Risonanza morfica e biologia quantistica

Risonanza morfica e biologia quantistica

consapevolezzaGli organismi viventi sono sistemi biologici quantistici che si interfacciano con il tessuto basilare della realtà. Il loro DNA agisce come un’antenna frattale che può ricevere e trasdurre energia di punto zero, consentendo un’interazione più diretta con il Campo.

Che cos’è la vita? È un interrogativo che quasi tutti noi, universalmente, ci poniamo. Per gli scienziati, in particolare, è una domanda fondamentale, e in effetti fu anche il titolo del libro del 1944 di Erwin Schrödinger Was ist Leben? Schrödinger fu un fisico nonché uno dei padri della meccanica quantistica. Il suo libro costituisce probabilmente uno dei primi trattati mai pubblicati sulla fisica quantistica della biologia, ovvero la base della disciplina della biologia quantistica. Applicando ai processi biologici le teorie della meccanica quantistica e della causalità formativa si ricavano degli spunti per comprendere alcuni fenomeni particolari per cui non è possibile formulare descrizioni adeguate attraverso le metodologie scientifiche convenzionali.

Causalità formativa: il campo morfogenetico

La scienza della biologia, con gli attuali modelli teorici, è quasi giunta a un impasse, poiché si sta avvicinando a un livello descrittivo che necessita delle teorie della meccanica quantistica e delle teorie dei campi. Per potere esaminare i livelli più profondi della realtà, occorre una scienza con paradigmi nuovi. Una teoria di questo tipo, che descrive con eleganza molti fenomeni che finora si sono sottratti ad adeguate descrizioni scientifiche, è la teoria della risonanza morfica di Rupert Sheldrake: la teoria della causalità formativa. Essa descrive il processo della morfogenesi come determinato da un campo morfogenetico per mezzo di una forza non fisica. È la scienza della conformazione, ed è fondamentale per comprendere come avviene l’accesso alle informazioni del Campo (noto anche come il vuoto, l’etere, l’ordine implicato, il plenum cosmico, il superspazio, l’akasha, ecc.). Quanto è importante la scienza della conformazione? Erwin Schrödinger ce lo fa capire con una spiegazione felice:

“Ciò che osserviamo come corpi e forze materiali non sono altro che forme e variazioni della struttura dello spazio” (corsivi aggiunti).

Per molti questa affermazione va spiegata, dato che lo spazio, secondo la descrizione classica, è definito come qualcosa di vuoto. Tuttavia, per molti scienziati, lo spazio (e persino il vuoto) non sono assolutamente “vuoti”. Persino alla temperatura dello zero assoluto, quando non dovrebbe più esserci alcuna forma di energia, ciascun punto nello spazio (ove il più piccolo quanto dello spazio è un volume basato sulla lunghezza di Planck) contiene un oscillatore armonico quantistico che vibra con l’energia di punto zero dello stato fondamentale per il Campo. Il fisico Nassim Haramein ha descritto in che modo un volume di vuoto delle dimensioni di un protone contenga una densità energetica equivalente a tutta la massa dell’Universo. Ciò esemplifica come l’Universo sia olofrattale, nel senso che una particella subatomica contiene potenzialmente la traccia dell’intero Universo, e come nell’Universo esistano più strati dimensionali in cui viene distribuita tale densità energetica infinita.

Tornando a quanto esposto da Rupert Sheldrake, la teoria della risonanza morfica si avvicina così tanto alla modellizzazione dei processi effettivi che danno luogo alla formazione di tutti i livelli di organizzazione da diventare autoevidente, una volta compresa correttamente.

In merito ai sistemi biologici, essa spiega le cause formative dell’evoluzione, dello sviluppo embrionale, dei pensieri, dei comportamenti e persino di vari fenomeni metafisici. Personalmente, trovo davvero illuminante la capacità di questa teoria di spiegare il funzionamento dei pensieri.

Comunicazione quantistica biomolecolare

Le immagini dell’attività cerebrale ottenute con la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e l’elettroencefalografia (EEG) rivelano modelli spaziotemporali quadridimensionali dell’attività elettrica prodotta dai potenziali d’azione di miliardi di neuroni. La propagazione elettrica lungo gli svariati percorsi di queste reti produce dei pattern di attività specifici per cui è stata trovata una chiara correlazione con stati fisici e senzienti. Uno degli interrogativi più sfuggenti della neurobiologia è in che modo questa attività elettrica possa produrre ciò che noi percepiamo come pensieri, comportamenti e ricordi. Questa domanda mette a dura prova i neurobiologi, in quanto desta una totale perplessità da un punto di vista puramente fisico, ovvero il punto di vista al quale gli scienziati tendenzialmente si limitano nella propria indagine della Natura.

