Veritá archeologica – Planetarismo e ciclicità delle civiltà

Veritá archeologica – Planetarismo e ciclicità delle civiltà

Planetarismo e ciclicità delle civiltàUno dei principali punti di forza della archeologia tradizionale è il localismo esasperato.

Concetto apparentemente astruso che in realtà sottende il voler confinare a tutti i costi tutte le scoperte archeologiche e tutte le teorie in un ambito territoriale estremamente circoscritto. Il perché è semplice: in tal modo ogni novità archeologica può essere ben facilmente tenuta sotto controllo e soprattutto non può dare adito ad interrogativi imbarazzanti. Tanto per darvi l’idea di come questa tecnica funzioni alla perfezione, vi chiedo di ricordare quale sia il più antico collegamento archeologico, tra almeno un paio di continenti, di cui abbiate mai avuto notizia.

Ebbene, i più mi parleranno dell’impero Romano (Europa, Asia ed Africa), per poi passare direttamente all’impero Spagnolo venutosi a creare in seguito al viaggio di Cristoforo Colombo alla volta dell’America. Il grandioso impero di Gengis Khan viene spesso trascurato in quanto, come al solito, non suffragato da documentazione scritta. Possibile che nessun altro collegamento trans-continentale sia possibile? Possibile che nessuna popolazione (anche e soprattutto in epoche precedenti) abbia avuto interessi in altri continenti?

Ovviamente no, ed ho cercato di darvene conto parlando di Mappatura Terrestre delle Piramidi e La seconda mappatura Terrestre delle Piramidi, mediante cui ho provato a dimostrare i vari collegamenti tra siti piramidali sparsi per il mondo. Ma in generale è ora di finirla con questo localismo di maniera; bisogna cominciare a ragionare in termini planetari, dato che solo così si potrà davvero fare luce sui misteri della razza umana. Inoltre non si riesce a capire se l’archeologia tradizionale si trinceri dietro questa logora ed ormai indifendibile linea del localismo archeologico per vera convinzione o per convenienza.

Dimostrato che le piramidi sono collegate tra loro (in base a vari parametri), che senso ha sostenere che non sono mai esistite, civiltà planetarie? E’ un assurdo. Se i Romani senza tecnologia hanno creato un impero enorme, perché non pensare che una civiltà del passato abbia potuto creare un sistema planetario? Ma credo che si tratti di ben più che di una sola civiltà, come vedremo. L’impero creato da Gengis Khan all’inizio del 1200 e che durò fino alla fine del Quattordicesimo secolo, fu enorme, ed andava dall’Asia all’Europa Centrale, mentre in epoca più recente l’impero Britannico, nel momento di massima espansione, comprendeva possedimenti in tutti e cinque i continenti, ed è stato il più grande di tutti quelli che conosciamo.

Curiosamente al giorno d’oggi, pur con tutta la tecnologia di cui disponiamo, non esistono un impero o una nazione tanto estesi; il pianeta è frazionato in tanti Stati più piccoli di questi due grandi imperi. E allora perché non considerare possibile una o più civiltà dell’antichità che avessero il controllo dell’intero pianeta? Ma a parte queste considerazioni il planetarismo archeologico viene efficacemente dimostrato anche dalla omogeneità (planetaria) di siti archeologici distanti migliaia e migliaia di chilometri tra loro.

