Psichiatria e controllo sociale

Mi chiamo Tristano Ajmone, sono un sopravvissuto alla psichiatria, o — come spesso si usa dire — un survivor. Dall’inizio del 2005 sono presidente dell’OISM, l’Osservatorio Italiano Salute Mentale, un’associazione senza finalità di lucro, fondata da mio padre, il Dottor Claudio Ajmone, nel 2001.

Visto e considerato che stasera mi rivolgo ad una platea di studenti in medicina, ho pensato di articolare il mio approccio alla questione psichiatrica prendendo le mosse dalla relazione tra psichiatria e medicina, una critica che verte su due punti fondamentali: 1) l’illegittimità della psichiatria quale branca della medicina, 2) l’irriducibile inconsistenza etica della psichiatria.

A mio avviso, affrontando in modo critico questi due punti è possibile ricondurre la psichiatria al tema centrale di questo ciclo di conferenze: le istituzioni sociali quali luoghi di esclusione sociale e la contestazione della loro legittimità.

Come tutti sappiamo, la psichiatria rivendica di essere una branca della medicina. Questa rivendicazione è palesemente falsa, e vorrei avviare la mia critica smentendola. Io non sono un medico, né ho conoscenze di medicina, per cui non posso insegnarvi nulla circa la medicina. Però credo che la mia esperienza possa offrirvi qualche insegnamento sulla libertà. La «medicina» psichiatrica ha leso e calpestato la mia libertà, e questo fatto dovrebbe essere motivo di riflessione poiché la medicina non dovrebbe — per sua natura — interferire con la libertà. Quando vi è un conflitto tra scienza e libertà ciò è dovuto ad un pregiudizio ideologico da parte di chi utilizza la propria scienza per secondi fini — ed io sostengo che la vera finalità della psichiatria è il controllo sociale, poiché non avendo essa basi scientifiche non detiene nemmeno una finalità scientifica.

Se ci si riflette, il mandato della psichiatria non è lo stesso delle altre branche della medicina; la psichiatria si distingue infatti per la sua rivendicazione di un mandato che la autorizzi a privare della libertà persone che non hanno commesso crimini. Questo è il nocciolo del problema. Se la psichiatria non ricorresse alla coercizione non vi sarebbe tutta la contestazione contro di essa a cui assistiamo oggi. Credo che, allo stesso modo, se altre branche della medicina ricorressero alla coercizione per imporre i propri interventi, vi sarebbero analoghe ondate di protesta. Posso immaginare l’indignazione e la rabbia di chi dovesse essere prelevato con la forza da casa propria, tramite l’ausilio dei carabinieri, affinchè un dentista gli estragga un molare, o un chirurgo plastico gli ritocchi l’estetica del naso. Per fortuna questo non avviene, l’idea stessa ci induce al riso, tanto assurda, remota e inconcepibile ci risulta.

Eppure … perché la nostra società — e soprattutto i medici non psichiatri — non trovano altrettanto inconcepibile che gli psichiatri prelevino le persone da casa, con l’ausilio dei militari, per rinchiuderle in ospedali a prova di evasione e imporre su di loro i propri trattamenti in nome della medicina? Vedete, vige quest’idea di fondo secondo cui la presenza di malattie mentali giustificherebbe questo tipo di interventi, e si tratta di un’idea così radicata e potente che a pochi viene spontaneo metterla in discussione.

Ora, voi siete in procinto di divenire medici, per cui credo che siate giunti al punto della vostra vita in cui dovreste forgiare con chiarezza le vostre convinzioni circa la vostra missione, l’etica con cui vi condurrete, e l’uso che farete del vostro mandato. Vorrei a tal proposito leggere il Giuramento Moderno di Ippocrate:

Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, GIURO: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento; di perseguire come scopi esclusivi la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale; di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di un paziente; di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona non utilizzerò mai le mie conoscenze; di prestare la mia opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza ed osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione; di affidare la mia reputazione esclusivamente alle mie capacità professionali ed alle mie doti morali; di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il prestigio e la dignità della professione; di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni; di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica; di prestare assistenza d’urgenza a qualsiasi infermo che ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell’Autorità competente; di rispettare e facilitare in ogni caso il diritto del malato alla libera scelta del suo medico tenuto conto che il rapporto tra medico e paziente è fondato sulla fiducia e in ogni caso sul reciproco rispetto; di osservare il segreto su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell’esercizio della mia professione o in ragione del mio stato.