In effetti, la condizione senziente non verrà mai spiegata dalla delineazione fisica dell’attività cerebrale, perché si tratta di un fenomeno non fisico: il cervello agisce soltanto da interfaccia tramite la quale gli aspetti puramente energetici della condizione senziente vengono trasdotti nell’esperienza fisica. Ciò significa che il cervello non ha mai prodotto pensieri, e non lo farà mai, perché non è questo che fa il cervello. I pensieri esistono come idee all’interno del campo morfogenetico – e uno specifico programma di pensieri è un comportamento all’interno del campo morfogenetico – dunque i comportamenti sono strutture morfiche di pensiero a un livello di nidificazione superiore. Ricordate che il campo morfogenetico non è che una categorizzazione del campo dell’informazione, che fa parte del campo unificato. Dunque quello che accede al campo delle informazioni non fisiche è un componente non fisico della mente: lo si può definire la mente superiore.

L’impulso di tutte le idee si verifica all’interno della mente superiore, e attraverso di esso le idee vengono trasdotte nel cervello suscitando i potenziali d’azione che producono specifici pattern quadridimensionali di attività elettrica. Questi pattern spaziotemporali, attraverso la risonanza morfica, si sintonizzano con un programma di idee all’interno del campo morfogenetico e consentono alla mente fisica di percepire le idee come pensieri. Analogamente, anche i ricordi sono prodotti dallo stesso tipo di pattern quadridimensionali di attività elettrica. I pattern specifici dell’attività neurale si sintonizzano su distinti campi morfici contenenti informazioni che producono le immagini corrispondenti a un evento passato. Ciò significa che i ricordi in realtà non sono registrati da nessuna parte, come tendenzialmente pensiamo. Piuttosto, ogni volta vengono creati da zero nel momento presente. È possibile osservare la genesi dei nuovi percorsi neurali per la conduzione dei pattern elettrici in grado di sintonizzarsi su diverse aree del campo di informazione mentre avviene rapidamente attraverso la formazione di strutture fisiche subsinaptiche chiamate spine dendritiche.

Le spine possono prodursi e ritrarsi rapidamente, così il cervello ha un alto grado di plasticità e ha la possibilità di rimodellarsi e riprogrammarsi molto più in fretta rispetto al tempo che ci vorrebbe se si producessero sinapsi interamente nuove e, in alcuni casi, neuroni interamente nuovi. In realtà, quando abbiamo la sensazione di aver capito o imparato un nuovo concetto è perché sono state generate spine dendritiche che originano nuovi contatti sinaptici, consentendo la creazione di diversi pattern di attività elettrica che si possono sintonizzare con diverse risonanze morfiche. Tuttavia, la stessa percezione non avviene all’interno del cervello fisico; la percezione è semplicemente facilitata dal cervello, poiché è la coscienza che percepisce, e la coscienza non avviene dentro il cervello, ma è solo limitata dal cervello.

Questo è probabilmente uno dei misteri più inafferrabili della scienza: come si produce la coscienza? Ancora una volta, è una domanda a cui non si potrà mai rispondere usando la scienza dei vecchi paradigmi, perché la coscienza non è prodotta da fenomeni fisici: è primaria e fondamentale per tutta l’esistenza. È un prerequisito dell’esistenza stessa, dal momento che, senza consapevolezza cosciente, come si potrebbe dire che qualcosa esiste? Che cosa lo differenzierebbe dalla non-esistenza se fosse completamente non percepito? Cercare di immaginare qualcosa di esistente ma non percepito è simile a cercare di immaginare la non-esistenza. Non si può fare.

Ci sono stati pochissimi tentativi di spiegare scientificamente i presunti processi fisici attraverso cui viene prodotta la coscienza (ricordando che, per il paradigma del consenso, tutti i fenomeni devono essere spiegati attraverso processi fisici). La comunità scientifica si è per lo più accontentata di presumere che la coscienza sia un aspetto che emerge da reti neurali di altissima complessità, in particolare quelle che comprendono la neocorteccia del cervello umano. In effetti ne sono scaturiti filoni di ricerca produttivi, in quanto alcuni scienziati, per spiegare la comparsa della coscienza, sono stati spronati a pensare al di là delle consuete restrizioni autoimposte e a prendere in considerazione le teorie dei processi meccanici quantistici all’interno del contesto biologico.

