Resonance Project: vengono prima i “buchi neri”

Per decenni il fisico Nassim Haramein ha esposto una idea controversa in astrofisica, che le strutture dalle particelle elementari alle galassie e all’universo siano risultato di geometrie dello spazio-tempo curvo, conosciute come buchi neri. In essenza, questo significa che quello che riteniamo materiale, ci sembra tale a causa della geometria e della torsione dello spazio-tempo. Charles Misner e John Wheeler lo espressero in questo modo:
“Non esiste altro nel mondo tranne lo spazio vuoto curvo. Materia, carica, elettromagnetismo e altri campi, sono solo manifestazioni dello spazio curvo. La fisica è geometria.” 

Il modello di Haramein è invertito rispetto a quello convenzionale. In breve, il modello convenzionale afferma che quando una stella raggiunge i suoi limiti di fusione termonucleare (anche per le più massiccie il limite è all’elemento del ferro), allora non avrà più radiazione sufficiente a controbilanciare la forza gravitazionale e quindi procederà al collasso fino a divenire un residuo stellare, come una nana bianca, una stella di neutroni o un buco nero. Una crisi in astrofisica viene dall’aver compreso che il modello convenzionale non può spiegare l’origine degli elementi più pesanti del ferro: si assumeva che venissero dalle esplosioni stellari seguenti al collasso, ma i calcoli ora mostrano che non è uno scenario percorribile. Di recente invece, si prendono in considerazione i buchi neri (nello specifico, quelli primordiali, non risultanti dal collasso gravitazionale delle stelle.)

Tornando al processo “finale” della vita stellare, una volta esaurita la pressione radiativa, la stella inizia a collassare. Se la stella eccede il limite Tolman-Oppenheimer-Volkoff, la sua massa sarà così grande che il nucleo collasserà in una singolarità, curvando infinitamente lo spazio-tempo e formando un buco nero, mentre gli strati esterni produrranno la fusione termonucleare che rilascerà l’energia equivalente a miliardi di stelle, detta fase di supernova. La supernova emette onde d’urto di plasma e “materiale stellare”, che possono generare la condensazione gravitazionale in una nebulosa, facendo nascere altre stelle, mentre il nucleo collassato in singolarità è mascherato dietro un confine detto orizzonte degli eventi.
Questo è il modello convenzionale in due parole, i buchi neri, le stelle di neutroni e le nane bianche sono corpi di stelle morte.

Questa teoria ha numerosi problemi, ma nessuno pari a quello che nasce di recente dall’osservazione di buchi neri supermassicci al limite dell’universo visibile, che quindi sono tra le strutture più antiche. Questo è un problema, perché se i buchi neri si formano dal collasso delle stelle, allora come possono essere esistiti buchi neri supermassicci quando stavano nascendo le prime stelle? Secondo il modello di Haramein, la risposta è semplice, prima si formano i buchi neri, nell’epoca primordiale con le estreme densità di energia e questi poi agiscono come centri di nucleazione che guidano la formazione di stelle e galassie. Secondo i modelli cosmologici standard, si sa che immediatamente in seguito al cosiddetto Big Bang, le densità di energia erano così elevate che i buchi neri potevano essere prodotti in grandi quantità. Inoltre, i calcoli mostrano che la dimensione del buco nero è determinata dall’evoluzione temporale seguente al Big Bang, ovvero buchi neri più piccoli di una massa stellare potevano formarsi nei primi stadi, conosciuti come buchi neri primordiali (PBHs). Quindi al tempo di Planck dopo il Big Bang, circa 10^-43 secondi, si formerebbero buchi neri dalla massa di Planck (circa 10^-5gr, vedere arxiv.org).

buchi neri supermassicci

Haramein ha utilizzato questi buchi neri in scala di Planck, detti Oscillatori Sferici di Planck, nel suo documento Quantum Gravity and the Holographic Mass, per calcolare la massa esatta degli oggetti, dalle particelle elementari alle stelle e ai buchi neri astronomici, usando quanti di spazio-tempo e scoprendo una soluzione alla gravità quantistica. Ad un secondo dopo il Big Bang, si formerebbero i PBHs di circa 100 masse solari, tra il secondo di Planck e 1 secondo, se ne formerebbe un numero enorme di varia massa. Si sostiene solitamente che i buchi neri della dimensione di un protone o inferiore (circa 10^15gr), “evaporerebbero” per la radiazione di Hawking, ma abbiamo buone ragioni di credere che la radiazione di Hawking non sia un processo di pura evaporazione, ma che le fluttuazioni quantistiche attorno all’orizzonte degli eventi possano alimentare i buchi neri, mantenendo costante o incrementandone la massa (vedere Maroc Spaans).