Come avremo modo di constatare lungo la presente critica, la psichiatria viola più punti di questo giuramento, vanificandolo e mortificandolo intenzionalmente e senza il minimo scrupolo.

Per gli uomini di scienza, specie in ambito medico, la neutralità è una questione fondamentale, ed è una questione etica. Senza questa neutralità si potrebbe strumentalizzare la medicina per scopi politici e, per esempio, scegliere di curare solo i bianchi e lasciare morire le persone di altre razze. Non che questo non sia accaduto nella storia, il fatto è che noi, oggi, lo considereremmo estremamente immorale e anti-etico. Lo stesso principio vale anche per la condotta personale: nessun medico dovrebbe negare le cure ad un’altra persona in virtù di un pregiudizio dettato dalla sua condotta. Un medico dovrebbe curare anche un assassino o uno stupratore, poiché il suo mandato è un mandato che lo indirizza verso la cura dei corpi, non delle persone. Il giudizio circa le persone è una questione non medica, ed è l’oggetto di altre professioni — nel caso dell’assassino e dello stupratore è una questione che riguarda i magistrati.

E qui siamo giunti al nocciolo del dissenso: la psichiatria non interviene sui corpi, bensì sulle persone! Ovvero, per essere più precisi, i suoi interventi prendono le mosse dalla persona (intesa come personalità/condotta individuale) per poi aggredirne il corpo chimicamente, elettricamente, fisicamente ed ambientalmente. Per questa ragione la biopsichiatria, per sua definizione, non potrà mai essere una disciplina neutrale e svincolata dal pregiudizio morale.

Sgarbugliamo questa matassa partendo dalle rivendicazioni degli psichiatri. Cosa asseriscono di fare gli psichiatri? Affermano di curare le malattie mentali, che è un altro modo per dire che curano la mente. Bene, cos’è la mente? … è un organo o un concetto astratto?

Sarei curioso di sapere quanti di voi, studiando anatomia, si sono imbattuti nell’«organo della mente». Nessuno, vero? Negli atlanti di anatomia non vi è nessuna tavola che illustri la mente, poiché la mente semplicemente non esiste. Se esistesse, l’avreste già sezionata col bisturi in laboratorio durante i corsi di medicina.

Cosa esiste dunque? Esistono le persone. E cosa fanno le persone? Esprimono se stesse, le proprie idee ed il proprio carattere attraverso pensieri, parole e comportamenti. Ditemi, come fanno gli psichiatri ad appurare la presenza delle presunte malattie mentali? Colloquiano con la persona, o con i suoi famigliari e vicini di casa, e gli diagnosticano un disturbo della personalità. La personalità è un altro concetto non organico, che non troverete in un manuale di anatomia, né in altri trattati di medicina ad eccezione del DSM, il Manuale Statistico Diagnostico che viene impiegato in psichiatria per diagnosticare la presunta malattia riscontrata — e vi chiedo di non farvi abbindolare dalla presunta «morbidezza diagnostica» dell’ICD, il principio è lo stesso.

