenzione è servita per individuare alcuni obiettivi di conservazione, che però sono stati perseguiti solo in parte”, dice Buiatti: “Anche perché si è puntato soprattutto a salvare singole specie, magari di forte impatto mediatico come il panda, trascurando gli ecosistemi nel loro insieme”. Le relazioni reciproche tra organismi, invece, sono fondamentali: se abbattiamo un singolo albero nella foresta amazzonica, per esempio, eliminiamo anche centinaia di individui di centinaia di specie diverse che vivono su quell'albero. “E lo stesso vale per le acque interne e per le isole: ambienti delicati e fragili, più soggetti alla distruzione se si altera anche un solo elemento dell'ecosistema”, aggiunge Boitani.

Perché la tendenza si inverta davvero, avvertono gli addetti ai lavori occorre un cambiamento culturale, che porti a vedere la biodiversità come una ricchezza non solo estetica o etica, ma anche economica. Insomma, che salvare le diverse forme della vita sulla Terra non è solo materia per gli ambientalisti che si inteneriscono per le sorti delle farfalline. Ma è una faccenda che riguarda tutti, a partire dai bisogni più elementari come il cibo e i rimedi medicinali. Dal salice abbiamo ottenuto la comune aspirina, da un albero della costa californiana del Pacifico (Taxus brevifolia) l'antitumorale taxolo e dalla pervinca del Madagascar altri due antitumorali. Privarci della biodiversità significa privarci della possibilità di scoprire nuovi farmaci. E di nuovi alimenti: esistono circa 30 mila specie di vegetali commestibili e 7 mila sono quelle più usate da quando si è sviluppata l'agricoltura. Oggi, però, ci sfamiamo con pochissime specie. “E con il ricorso alle monocolture intensive abbiamo ridotto anche la varietà all'interno di ciascuna specie, ponendoci in una situazione molto rischiosa”, afferma Buiatti: “Se coltiviamo una sola specie di riso e questa si ammala, perdiamo tutto il riso. Ecco perché la biodiversità agraria è importantissima, soprattutto in un momento in cui condizioni come il cambiamento climatico rendono più fragili gli ecosistemi”.

Per questo, la giornata mondiale della biodiversità del prossimo 22 maggio, quest'anno sarà dedicata proprio all'agricoltura. E tra gli addetti ai lavori la consapevolezza di quanto sia importante la conservazione di questa biodiversità è tale da aver giustificato la realizzazione di una vera e propria arca di Noè dei semi alimentari, inaugurata poche settimane fa tra i ghiacci della Norvegia. Si tratta del Global Seed Vault, una sorta di grotta-forziere costruita nell'isola di Spitsbergen (Svalbard) in cui sarà custodita una copia di tutte le varietà locali di semi già conservate in banche nazionali. I semi destinati al deposito per ora sono circa 268 mila, ma in futuro si dovrebbe arrivare a più di quattro milioni. Nella speranza che, anche in caso di catastrofi più o meno naturali, sia garantito il nutrimento per le generazioni future.

Valentina Murelli

Fonte : www.espresso.repubblica.it
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