Roger Penrose, in collaborazione con Stuart Hameroff, ha sviluppato una teoria secondo cui gli elettroni pi delocalizzati all’interno dei microtubuli sono sufficientemente protetti dalle fluttuazioni ambientali da poter mantenere una sovrapposizione quantistica della propria funzione d’onda. I microtubuli sono filamenti interni alle cellule che formano una matrice di sostegno nota come citoscheletro e sono coinvolti nella trasduzione di segnali e sostanze chimiche in tutta la cellula.

Sopra: rappresentazione schematica di una rete di microtubuli intracellulari in un neurone.
Sopra: schemi di microtubuli che rappresentano l’architettura strutturale della molecola. All’interno del tubo cavo, gli elettroni pi delocalizzati potrebbero essere sufficientemente protetti da formare stati quantisticamente coerenti.

Penrose e Hameroff hanno teorizzato che il collasso della funzione d’onda quantistica degli elettroni pi potrebbe produrre un’elaborazione subneuronale delle informazioni ed essere la sorgente della coscienza nel cervello.

Come funzione d’onda, gli elettroni possono formare uno stato quantistico coerente noto come condensato di Bose-Einstein. In questo stato, tutti gli elettroni si comportano essenzialmente come una singola particella o, più precisamente, come una singola funzione d’onda correlata, con un entanglement “non locale” che consente il trasferimento quasi istantaneo delle informazioni. Durante le modalità normali dell’attività cerebrale, come l’attività elettrica che produce oscillazioni beta, questi stati sono estremamente fugaci. Tuttavia, quando una persona è sufficientemente isolata dalle perturbazioni ambientali, ad esempio se è in uno stato meditativo in cui gli stimoli visuali, uditivi e cognitivi sono ridotti al minimo, l’attività elettrica del cervello può entrare in un pattern di onde cerebrali noto come oscillazioni gamma. L’oscillazione gamma è caratterizzata da potenziali d’azione spaziotemporali sincronizzati che attraversano avanti e indietro l’intero cervello 40 volte al secondo. In questo stato, si riesce a mantenere il condensato di Bose-Einstein, che può creare un entanglement coerente con gli elettroni pi all’interno dei microtubuli contenuti praticamente in ogni cellula del corpo. Il corpo diventa un “tutto” quantisticamente coerente, e l’individuo prova una sensazione di unità. Questo stato biologico macroscopico quantisticamente coerente consente all’individuo anche di creare una specifica sintonia con l’iperspazio e accedere a informazioni direttamente dal Campo.

Inoltre, i microtubuli e molti altri biopolimeri come il DNA possono formare onde solitoniche in grado di produrre vari fenomeni di tipo particellare come i fononi e i condensati di Bose-Einstein. Ancora una volta, si tratta di una forma di comunicazione non classica e di funzionalità quantistica all’interno del sistema biologico.

Normalmente una forma d’onda, quando viene esaminata da un fisico, collassa, ed è possibile determinare la posizione definita o la quantità di moto dei quanti. Si parla di riduzione soggettiva, detta soggettiva perché richiede la coscienza dell’osservatore. La sfida di Penrose e Hameroff era tentare di descrivere la genesi della coscienza attraverso il collasso della funzione d’onda, e non il collasso della funzione d’onda attraverso l’osservazione cosciente. Per questo arrivarono al concetto di riduzione oggettiva, in cui la funzione d’onda collassa dopo aver superato una soglia nella curvatura spazio-temporale. Si tratterebbe di un effetto della gravità quantistica. È un concetto davvero incredibile in quanto unisce meccanica quantistica, relatività speciale e biologia molecolare nella spiegazione di un dato fenomeno.