Cos’è un disturbo della personalità se non un modo di etichettare con gergo pseudo medico le persone la cui personalità è considerata disturbante? Il fatto che molte persone lamentino di soffrire di disturbi «nella testa» non dovrebbe distrarre voi uomini di scienza né esimervi dal procedere con metodo scientifico al fine di appurare se vi sia una condizione organica che autorizzi il vostro intervento quali medici. Le persone si recano dal medico accusando malattie di tutti i tipi — si tratta perlopiù di idee che si sono formate conversando con conoscenti, o guardando la tv. Se le malattie mentali sono competenza medica debbono poter essere misurate tramite test organici, e non attraverso la discorsività ed il giudizio discrezionale dell’esperto — o, peggio ancora, come nel caso delle diagnosi di ADHD, diagnosticate da un insegnante o da un genitore per mezzo di questionari! Non esistono test biologici per determinare la presenza di alcuna delle malattie proposte dal DSM o dall’ICD — e questo per una semplice ragione: non esiste alcuna malattia mentale.

Appurato ciò, dovrebbe risultare chiaro all’uomo di medicina che la psichiatria svolge esclusivamente funzioni di controllo sociale. La pretesa scientificità medica di cui si ammantano gli psichiatri è il pretesto per legittimare i propri interventi coercitivi: interventi mirati alla privazione della libertà di individui che non hanno commesso crimini, spogliandoli della propria dignità, torturandoli attraverso interventi crudeli, traumatizzanti e altamente deleteri, quali la detenzione arbitraria, l’elettroshock, la lobotomia, il coma insulinico, la contenzione ai letti, e via dicendo.

In realtà la divagazione sulla relazione mente-cervello può benissimo essere tralasciata, ben consapevoli dei prolissi giri di parole astrusi cui si prestano gli psichiatri e gli psicologi per legittimare tale relazione: la stessa retorica ignobile che alimenta quella cieca fede teologica nella «salute mentale» che impedisce di cogliere la natura nuda e cruda degli interventi terapeutici psichiatrici — che, dietro al fumo negli occhi teologico degli incensi dottrinali bruciati sugli altari della psichiatria, un elettroshock è, e resta, un atto in cui una persona, investita del potere istituzionale, immobilizza un’altra persona con la forza bruta per aggredirle elettricamente il cervello. Se poi vogliamo illuderci che quel che accade è invece un’intervento terapeutico benevolo, in cui un’esperto medico cura una mente malata, beh… in questo caso direi che basta aderire alla religione medica ufficiale, la quale riconosce status scientifico a simili pratiche barbariche.

Se, invece, vogliamo parlare di medicina quale scienza, allora possiamo prendere in considerazione le argomentazioni che smentiscono la malattia mentale. Il Professor Thomas Szasz, psichiatra, medico, psicanalista e libertario di fama internazionale, ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio la fallacia del concetto medico di malattia mentale. Per coloro che riconoscono ancora a Karl Popper una posizione privilegiata nell’arena scientifica, voglio ricordare che Popper, nel 1984 (all’età di 83 anni, ossia 10 anni prima di morire) scrisse a Szasz: “Ti affianco completamente nella tua battaglia contro gli psichiatri e il loro intollerabile potere, e sono contento che tu abbia scritto contro Freud … (ma questo è un punto minore rispetto alla tua splendida e urgente battaglia contro il potere dei nuovi preti medici — gli uomini di medicina — una battaglia in cui tu certamente necessiti di sostenitori).”*

Come vedremo, l’accostamento tra prelato teologico e medicina accennato da Popper non è un mero artificio linguistico ma un esplicito riferimento alle tesi di Szasz.

Siccome la maggior parte degli oratori di questo ciclo di convegni ha presentato la propria tesi partendo da un libro, io ho scelto di portare come mio testo di riferimento un libro di Thomas Szasz che sto traducendo in italiano: La Teologia della Medicina. Speravo di ultimarne la traduzione entro Natale, purtroppo sono stato sopraffatto dagli affaccendamenti quotidiani, per cui sono ancora in alto mare con la traduzione. Cionostante, ho reso disponibile sul sito dell’OISM i capitoli finora tradotti. Si tratta di una traduzione per la quale il Prof. Szasz ha concesso esplicito consenso alla divulgazione gratuita, e di questo gliene sono molto grato poiché lo considero un testo molto importante, che contribuirà a risvegliare la coscienza etica di molti medici.