Se in tutto l’impero Romano gli anfiteatri venivano costruiti in modo simile, o le strade venivano lastricate con pietre di dimensioni sempre omogenee, tanto da far immediatamente capire chi sia stato l’artefice di quella determinata opera di ingegneria edilizia, non si riesce a capire il perché una tale operazione non sia possibile anche con le piramidi, con i megaliti ed in genere con manufatti che presentano inequivocabilmente caratteristiche simili, anche se distanti migliaia di chilometri e collocati in continenti diversi. Continuare a citare la favola del “è un caso” non ha più alcun senso. Eppure sembra che viga una specie di veto a prescindere allorché si cerca di accostare, ad esempio, i megaliti di Baalbek in Libano a quelli di Sachsayhuaman presso Cuzco in Perù; ma di spunti di riflessione ce ne sono anche altri; vediamone alcuni:

-innanzitutto la riflessione più semplice: dopo l’utilizzo dei colossali megaliti di cui abbiamo ancora testimonianza in questi siti, non c’è stato più un utilizzo così eclatante di massi pesanti centinaia di tonnellate. I blocchi utilizzati per edificare le piramidi, seppure pesanti fino a 100 tonnellate ciascuno, non arrivano a quelle dimensioni spaventose. Strano che popoli che non si conoscevano tra loro abbiano deciso, all’unisono, di non utilizzare più la medesima tecnica di costruzione.

-in entrambi i siti i colossali blocchi, tagliati in modo da aderire perfettamente e senza l’utilizzo di malta per assemblare il tutto, non si sono spostati di un millimetro, data la precisione con cui sono stati allocati, ed ancora oggi è impossibile inserirvi anche solo una sottile lamina metallica. A Baalbek i blocchi, presumibilmente a causa delle dimensioni, sono stati squadrati (almeno quelli che possiamo vedere ancora oggi) e poi posti in situ, mentre a Sachsayhuaman sono addirittura stati tagliati in modo irregolare, come se si fosse voluta risparmiare anche la fatica di “prepararli” nella cava di estrazione. Evidentemente la squadratura era talmente semplice da poterla agevolmente eseguire addirittura in sede. Il risultato è comunque perfetto in entrambi i casi.

Perché servirsi in entrambi i siti di megaliti così giganteschi? Perché sicuramente esisteva una tecnica in grado di utilizzarli con poca fatica; in caso contrario sarebbe stato facile adoperare blocchi più piccoli. Curiosamente a migliaia di chilometri di distanza si usava la medesima tecnica, proprio come accade al giorno d’oggi: non sapendo utilizzare blocchi più grandi ci avvaliamo di mattoni traforati in tutto il mondo. Ma se dai siti megalitici passiamo ai siti piramidali, il planetarismo balza agli occhi in modo quasi automatico, proprio considerando i parametri fissati nella Teoria della Mappatura.

Sia le piramidi cosiddette interrate, poste a Cholula, Visoko e Lugansk che quelle non interrate, poste a Giza, Teotihuacan e Xian, considerate dall’archeologia tradizionale tutte un semplice prodotto locale di una qualche popolazione neolitica, (escluse ovviamente quelle di Giza per le quali i faraoni hanno una specie di patente esclusiva rilasciata loro, chissà perché, dall’archeologia tradizionale, mentre abbiamo visto, sempre negli articoli precedenti, come molto probabilmente tali edifici a Giza siano stati solo rivestiti esteriormente durante il periodo del Faraoni), hanno, come sappiamo, varie caratteristiche che, come abbiamo visto, le rendono “unite” a livello planetario. Ma ciò che mi preme far notare in questa sede è soprattutto la quantità di scoperte che è possibile fare accettando finalmente un discorso archeologico di più ampio respiro.

D’altronde non è più possibile ignorare piramidi sparse per tutto il pianeta, considerandole una specie di sottoprodotto del neolitico; non regge. Ho tenuto per ultimo il sito di Puma Punku in Bolivia; effettivamente non esiste, a quanto sembra, qualcosa di simile a questo meraviglioso mistero archeologico su tutto il pianeta, ma la ragione può essere semplicissima. . Si tratta di un sito talmente antico, talmente tecnologicamente perfetto, talmente privo di leggende, miti, racconti o quant’altro, da costituire un unicum planetario; probabilmente ciò che ne è rimasto è ancora visibile perché ci troviamo sulle Ande Boliviane a circa 4.000 metri di altezza ed è per lo meno supponibile che l’altissimo grado tecnologico in esso espresso abbia fatto da volano per tutta la tecnologia planetaria successiva; quella, per intenderci, che ha permesso di erigere piramidi e siti colossali e che oggi abbiamo perduto, non essendo a nostra volta in grado, pur con tutte le nostre capacità, di spostare tranquillamente megaliti di oltre 1.500 tonnellate di peso o lavorare la durissima diorite creando intagli e fori precisissimi e di pochissimi millimetri di spessore.