Anche considerando la radiazione di Hawking nella sua forma nuda, per cui la frequenza di evaporazione è inversamente correlata alla massa del buco nero, ricercatori come Rovelli e Vidotto hanno descritto come dei buchi neri della dimensione del protone, apparirebbero “congelati” a causa della dilatazione temporale e sembrerebbero stabili ai sistemi di riferimento esterni, per periodi più lunghi dell’età attuale dell’universo (vedere resonance.is). Osservare questa formazione primordiale solleva domande interessanti, i protoni potrebbero essere buchi neri primordiali? I buchi neri supermassicci potrebbero essersi formati in un breve periodo seguente al Big Bang, restando presenti durante la prima formazione stellare (dette popolazioni stellari III)? I cosmologi solitamente usano un valore limite di poche centinaia di masse solari per i PBHs, ma osservazioni recenti suggeriscono che il modello non sia accurato. Queste includono la rilevazione di buchi neri al di fuori dell’intervallo di massa predetto dal modello convenzionale del collasso stellare, eseguita con l’osservatorio LIGO. Questi buchi neri “anomali” si posizionano oltre l’intervallo di massa pari a 10-20 masse solari (cosa che supporta la possibilità che la materia oscura sia composta dai buchi neri primordiali). Una notevole osservazione recente che mette in dubbio il modello corrente, è quella dei quasar al limite dell’universo visibile, uno di questi risiede a 13.04 miliardi di anni dalla Terra (quindi si sarebbe formato prima di 690 milioni di anni dopo il Big Bang) e ospita un buco nero vicino al miliardo di masse solari.

Buchi neri alimentati?
Gli astronomi hanno indagato nelle prime epoche dell’universo, ovvero riceviamo la luce emessa dagli oggetti al confine dell’universo visibile, circa 13 miliardi di anni fa. Dalla loro scoperta, gli scienziati sono arrivati a comprendere la natura di questi progenitori enigmatici, sono galassie giovani estremamente luminose a causa dell’attività del buco nero supermassiccio che ospitano nel loro centro, detto nucleo galattico attivo (AGN). Questa è stata una scoperta di grande supporto al modello della formazione galattica di Haramein, perchè il concetto chiave dice che i buchi neri si trovano al centro di tutte le galassie e agiscono da guida alla formazione della galassia, determinano il numero di stelle che si formano ed esercitano una grande influenza sull’architettura dei sistemi galattici.
Recenti studi dello Sloan Digital Sky Survey, hanno trovato un quasar a 690 milioni di anni dopo il “Big Bang”, si stima che perchè un quasar sia visibile a tali distanze, la massa del suo buco nero centrale dovrebbe essere di circa 1 miliardo di masse solari. Secondo le teorie convenzionali della formazione e crescita dei buchi neri, tramite morte stellare, questa eccede di molto la massa attesa, che sarebbe in questo caso pari a poche centinaia di masse solari. Questa massa predetta si basa sull’assunto che tali buchi neri “seme” siano i residui delle prime stelle, della popolazione stellare III, formatesi come risultato del raffreddamento del gas primordiale al tempo in cui l’Universo aveva 200 milioni di anni.

Il modello convenzionale suggerisce che questi buchi neri si sarebbero formati a corta distanza tra loro e si sarebbero quindi fusi raggiungendo diverse migliaia di masse solari. Tuttavia, anche se più massicci, non sarebbero abbastanza massicci da spiegare le masse dei quasar che osserviamo oggi. Allora, come si sono formati questi giganteschi oggetti così rapidamente?