In questo suo libro, Thomas Szasz affronta gli aspetti teologici della medicina. Quali sono, dunque, gli aspetti teologici della medicina? Sono quegli aspetti della medicina in cui il mandato medico trascende la propria impresa scientifica, accettando di svolgere funzioni di controllo sociale per sopperire alla mancata assunzione di responsabilità da parte dei cittadini. Ed è proprio questo il margine di gioco sociale in cui la psichiatria si insinua nella medicina, nutrendosi dell’eterno conflitto tra razionalità e superstizione, esasperando questi aspetti teologici al di sopra della scienza e della libertà. Vi citerò a tal riguardo le parole introduttive di Szasz al libro:

“Le persone seguitano a cercare di convincersi di non essere responsabili […] delle conseguenze indesiderate del proprio comportamento. […] Questa è la ragione per cui la medicina è un’istituzione sociale talmente importante.

“Per millenni, uomini e donne sono sfuggiti alla responsabilità teologizzando la morale. Ora fuggono da essa medicallizando la morale. Allora, se Dio approvava una determinata condotta, essa era bene; e se Egli la disapprovava, essa era male. Come faceva la gente a sapere cosa Dio approvava o disapprovava? Lo diceva la Bibbia — ossia, gli esperti biblici, chiamati preti. Oggi, se la Medicina approva una data condotta, essa è bene; e se la disapprova, essa è male. E come fa la gente a sapere ciò che la Medicina approva o disapprova? Glielo dice la Medicina — ossia, gli esperti medici, chiamati dottori.

“Lo sterminio degli eretici sui roghi cristiani era una questione teologica. Lo sterminio degli Ebrei nelle camere a gas naziste era una questione medica. La distruzione inquisitoria delle pratiche giuridiche tradizionali dei tribunali continentali era una questione teologica. La distruzione psichiatrica del Rule of Law nei tribunali Americani è una questione medica. E via dicendo […]

“Com’è avvenuto, allora, che la medicina è riuscita laddove la religione ha fallito? Com’è stata in grado, la terapia, di far breccia nel muro che separa Chiesa e Stato, laddove la teologia non vi è riuscita? Per dirla in breve, la medicina è stata in grado di conseguire ciò che la religione non è riuscita, principalmente attraverso una violazione radicale del nostro vocabolario, delle nostre categorie concettuali; in secondo luogo, tramite il sovvertimento dei nostri ideali e delle istituzioni votate a proteggerci dal consegnare il potere in mano a chi ci vuol aiutare a prescindere del fatto che possa piacerci o meno. Lo abbiamo già fatto, in passato, ai negri. Ora lo stiamo facendo gli uni agli altri, a prescindere dalla fede, il colore della pelle, o la razza.

“[…] Come nelle epoche passate, attraverso l’universalità del peccato, oggi attraverso l’universalità della sofferenza, uomini, donne e bambini divengono — che gli piaccia o no! che lo vogliano o no! — i pazienti penitenti dei propri preti-medici. E al di sopra di entrambi, paziente e dottore, si erige la Chiesa della Medicina, la cui teologia definisce i loro ruoli e le regole dei giochi che devono giocare, e le cui leggi canoniche — oggi chiamate sanità pubblica e salute mentale — impongono il conformismo all’etica medica dominante.

“Le mie opinioni sull’etica medica dipendono largamente dall’analogia tra religione e medicina — tra la nostra libertà di accettare o rifiutare gli interventi teologici e terapeutici, e la mancanza di tale libertà. È ovvio che, nella misura in cui le persone valorizzano la religione al di sopra della libertà, esse tenteranno di alleare la religione con lo Stato e supportare prassi religiose statali coercitive; in maniera simile, nella misura in cui valorizzano la medicina al di sopra della libertà, tenteranno di alleare la medicina allo Stato e sostenere prassi terapeutiche statali coercitive. Il punto è — semplice ma inesorabile — che quando religione e libertà confliggono, le persone debbono scegliere tra teologia e libertà; e che quando medicina e libertà confliggono, debbono scegliere tra terapia e libertà.”