Altra questione importante su cui l’archeologia tradizionale sembra non voler sentire alcuna ragione è quella afferente[u] la crescita, intesa soprattutto in senso tecnologico, dell’umanità[/u]. A detta dei più infatti, tale forma di sviluppo umano ha subito un processo lineare, costante, senza sbalzi e scossoni di sorta, che dall’età della pietra ci ha portato oggi ad una tecnologia in grado di viaggiare nello spazio. Come al solito, pur di difendere questa opinione ormai indifendibile, detta archeologia è costretta a sminuire, o addirittura a sottacere, ogni scoperta che dimostri il contrario. Penso che l’ormai famoso sito Boliviano di Puma Punku, tanto per citare il più clamoroso, denoti esattamente il contrario, e mi fermo qui almeno per ora.

Dimostrato che è esistita in tempi remotissimi una civiltà in grado di eseguire lavori impossibili anche per le attuali tecnologie, (e non ho citato Baalbek per non infierire), non resta che accettare il concetto di ciclicità delle civiltà umane, in contrapposizione ad un presunto linearismo progressivo completamente fuorviante.

Ciò significa che da millenni l’uomo raggiunge un certo sviluppo sociale e tecnologico che va poi puntualmente in crisi per lasciare spazio ad una vera e propria regressione. Dopo un certo lasso di tempo prende piede una nuova civiltà che raggiunge livelli di sviluppo considerevoli fino a quando non entra in crisi a propria volta, e così via.

Capisco perfettamente che tutto ciò possa sembrare pazzesco, eppure, studiando a fondo i siti archeologici che vi ho proposto, si ricava proprio questa sensazione. Proviamo a partire giustappunto da Puma Puncu in Bolivia: : la capacità tecnologica in esso dimostrata è tale da far passare in secondo piano (e si tratta del parere di svariati ingegneri edili da me interpellati) anche l’edificazione delle gigantesche piramidi sparse per il pianeta; l’essere situato a circa 4.000 metri di altezza, il non fare parte dei circuiti turistici abituali, il non poter essere riutilizzato a causa dei pezzi di diorite sparsi dappertutto, ha fatto sì che qualcosa di questo incredibile sito giungesse fino a noi, e si tratta di un vero e proprio miracolo. Sembra quasi che tutta la tecnologia successiva, di cui comunque abbiamo grandi espressioni sia nei siti megalitici che in quelli piramidali interrati, non interrati ed anche sotto il livello del mare, derivi dall’incredibile capacità dimostrata a Puma Puncu. Ma anche studiando la storia tradizionale e prendendo in esame solo il periodo che inizia con l’impero Romano e che arriva fino ai giorni nostri, riusciamo perfettamente a capire cosa sia la ciclicità delle civiltà.

L’impero Romano d’Occidente termina verso la fine del V° secolo dopo Cristo; ne segue una generale decadenza di tutto l’ex impero, le cui grandi costruzioni e la perfetta organizzazione socio-economica diventano un ricordo. Saranno necessari almeno 1.000 anni per assistere ad una rinascita della cultura, delle arti e della società, il che dimostra chiaramente che ad un periodo di splendore è seguito un periodo di decadenza, seguito poi, dopo appunto 1.000 anni circa, ad un nuovo periodo di rinascita che dura tutt’ora ma che, se continueremo a distruggere sistematicamente e stupidamente il nostro pianeta, finirà ben presto; ovviamente fino alla prossima civiltà. Ma questo è solo un esempio molto semplice; la ciclicità delle civiltà è dimostrata proprio dal riutilizzo che le civiltà successive hanno operato con i manufatti delle civiltà precedenti. Di esempi ne abbiamo tantissimi, ed alcuni riguardano proprio i siti archeologici che abbiamo preso in esame fin qui. Riagganciandomi a quanto affermato in precedenza, vi sottopongo un esempio concreto di ciò che potrebbe accadere tra qualche centinaio di anni.