Anche se la teoria è molto interessante, potrebbe non essere necessaria per spiegare la genesi della coscienza, se la coscienza è fondamentale e primaria per tutti i fenomeni. Così, fintanto che il collasso della funzione d’onda quantistica all’interno dei microtubuli non spiega la genesi della coscienza, esso si può tuttavia applicare per spiegare molti altri fenomeni biologici. Per esempio, è attraverso il livello quantistico che ogni pensiero, sentimento ed esperienza viene trasmesso al livello di coscienza che è la nostra frazione individualizzata. Questa informazione viene trasmessa attraverso la funzione dell’onda quantistica che si sovrappone fra due livelli discreti della realtà – spaziotempo e iperspazio – consentendo lo scambio di informazioni fra i due livelli. Lo stesso tipo di elettroni delocalizzati che si trova all’interno dei microtubuli e che forma la sovrapposizione quantistica si trova anche all’interno della molecola del DNA, ed esiste un legame continuo che, attraverso i microtubuli e arrivando al DNA nucleare, percorre l’intero organismo di cellula in cellula.

Sopra: Dimensioni del genoma di vari organismi in base al numero di coppie di basi (bp) dei nucleotidi. In ordine discendente: Micoplasma, Batteri gram-positivi, Batteri gram-negativi, Funghi/Muffe, Alghe, Vermi, Crostacei, Echinodermi, Insetti, Molluschi, Uccelli, Pesci ossei, Pesci cartilaginei, Rettili, Mammiferi, Anfibi, Piante da fiore.

Il filamento di DNA fotocodificato

L’instabilità della densità elettronica del dipolo elettrico produce oscillazioni armoniche degli elettroni pi al centro dei microtubuli o del DNA. Ecco l’origine del filamento elettromagnetico che attraversa il centro di questi polimeri, poiché le cariche oscillanti producono campi magnetici, e i campi magnetici oscillanti producono campi elettrici che a loro volta producono onde elettromagnetiche o, per usare la terminologia comune, la luce. È un filamento fotocodificato, ed è il filamento del DNA che trasporta le informazioni! La presenza di questi fili di luce, il “corpo sottile” dell’organismo biologico, è stata rivelata da numerosi esperimenti scientifici.

L’esemplificazione empirica del corpo sottile risale agli esperimenti svolti negli anni Venti dallo scienziato russo Alexander Gurwitsch, che sorprendentemente collegò le emissioni elettromagnetiche ultradeboli degli organismi ai processi evolutivi del campo morfogenetico! Chiamò queste emissioni raggi mitogenici. Tuttavia, senza una vera e propria indagine empirica dell’argomento, la comunità scientifica rifiutò la nozione, perché era considerata al di fuori dei confini del paradigma materialistico. Solo in tempi relativamente recenti sono stati eseguiti degli esperimenti per approfondire l’argomento, e in effetti essi hanno confermato la comunicazione intracellulare e intercellulare tramite emissioni elettromagnetiche.

Trasformazione elettromagnetica del DNA

Uno degli esperimenti finora più definitivi che dimostrano il ruolo primario del filamento di DNA fotocodificato è quello di Luc Montagnier, che nel 2008 ha vinto il Premio Nobel per la Fisiologia/Medicina per aver dimostrato che l’HIV è l’agente eziologico dell’AIDS. In questo esperimento, si dimostra come uno specifico segnale elettromagnetico emesso da una coltura di batteri patogeni permanga anche dopo che tutto il materiale biologico è stato rimosso dal mezzo di coltura. Quando un ceppo non patogeno delle stesse specie batteriche è stato posto nel mezzo di coltura dov’era ancora presente il precedente segnale elettromagnetico, esso si è trasformato nel ceppo patogeno e ha iniziato ad emettere lo stesso segnale caratteristico del ceppo precedente. Essenzialmente, la frequenza elettromagnetica aveva trasformato il ceppo, il che significa che stava agendo specificamente sulla molecola di DNA del ceppo non patogeno, “ricodificandolo”.

Tutte le biomolecole formano complessi con l’acqua, che occupa un ruolo essenziale nella funzionalità di tutte le molecole viventi. È per questo che l’acqua è così essenziale per la vita: non si tratta semplicemente di un mezzo inerte in cui avvengono reazioni biochimiche. Dunque, Montagnier ha ipotizzato che le frequenze elettromagnetiche fossero trattenute in nanostrutture acquee: disposizioni conformazionali complesse di acqua macromolecolare. L’acqua non soltanto adotta un pattern unico per la conformazione delle biomolecole (e influenza direttamente l’esatta forma tridimensionale durante la formazione delle biomolecole), ma è anche responsabile di gran parte dell’attività elettrica delle biomolecole per via dell’interazione del suo momento di dipolo.