— Thomas Szasz, La Teologia della Medicina, ed. OISM.

La preponderanza di aspetti rituali e dogmatici in psichiatria — al di sopra dei canoni scientifici e della libertà individuale — è facilmente riscontrabile nelle teorie e prassi psichiatriche passate ed odierne.

Oggi la psichiatria vanta di aver scoperto miracolosi psicofarmaci che agendo sul cervello curerebbero malattie mentali di cui non hanno mai dimostrato l’esistenza. Di nuovo, vi è un salto linguistico-concettuale che tradisce la malafede dei propinatori di queste cure: si asserisce di aver scoperto un farmaco che curi la psiche agendo sul cervello — e questo per ovvie ragioni, se li si dichiarasse per quello che sono, ossia dei neurofarmaci, allora si ammetterebbe che tanto queste malattie quanto le loro cure dovrebbero essere competenza dei neurologi. Se le malattie mentali fossero una questione riconducibile a disfunzioni cerebrali, allora rientrerebbero nelle competenze della neurologia. Se invece si ammette che le cosiddette «malattie mentali» sono manifestazioni della psiche, allora rientrerebbero nelle competenze della psicologia.

La partita psichiatrica si conduce, truffaldina, sul doppio binario mente/cervello, trattandoli come se fossero al contempo un qualcosa disgiunto ma strettamente connesso. La rivendicazione che la mente sia una questione cerebrale è lo stratagemma con cui disarmano gli psicologi, convincendoli che la perizia medico-psichiatrica è indispensabile nel gestire le «menti malate». La disgiunzione tra cervello e mente è l’abile artificio con cui rivendicano una perizia superiore a quella dei neurologi, ostentando conoscenze della psiche che i neurologi non avrebbero. Ovviamente, gli psichiatri non detengono la benché minima conoscenza circa la psiche, se la conoscessero la rispetterebbero anziché tentare di sopprimerla aggredendola con agenti chimici, elettricità, o interventi chirurgici.

Avendo io assunto coercitivamente tali farmaci per anni, posso asserire che i loro effetti sono devastanti sulla persona e sull’organismo. Si tratta di droghe altamente intossicanti che alterano la coscienza, riducendo chi li assume ad un vegetale. Le funzioni cognitive e la volontà individuale vengono altamente compromesse dai farmaci neurolettici, e la somministrazione di tali farmaci è legata più al desiderio dello psichiatra di sedare le persone stufe di essere chiuse in manicomio, che non ad una richiesta esplicita da parte del paziente.

La verità è che la somministrazione di psicofarmaci è un’aggressione chimica al cervello mirata a destabilizzare le persone diverse, un tentativo di piegare o spezzare la volontà di chi non avverte la necessità di conformarsi all’ordinamento sociale, di chi — come me — si mostra ribelle ad un sistema che disprezza poiché è in grado di comprenderlo per quel che realmente è (un degrado!).

L’idea di voler curare l’anima attraverso l’assalto chimico del cervello è l’ennesima versione delle sacre inquisizioni volte a salvare le «anime traviate». Con l’avvento della psichiatria quale scienza elevata a status medico la società ha trovato nuovi metodi per sopprimere il dissenso, dichiarando guerra al pensiero anticonformista, impegnandosi in quella che viene definita la lotta alle malattie mentali. E questa è, in sintesi, la storia dell’impresa psichiatrica, che ha condannato alla lobotomia, all’elettroshock, alla carcerazione a vita, e finanche alla morte milioni di persone che violavano il consenso sociale circa ciò che è lecito e ciò che è illecito: ebrei, omosessuali, visionari, persone non desiderose di vivere… la lista dei dissidenti vittime della psichiatria è tanto lunga quanto l’elenco (sempre crescente) delle patologie psichiatriche che intessono la trama di questa fitta rete d’esclusione sociale.

