Quanto ci costa la cultura “usa e getta”

Il Giornale Online
La denuncia di Gaia Vince in un reportage per la BBC

di Alberto Sofia

Senza un comportamento più responsabile finiremo per prosciugare il nostro pianeta da tutte le sue risorse. A denunciarlo in un [link=http://www.bbc.com/future/story/20121129-the-cost-of-our-throwaway-culture]reportage [/link]è Gaia Vince, una giornalista scientifica della BBC, che da tempo si occupa di tematiche ambientali e sviluppo sostenibile.

CONSUMISMO – Abbiamo davvero bisogno di tutto quello che consumiamo? Oppure la nostra è soltanto assuefazione, tipica di una società consumistica? Secondo la giornalista il nostro consumo di risorse, aumentato drasticamente negli ultimi 60 anni, è in gran parte dovuto ad una sorta di epidemia di shopping. Una mania di sostituire qualunque oggetto, soprattutto quando i nostri oggetti si guastano. Spiega Vince:

“Più volte durante i miei viaggi ho avuto bisogno di riparare qualcosa di rotto: da strappi nel mio zaino, ai fori sui miei vestiti, alle schede di memoria che avevano perso importanti dati. Dall’India all’Etiopia, non ho avuto mai difficoltà a trovare qualcuno che potesse risolvere i miei problemi. Nei paesi ricchi, tali articoli spesso sarebbero stati gettati via e sostituiti con quelli nuovi, senza pensarci due volte”.

Ma il mondo in via di sviluppo è ancora pieno di “impagliatori” e persone che puntano a riciclare tutto, senza sostituire subito ciò che si rompe. Al contrario della società occidentale “usa e getta”: “Ho visto una bicicletta a Nairobi realizzata con parti di auto e cinture di cuoio, così come antenne costruite con ogni sorta di strumenti. Senza pensare alle case: alcune coperte con vecchie vele delle barche, sacchi di riso e bottiglie di plastica”, spiega Vince.

MANIA DI CAMBIARE – Poi ci sono tutti quei prodotti che apparentemente non possono essere riparati. “Mi hanno detto che la mia fotocamera, martoriata dalla polvere e dalla sporcizia, doveva essere cestinata. Come tutti i mezzi elettronici, non è stata progettata per essere facilmente riparabile”, spiega. Eppure trent’anni fa, avrebbe potuto trovare manuali di manutenzione e pezzi di ricambio per tutti i modelli, oltre a un fiorente settore di riparazione. Ma le cose sono cambiate. Oggi si cambia anche quando non serve: i nuovi prodotti – si pensi ai telefoni – non sono altro che aggiornamenti di quelli precedenti. Oppure vengono cambiati “per inseguire le mode”. Ma, come spiega Vince, basterebbe risolvere tutto aggiornando i software, senza per forza gettare via i supporti tecnici che sono alla base.

OBSOLESCENZA PROGRAMMATA – Non sono pochi quelli che, come Vince, criticano il nostro sistema eccessivamente consumistico. In realtà, molti credono che quelle che vediamo oggi siano soltanto le conseguenze. Tutto deriverebbe dalle stesse modalità con le quali vengono realizzati i prodotti, soprattutto quelli tecnologici, fabbricati per “rompersi presto” ed essere così sostituiti, in modo da alimentare il mercato e permettere ad aziende e corporation profitti costanti. Sono i seguaci della teoria sull’ “obsolescenza programmata”, pensata per la prima volta già nel 1932 da Bernard London in un manifesto allo spreco, intitolato [link=http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/27/London_%281932%29_Ending_the_depression_through_planned_obsolescence.pdf]“Ending the Depression Through Planned Obsolescence”[/link].
BUY NOTHING DAY – Ci sono poi quelli che invitano a gesti simbolici, come chi organizza il “giorno del non acquisto”. Un evento lanciato da Adbusters nel 1992 che propone appunto di non comprare nulla per un’intera giornata: l’ultima edizione è stata celebrata soltanto una settimana fa, il 24 novembre.

LA LOGICA – Secondo Vince, l’idea che qualcosa che funziona bene deve essere sostituita è ormai così radicato nella nostra cultura che poche persone la mettono in dubbio. In realtà, è un concetto abbastanza recente, determinata da una rivoluzione nel settore della pubblicità e della produzione, legato allo sviluppo della globalizzazione, del commercio e a quello dei media radiotelevisivi. Tuttavia, secondo Vince, non è solo un complotto cinico sognato dalle aziende per aumentare i profitti:

“Molti politici ed economisti credono che sia una necessità sociale. L’idea è nata negli Stati Uniti durante la depressione del ’29, come un modo per rilanciare l’economia”

IL FUTURO – Al momento i produttori non sembrano intenzionati a porre rimedio. Si pensi ad aziende come Apple, Motorola o Nokia, che puntano a prodotti sempre più innovativi, per inseguire nuove fette di mercato. Secondo Vince, però, c’è qualche speranza per il futuro: “Alcune aziende si stanno muovendo in controtendenza. HP e Dell offrono manuali di servizio per riparare i computer e riaggiornarli. E altre società stanno sponsorizzando un passaggio verso un’economia circolare. Per Vince è necessario abbandonare il percorso lineare di produzione (estrazione dei materiali, fabbricazione, vendita ed eliminazione) in favore di un’economia circolare, sempre più basata sul riciclo dei prodotti. I benefici per l’economia europea sarebbero secondo molti analisti pari al valore di 630 miliardi dollari.

POCHE RISORSE – Non bisogna poi dimenticare come le nostre risorse siano in esaurimento. Ma, secondo Vince, prima che si esauriscano le miniere e le fonti energetiche non rinnovabili, “si potrebbe costringere il mercato a cambiare i suoi metodi recenti”. Muoversi in un’economia di risorse limitate ci costringerà inevitabilmente a cambiare i nostri modelli di consumo. Forse, allora, anche l’obsolescenza programmata inizierà a raggiungere la sua data di scadenza.

Fonte: http://www.giornalettismo.com/archives/633887/quanto-ci-costa-la-cultura-usa-e-getta/