Buchi neri per collasso diretto e frequenze di accrescimento “Super-Eddington”
Una possibilità è che i primi buchi neri siano passati in un periodo straordinario di crescita. La frequenza di accrescimento ottimale del buco nero è basata sul limite di Eddington, sotto tale limite, un buco nero di 10 masse solari potrebbe crescere fino ad un miliardo di masse in circa un miliardo di anni. Se sosteniamo che i primi buchi neri vengano dalla popolazione stellare III, allora dovrebbero alimentarsi ad una frequenza superiore al limite di Eddington, questo è teoricamente possibile in ambienti ricchi di gas tipici dell’universo primordiale. Tuttavia, tale occorrenza sarebbe possibile solo per breve durata e potrebbe causare uno smorzamento, perchè la radiazione emessa nei periodi super-Eddington fermerebbe la crescita del buco nero, tale scenario sarebbe quindi raro.

Altro scenario suggerito dall’astrofisico Priyamvada Natarajan (e colleghi), dice che i primi semi dei buchi neri potrebbero essersi formati senza morte stellare, ma direttamente dal gas, modello detto Direct-Collapse Black Holes (DCBH). Tali oggetti si sarebbero formati in poche centinaia di milioni di anni dopo il big bang, con masse pari a 10-100 migliaia di masse solari. Grandi dischi di gas si raffredderebbero solitamente e si frammenterebbero portando alla crescita stellare e alla formazione delle galassie, tuttavia, secondo il modello di Natarajan, questi agglomerati di gas collasserebbero in raggruppamenti densi che avrebbero formato i buchi neri con massa pari a 10.000-1 milione di masse solari. L’astrofisica conclude suggerendo che questo potrebbe accadere se i normali processi di raffreddamento si bloccassero, quindi se la formazione di idrogeno molecolare, che favorisce il raffreddamento, si fosse fermata permettendo al disco di restare caldo. Il disco allora sarebbe troppo caldo per formare le stelle e sarebbe instabile dinamicamente, risultando in una contrazione, fino alla formazione del buco nero, un DCBH.

Questi buchi neri seme (DCBHs) sarebbero cresciuti fino a superare la massa di tutte le stelle della loro galassia e in questa fase, la galassia ospitante viene definita “obese black hole galaxy (OBG)”. La massa di tutte le stelle nella galassia è tipicamente 1000 volte superiore a quella del buco nero centrale, quindi una OBG emetterebbe un segnale spettrale unico, in particolare nell’infrarosso. Natarajan spera che tramite il James Webb Telescope, che sarà lanciato nel 2019, si potranno trovare evidenze di questo segnale e provare l’esistenza dei DCBHs.

Come menzionato, il modello della formazione dei primi buchi neri suggerito da Haramein e la loro importanza per l’evoluzione e lo sviluppo delle prime stelle e galassie, ora trova dati a supporto e potrebbe risultare più accurato del modello convenzionale. Mentre altri ricercatori lavorano per dare senso a nuove osservazioni, i loro modelli si avvicinano e assomigliano alla porzione cosmologica della fisica unificata di Haramein. Questo è un buon segno, perchè il progresso in questa direzione può spingere la comunità scientifica verso la teoria di Haramein e la soluzione per la materia oscura, la formazione ed evoluzione di stelle e galassie, l’espansione dell’universo e altre questioni aperte in cosmologia e astrofisica.

William Brown and Amira Val Baker; RSF research scientists

resonance.is

Riferimenti
Mezcua J. Hlavacek-Larrondo J. R. Lucey M. T. Hogan A. C. Edge B. R. McNamara. The most massive black holes on the Fundamental Plane of black hole accretion. Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, Volume 474, Issue 1, 11 February 2018, Pages 1342–1360.

Fabio Pacucci, Priyamvada Natarajan, Marta Volonteri, Nico Cappelluti, C. Megan Urry. Conditions for Optimal Growth of Black Hole Seeds. The Astrophysical Journal Letters, Volume 850, Number 2, 1 December 2017.

Priyamvada Natarajan. The Puzzle of the First Black Holes. Scientific American, 1 February 2018.