Le ripercussioni dell’operato psichiatrico sulla classe medica sono terrificanti. Le persone stanno sempre più perdendo fiducia nella medicina e nei medici. Le case farmaceutiche hanno trovato, negli psichiatri, compiacenti complici per un’opera di sistematica flagellazione dei diversi, comprandosi il silenzio dei medici e degli psicologi, riuscendo a squalificare chi non è disposto a prostituire la propria etica professionale. Sulla questione dell’egemonia dei colossi farmaceutici sul mondo della medicina, sono state avviate svariate campagne di sensibilizzazione, come la no free lunch e l’italiana no grazie pago io.

Ma credo che, a tal proposito, la storia di quasi mezzo secolo di persecuzione psichiatrica a danno di Thomas Szasz e Giorgio Antonucci — due illustri medici, vostri colleghi — offra una valida testimonianza dei livelli di accanimento in cui ci si possa imbattare contestando in maniera scientifica e pacifica la psichiatria. Nel caso di Antonucci, la persecuzione ha raggiunto picchi inaccettabili, aggiungendo alla calunnia ed alla diffamazione anche la persecuzione giudiziaria e le minacce. La scomunica psichiatrica non si limita a bersagliare i cittadini, colpisce anche i medici che dissentono dai suoi dogmi ufficiali, ed in questo caso la scomunica assume gli aggressivi tratti della condanna per apostasia!

Vedete, in Italia non si fa altro che parlare di democrazia: noi abbiamo una «psichiatria democratica», una «medicina democratica» e finanche una «magistratura democratica» — peccato che ci manchi una «democrazia democratica». Psichiatria democratica ci parla di deistituzzionalizzazione, ma non di decoercizzazione, quindi il criterio manicomiale non viene affrontato ma si cambiano solo le strutture fisiche in cui le persone vengono incarcerate e deportate, allargando il mandato carcerario dal regime ospedaliero manicomiale a quello domiciliare. Così avviene che, per via delle riforme in salute mentale, oggi i pazienti psichiatrici si trovino in regime di arresti domiciliari (comunità protette da cui non possono uscire senza permessi) o libertà vigilata (obbligo a presentarsi regolarmente ai servizi ambulatoriali). E i medici democratici accettano che la medicina si presti a funzioni di polizia nei confronti di chi non ha commesso crimini. E i magistrati democratici accettano che gli psichiatri sottraggano gli imputati ai processi dichiarandoli “incapaci di intendere e volere”. Presto verrà il giorno in cui avremo anche una «polizia democratica» che acconsentirà che gli interrogatori degli indiziati «malati di mente» saranno condotti dagli psichiatri (i quali li assolveranno dalla macchina giuridica seduta stante, portandoli via con sé, nei nuovi manicomi territoriali, lontano dalla legge e dalle procedure giuridiche).

La verità è che noi necessitiamo di una medicina neutrale, non di una medicina o una psichiatria democratica. Dire medicina democratica è come un prestigiatore che porgendoti il mazzo sottolinea che è “un mazzo normale, non truccato” — cosa tanto improbabile quanto poco credibile. La medicina dovrebbe essere neutrale al clima politico che la circonda, perseguendo la sua missione con fare scientifico e scevra da pregiudizi anche sotto i regimi totalitari. Purtoppo, la storia non è andata così, e la medicina si è prestata al genocidio dell’Olocausto — e questo grazie all’operato psichiatrico che ha condotto tali genocidi in nome della medicina, seducendo molti medici all’impresa. Ma parlare di psichiatria democratica è come dire inquisizione democratica. Se non aboliremo la coercizione in medicina — se non la smetteremo di parlare di superamento dei manicomi anziché superamento della coercizione — non usciremo dal circolo vizioso che alimenta l’esclusione sociale e la prevaricazione paternalista della medicina sulle persone innocenti.