Scenario: l’inquinamento atmosferico, terrestre e delle falde acquifere, unito ad una progressiva diminuzione delle materie prime, manda in crisi la nostra civiltà che, in pochi decenni, regredisce ad uno stato semi-primitivo; la mancanza di energia elettrica, di macchinari, di industrie e di veicoli riporta gli esseri umani indietro di millenni. Ovviamente, del tutto abbandonati, restano i manufatti che la nostra civiltà ha eretto. Dopo circa 1.500 anni non resta più alcuna traccia di ciò che abbiamo fatto, escluse ovviamente le opere in pietra.

Ne consegue che se una futura civiltà, raggiunto un certo sviluppo socio-tecnologico, decidesse di iniziare a cercare le vestigia del proprio passato proprio come stiamo facendo noi adesso, si troverebbe a dover risolvere un rebus assai complesso, consistente nell’identificare e catalogare quanto segue: tutti i siti di cui ci stiamo occupando noi (e già abbiamo le nostre difficoltà); i siti risalenti all’impero Romano, di cui non ci sarebbe più alcuna testimonianza né scritta né orale, il che accrescerebbe notevolmente la confusione tra anfiteatri, strade, terme e quant’altro; il tutto sparso tra Inghilterra e Siria; i nostri aeroporti, con incomprensibili piste tracciate nel nulla, lunghe qualche chilometro ed apparentemente prive di qualsivoglia utilità; provate ad immaginare cosa si troverebbe a Napoli: dalla cinta di mura Greche del X° secolo a.C, fino all’aeroporto di Capodichino. Un vero puzzle.

Permettetemi di fare un’ultima ma importante considerazione: sembra incredibile, ma affermare che i Faraoni non hanno edificato le piramidi di Giza bensì le hanno solo rivestite esteriormente, sembra infrangere un vero e proprio tabù. Fateci caso: è un tipico caso di “tutti lo sanno ma nessuno lo afferma” e sinceramente la cosa lascia alquanto allibiti. Non si riesce a capire il perché non sia possibile affrontare serenamente la questione relativa alla edificazione delle piramidi di Giza, ben distinta dalla sistemazione del rivestimento esterno, come abbiamo visto negli articoli precedenti. Personalmente sarei ben lieto di partecipare a discussioni del genere che, come ho già affermato, vedono già molti lettori propendere per una edificazione “pre-faraonica”. Vedremo se in futuro anche l’archeologia “tradizionale” vorrà affrontare realmente la questione. Al momento lo vedo ben poco possibile.

Per quanto mi riguarda sono grato a coloro che gestiscono Altrogiornale e che mi hanno permesso di dare spazio ed eco a queste riflessioni archeologiche, che hanno la sola pretesa di voler costituire uno spunto di riflessione, come diversi lettori hanno perfettamente compreso ponendo anche interessanti quesiti, cosa che mi ha davvero incoraggiato e di cui li ringrazio sentitamente: una vera e propria gratificazione. E comunque un conto è affermare di voler essere una fonte di informazione libera ed indipendente che ospita voci libere ed indipendenti, un altro è esserlo davvero, come questa. Grazie.

Fabio Garuti

fabgaruti@hotmail.it
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Fabio Garuti
La Preistoria Atomica

Immagine: Crediti – Ingo Kappler http://en.wikipedia.org/wiki/File:Yugas-Ages-based-on-Sri-Yukteswar.png