Risonanza morfica e conformazioni del DNA

Se si confrontano fra le varie specie i segmenti del DNA che codificano le proteine, cioè i geni, si nota un alto livello di conservazione, ovvero tutta la vita condivide gli stessi “utensili molecolari” in quanto i geni sono omologhi, fatta eccezione per alcune differenze osservate di importanza secondaria. Gli stessi geni che compongono gli ingranaggi molecolari e strutturali di una mosca si trovano anche nel genere umano. Tuttavia, questi geni sono coinvolti principalmente nella produzione degli ingranaggi molecolari, e il loro alto grado di omologazione e conservazione dimostra che non sono la causa delle differenze fra specie e individui. Invece le sezioni di DNA responsabili della produzione di queste differenze erano note già da molto tempo come ciò che si usava per identificare le specie e gli individui! I polimorfismi da lunghezza dei frammenti di restrizione (RFLP) si producono in sezioni di DNA uniche (i segmenti polimorfici) quando il polimero viene spezzato (digestione di restrizione per mezzo di enzimi endonucleasi) e creano quella che viene denominata “impronta genetica”. È quella che si usa per identificare esattamente specie, sottospecie, cladi, eccetera, fino agli individui. Questo sarebbe dovuto essere un grosso indizio: se si sta cercando ciò che rende diversa una specie dalle altre, le sezioni di DNA usate per identificare una particolare specie o individuo sarebbero un buon posto da dove cominciare!

Queste sezioni uniche di DNA sono i segmenti non codificanti. Chiamare queste sezioni di genoma “DNA spazzatura” è come chiamare il motore di un’auto “ruota di scorta”. Quanto sono importanti le sezioni non codificanti del DNA? La loro prevalenza nel genoma dovrebbe darne un’indicazione. Nella specie umana, il 95-98% del genoma è non codificante! Il dato è analogo anche per alcune altre specie, eppure esiste una correlazione fra la maggiore complessità degli organismi e la quantità di DNA non codificante. Per esempio, i batteri come l’Escherichia coli presentano una quantità estremamente esigua di DNA intergenico. I loro genomi sono architettonicamente banali, con semplici filamenti circolari che difficilmente possono adottare configurazioni complesse, eppure contengono approssimativamente 4.290 geni. È un quinto della quantità della specie umana, che presenta circa 21.000 geni, eppure questi E. coli sono batteri microscopici! In realtà, il Caenorhabditis elegans, un minuscolo verme, contiene più geni rispetto all’uomo. Tuttavia, in questo contesto, ciò che gli uomini hanno in maggiore quantità è il DNA che non codifica proteine, come si può vedere dalla correlazione fra dimensioni del genoma e DNA non codificante (in molti casi, nelle piante un genoma di grandi dimensioni è dovuto alla poliploidia, la presenza di più serie degli stessi cromosomi sufficienti a produrre la speciazione senza neppure un cambiamento in un gene codificante). Finora sono state identificate tre funzioni principali dei segmenti non codificanti…

  • Circa la metà delle regioni genomiche non codificanti è composta da elementi trasponibili che modulano l’espressione dei geni e sono in grado di riarrangiare i cromosomi.
  • L’altra metà consiste in un numero variabile di sequenze che si ripetono in tandem, denominate tecnicamente DNA satellite. Attraverso disposizioni conformazionali specifiche, esse si interfacciano con il campo morfico.
  • Entrambe queste parti del DNA intergenico sono soggette a espansione all’interno del genoma. Questa espansione serve ad aumentare la capacità di trasporto di informazioni della biomolecola.

Riarrangiamento dei cromosomi

Gli elementi trasponibili sono una parte altamente funzionale del DNA non codificante. Consentono al DNA di rispondere alle condizioni ambientali e rimodellare il genoma attraverso la traslocazione di segmenti del genoma e il riarrangiamento dei cromosomi. Dato che le regioni genetiche sono modulari, possono essere traslocate e tuttavia mantenere la completa funzionalità; verranno però espresse in modo diverso. Ciò può produrre una speciazione accentuata e rapida, una forma di evoluzione praticamente istantanea, nel senso che può avvenire nel corso della vita di un singolo organismo. Questi segmenti di DNA sono attivati da radiazioni ad alta frequenza, e per questo un incremento di fonti come i raggi cosmici causerà un aumento della quantità di elementi di DNA attivamente trasponibili.