Tanto l’ammonimento circa questi rischi, quanto la via d’uscita da questa situazione, sono offerti da Szasz nel suo testo da me proposto:

“Le persone in possesso di certe conoscenze intellettuali o abilità tecniche sono ovviamente superiori, almeno in tal rispetto, a quelle che non ne sono. Quindi, a meno che le persone non desiderino una dittatoria di esperti tecnici — diciamo, di medici — dovrebbero assicurarsi che la posizione vantaggiosa dell’esperto derivante dal suo possesso di abilità speciali non venga ulteriormente accresciuta attribuendogli anche poteri cerimoniali. Per contro, a meno che non desiderino essere raggirate da impostori — diciamo, da psichiatri — dovrebbero assicurarsi che la posizione vantaggiosa dell’esperto derivante dal suo possesso di abilità cerimoniali speciali, o dall’attibuzione di tali abilità da parte di terzi, non venga ulteriormente accresciuta attribuendogli anche poteri tecnici che non possiede.

“In passato, la gente vittimizzava se stessa attribuendo poteri medici ai propri preti; oggi, si vittimmizza attribuendo poteri magici ai propri medici. Di fronte a persone dotate di tali poteri sovraumani — e, ovviamente, di benevolenza — gli uomini e le donne comuni sono inclini a sottomettersi ad esse con quella fiducia cieca la cui inesorabile conseguenza è rendersi schiavi e fare dei propri «protettori» dei tiranni.”

— Thomas Szasz, La Teologia della Medicina, ed. OISM.

La scienza in generale, ed in particolar modo la medicina, deve essere vincolata a dettami etici. Le questioni etiche circa la medicina sono numerose, e non tutte di facile soluzione; ma le questioni anti-etiche — quali la coercizione, il controllo sociale e la stigmatizzazione — sono palesi e di facile soluzione: vanno estirpate poiché sono dei mali incondizionati. La psichiatria coercetiva è una forma di schiavitù, e la prova di ciò è che il mandato medico-psichiatrico si estende al controllo territoriale dei propri «pazienti», giuridicamente inquadrati come «malati di mente», riducendoli ad oggetti di cui si può disporre in modo arbitrario, analogamente a quanto avveniva con la schiavitù dei negri, giuridicamente inquadrati come «beni mobili».

Come affrontare, dunque, in ambito medico, queste questioni etiche dalle tremende ripercussioni sociali? Stasera ho affrontato quei punti chiave che concernono le relazioni tra psichiatria ed etica, ma credo fermamente che sulle spalle della classe medica gravi il compito di riesumare il dibattito dell’etica medica da cima a fondo. D’altronde, se gli aberranti soprusi della psichiatria sono sopravvissuti illesi a oltre tre secoli di sistematica implementazione a danno di milioni di esseri umani, questo è anche avvenuto per colpa di una diffusa rilassatezza etica nella classe medica.

Gli orrori dell’Olocausto e delle sterilizzazioni di massa sarebbero dovuti essere motivo sufficiente per una revisione etica radicale da parte dei medici, eppure le voci che hanno lanciato questo appello sono state esigue rispetto al rapido sviluppo sociale della medicina.

Sono infatti fermamente convinto che la critica alla psichiatria sarà vana fintanto che si continuerà a limitarsi a puntare il dito d’accusa contro gli orrori da essa perpetrati. L’indignazione vera non risiede tanto nel fatto che gli psichiatri abbiano compiuto tutto questo, quanto nel fatto che noi — la società — si sia consentito che ciò avvenisse. L’intera impresa psichiatrica si nutre laddove la società si deresponsabilizza. Quando l’Europa volle lavarsi le mani degli Ebrei, la psichiatria colse la palla al balzo e si nutrì di milioni di vittime innocenti. Ora che la società è arrivata al punto in cui i genitori si lavano le mani dei rapporti con i propri figli, e gli insegnanti dei propri allievi, essa si nutre del lucroso business della narcotizzazione dei minori.

