La città sommersa di Risa e i misteri di Capo Peloro

La città sommersa di Risa e i misteri di Capo Peloro

La città sommersa di Risa e i misteri di Capo PeloroCapo Peloro è terra di antichi dei, di mostri marini, di templi e città perdute. Lo stesso nome “Peloro” significa in greco “mostruoso, gigantesco, immane”, anche se, a guardarlo oggi, Capo Peloro sembra solo una tranquilla lingua di sabbia. In ogni caso, secondo i miti dei nostri predecessori, proprio a Capo Peloro viveva la dea Pelorias, una ninfa delle acque e della costa il cui nome deriva da quello del promontorio.

Pelorias era uno spirito della natura che abitava tra i “pantani” del capo, raffigurata nelle antiche monete di Messina come una donna dai capelli intrecciati di canne e rose di palude. Essa era forse una personificazione di Gaia Pelore, ovvero la Grande Madre Terra dei Greci, la stessa divinità che diede a Crono la falce (zankle) con cui egli evirò il proprio padre. Era quindi una sorta di gigantessa primordiale, che incarnava il principio più selvaggio e inumano della natura. Ma essa era anche, nelle immagini mutevoli del mito, una bella e amabile ninfa, capace di fare innamorare di sé principi e guerrieri.

Pelorias era la “Signora delle Paludi”, poiché aveva la sua dimora tra gli acquitrini della punta nord di Messina. Le numerose monete su cui appare raffigurano anche delfini e tridenti, conchiglie e mitili, tutti simboli ad essa legati. Uno di questi disegni è invece misterioso: una sorta di quadrato di linee incrociate, al centro del quale è raffigurata una conchiglia. Mai spiegato con certezza, secondo alcuni studiosi esso ricorda il tempio segreto della dea, nascosto tra i canneti dei pantani. Tra le varie conchiglie associate alla dea c’era anche la pinna nobilis, una specie di cozza gigante (“peloria” appunto) considerata preziosissima dagli antichi.

Dai filamenti di questo mitile, si tesseva infatti una pregiata tela chiamata “bisso”, degna di re e principesse e commerciata in tutto il mediterraneo. La Pinna nobilis fu a sua volta portata nei nostri laghi dai Fenici, che prima dell’arrivo dei Greci, qui la coltivavano, lavoravano e ne vendevano il ricavato.

Forse, quando si aggirava tra le acque torbide di Capo Peloro, la Signora delle Paludi portava indosso una veste di bisso, che risplendeva come il sole.

Chi conosce la punta dello Stretto di Messina e il Capo Peloro, una delle cuspidi della Sicilia, sa dei due Laghi o “Pantani” che vi si trovano, collegati al mare da diversi canali. Minore è il numero di coloro che sanno che tra di essi vi è una zona chiamata Margi, “la Palude” e che essa un tempo fosse un Terzo Lago. Il Terzo Lago di Capo Peloro era noto ai viaggiatori, agli esploratori e ai naturalisti greci da tre millenni. Le fonti antiche dicono che esso fosse consacrato ad una divinità a noi oggi sconosciuta, che qualcosa ingoiasse tutto quello che vi veniva immerso, che il solo toccare le acque o immergervi il braccio portasse alla perdita delle dita o dell’arto. E questo era un monstrum, un portento sovrannaturale.

C’era un Mostro nascosto nel profondo, un Dio Ignoto.

Nel corso dei secoli, il lago andò interrandosi, divenendo una Palude. L’aria era malsana, i vapori esiziali, la gente si ammalava e moriva dei suoi miasmi, ma il Dio Ignoto era perduto, dimenticato, assopito. Nel 1783 il potente terremoto che squassò Messina liberò di nuovo il Mostro: i veleni che esalavano dal profondo ripresero a diffondersi come nel lontano passato, mentre, simile ad una piaga biblica, le rane si moltiplicavano a dismisura e infestavano le rive.

La situazione divenne insostenibile. La palude venne definitivamente bonificata e oggi su di essa sorgono campi, canneti e qualche villetta. Tutto, in superficie, sembra tranquillo. Ma nei due laghi adiacenti, è ancora presente qualcosa che di tanto in tanto ne avvelena le acque e causa fenomeni di moria collettiva in questi ecosistemi. Qualcosa che giace ancora qui, sotto la superficie, nel profondo, dove non arriva l’ossigeno. Qualcosa con una natura diversa da quella degli altri esseri viventi del pianeta, che si nutre di zolfo come i demoni delle leggende e produce esalazioni acide e velenose. Qualcosa che non può morire e può attendere in eterno.

Il Mostro della Palude, O semplicemente, un batterio unico al mondo, il Desulfovibrio Desulfuricans.

Gli studiosi compiono ancora oggi ricerche su questo organismo rarissimo e ben diffuso in questi laghi costieri, capace di avviare reazioni chimiche straordinarie. Sono gli effetti di questo batterio che gli antichi riportavano come i prodigi che avvenivano in questi laghi? A Capo Peloro, tra le lagune perdute della contrada Margi, sorgevano nel mondo antico l’Ara e il Tempio di un Dio. Esiodo, la più antica fonte greca esistente, dice che il Tempio era stato costruito dal dio Orione, quindi per i Greci esso si ergeva già a Capo Peloro prima della fondazione di Zankle ed emergeva da un oscuro passato leggendario, perso nelle pieghe del tempo.

Forse fu eretto dai Fenici, che abitavano i Laghi di Capo Peloro prima dell’arrivo dei Greci. Forse da popoli ancora più antichi, ancestrali e dimenticati. Chi sia il Dio, che Cosa sia, non è dato saperlo. Una divinità del Mare e delle Profondità, ma anche un essere terribile legato alle paludi, agli acquitrini, al luogo mefitico e sulfureo dove sorgeva il suo Tempio, infestato da una forma di vita aberrante e unica nel suo genere, in grado di causare per secoli miasmi, avvelenamenti, malaria e morie di animali e uomini.

Era forse Pelorias, la Dea della Palude, dai capelli intrecciati di canne e rampicanti? Era Artemide Dictynna, dalle tre forme, mostruosa Dea dei promontori? Era Diana, adorata nei bui recessi presso l’attuale Chiesa di Grotte? Era Poseidone, il terribile Dio del mare e dei terremoti, patrono di Messina nel bene e nel male? In ogni caso il Dio Ignoto non era certo benevolo, se, come raccontano gli antichi, chiunque toccasse le acque del suo lago perdeva la mano e se i cristiani, invece di trasformare il Tempio in una Chiesa come nella maggior parte dei casi, preferirono abbattere “l’Abominazione dell’Idolo e dell’Altare” e abbandonare l’area al saccheggio di antiquari e muratori.

Nell’Ottocento, un viaggiatore raccontò di aver sentito presso la contrada Margi, nel silenzio tremolante del giorno, una melodia sconosciuta di flauto arrivare da chissà dove. Qualche anno fa, un moderno archeologo, nella vana cerca dei resti del Tempio, ricorda di aver provato uno strano senso di disagio e paura, che lo spingono a non ritornarvi mai più. Il Dio Ignoto è ancora nel suo Regno, al centro delle paludi perdute di Capo Peloro. Perché non è morto ciò che in eterno può attendere.

Angelo Adam Cannella

idpmelegnano.it