Ognuno di noi, in quanto appartenente ad un ceto sociale di riferimento, dovrebbe farsi carico della propria parte di responsabilità. Gli psicologi dovrebbero rivendicare la libertà di scelta intrenseca all’Uomo, rinnegando il modello riduzionista e affermando il primato della psiche. I giuristi dovrebbero rivendicare la libertà di scelta intrinseca all’Uomo, rinnegando la formula di assoluzione per “incapacità d’intendere e di volere” e affermando il primato dell’agenzia morale. I medici dovrebbero rivendicare la libertà di scelta intrinseca all’Uomo, rinnegando l’uso della coercizione in medicina e affermando il primato della libertà individuale nella cura. E via dicendo…

Quando nella società ogni individuo e gruppo si sarà fatto carico del proprio fardello di responsabilità, allora la psichiatria perderà la propria aura mistica e verrà rinnegata per quello che è: una truffa teologica che ha eroso la libertà, devastando milioni di vite innocenti ed inquinando la società ed i canoni scientifici.

Come nella fiaba di Andersen, la psichiatria è un Re nudo — e, oserei direi, così raccapricciante che pochi hanno il coraggio di scrutarlo in tutta la sua nudità. Le aberranti fattezze di questo imperatore sono il riflesso della nostra deresponsabilizzazione, e la prova di questo è la forza seduttrice con cui la psichiatria ha soggiogato le varie scienze e la società in generale.

Concludendo, l’appello che vi lancio, a nome di coloro che si definiscono sopravvissuti alla psichiatria, è che possiate prendere a cuore la battaglia per la libertà che stiamo portando avanti, strappando di mano agli psichiatri le redini del vostro mandato, rivendicando la medicina quale scienza neutrale non strumentabilizzabile per il controllo sociale e la repressione della dissidenza e della diversità.

Per anni abbiamo chiesto agli psichiatri di fornire le prove dell’esistenza delle malattie mentali, ma ci hanno snobbati, censurati e insultati. Forti della squalifica sociale che consegue alle diagnosi con cui ci hanno marchiati a fuoco, non si sentono obbligati a rispondere del loro mandato, né di dover dimostrare la fondatezza scientifica della loro impresa. Ma voi, che siete uomini di medicina, avete il potere di coalizzarvi ed esercitare pressione su questa casta di impostori, esigendo che rendano conto alla comunità scientifica delle loro rivendicazioni e del loro operato.

In Italia non sta avendo luogo alcuna riforma psichiatrica! Il mito della riforma è una colossale bufala con cui la psichiatria spera di eludere le gravi accuse di cui è imputata, temporeggiando e mischiando le carte in tavola. Qui, come nel resto del mondo, gli organi psichiatrici ci hanno negato un equo confronto, calunniandoci e squalificandoci. I sopravvissuti alla psichiatria sono pronti ad impegnarsi in un’intensa e duratura battaglia per i diritti umani e civili, alla stregua delle battaglie condotte all’estero da organizzazioni come MindFreedom, la WNUSP, l’ENUSP, la IAAPA, e tutte le altre organizzazioni affini. Siamo pronti a manifestare pubblicamente, organizzare scioperi della fame, testimoniare in tribunale.

Ma se voi medici non ci aiuterete, i nostri sforzi rischiano di essere vanificati dal pregiudizio sociale e dal silenzio del mondo accademico, e in tal caso finiremo per essere di nuovo squalificati dalla diagnosi e ributtati nei circuiti psichiatrici che ci vogliono socialmente esclusi … e la storia sarà condannata a ripetere i suoi orrori, e la libertà seguiterà ad essere erosa dalle pratiche teologiche della falsa medicina.

Grazie per l’attenzione concessami,

Tristano Ajmone

Fonte : http://www.oism.info/it/terapia/etica_deontologia/stato_farmacocratico_e_teologia_medica.htm