Confrontando il genoma di specie classificate nella famiglia degli ominidi, come l’uomo e lo scimpanzé, le regioni genetiche in cui avviene la codifica delle proteine sono quasi identiche, quindi la differenza fra le specie sembra dovuta al DNA non codificante. In particolare, i retrotrasposoni, chiamati sequenze Alu, danno segno di giocare un ruolo particolare all’interno del genoma umano, in quanto sono gli elementi più abbondanti, rilevati a un numero di copie di oltre un milione di loci.

Dunque, l’architettura modulare del DNA rende logico il funzionamento degli elementi trasponibili per riarrangiare i cromosomi. Tuttavia, che funzione potrebbe avere il DNA satellite, dato che è fatto di semplici sequenze ripetitive che possono reiterarsi centinaia di volte? È stato illuminante considerare una caratteristica particolare delle sequenze che si ripetono alla luce della teoria della risonanza morfica. Le sequenze che si ripetono hanno la capacità di formare speciali conformazioni di DNA, fra cui le strutture di DNA terziarie e quaternarie oltre che vari altri elementi strutturali specifici. Per esempio, le regioni telomeriche sono composte da un numero variabile di ripetizioni di coppie di basi della sequenza TTAGGG compreso fra 3.000 e 20.000. Questa regione ricca di guanina forma un G-quadruplex che può originare quattro complessi di DNA a quattro filamenti.

Le varie conformazioni formate dal DNA satellite hanno quindi risonanze specifiche con il campo morfico, e dunque sono in grado di sintonizzarsi con programmi di informazioni molto specifici. Dato che il DNA satellite è altamente specifico per ciascun individuo, significa che ciascun individuo si sintonizza con un pattern morfogenetico esclusivo. Oltretutto, data l’elevata plasticità del polimero – in grado di mutare rapidamente lungo la sequenza ciclica di conformazioni della molecola di DNA – esso può servire per modulare il comportamento della cellula, tessuto e organismo con il mutare delle risonanze dei pattern morfici. In più, la caratteristica del DNA satellite di espandere il numero di sequenze che si ripetono aumenta la capacità di trasporto di informazioni della molecola di DNA.

Trasduzione di frequenza

Procedendo con la scienza del nuovo paradigma, consideriamo la funzione dell’organismo biologico come di natura primariamente elettrica e tendente alla coerenza quantistica. La si può considerare la teoria biologica “dell’Universo Elettrico”. Data l’importanza fondamentale del comportamento elettrico e magnetico nel sistema biologico, non sorprende che il DNA e molte altre molecole agiscano come delle antenne. Il DNA in particolare ne è un esempio fondamentale, come si può vedere dalla sua struttura molecolare la cui caratteristica è una forma unica nota come antenna a elica. La struttura lunga, lineare e polimerica si adatta perfettamente alla ricezione e trasmissione di impulsi elettrici, mentre l’anello formato dalla sezione trasversale della doppia elica che si avvolge è perfetto per ricevere impulsi magnetici.

In quanto antenna fondamentale per le radiazioni elettromagnetiche, il DNA può ricevere la luce, trasdurla, elaborare una risposta e riemettere segnali elettromagnetici che avranno un effetto di modulazione molto definito su molecole specifiche o anche target extracellulari. Tuttavia, il DNA mostra anche un’organizzazione strutturale caratteristica delle antenne frattali, che consente alla molecola di ricevere e trasdurre energia di punto zero e di interagire più direttamente con il Campo. Queste forme di energia più impalpabili interagirebbero più direttamente con la coscienza, e in questo modo potrebbero influenzare tanto l’espansione quanto la contrazione della consapevolezza cosciente. Ciò significa che certe disposizioni modulari del DNA sarebbero più tendenti alla consapevolezza cosciente. Per contro, molte ridisposizioni di questi moduli di cromatina potrebbero rimodellare il genoma rendendolo meno efficiente come trasduttore di energia di punto zero e quindi meno tendente alla consapevolezza cosciente.

Quando viene ricevuta l’informazione contenuta nella luce, essa può essere immagazzinata, elaborata e trasmessa olograficamente dal DNA. Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia dell’uso del DNA per funzioni computazionali, e in effetti esso è stato utilizzato per risolvere problemi molto specifici che richiedono forme di elaborazione speciali, come il problema diretto del cammino hamiltoniano in ambito matematico (Lila Kari). Insomma, non è per niente innovativo indicare che il DNA ha funzioni di elaborazione, come è stato dimostrato in vitro, e la sua capacità computazionale all’interno dei sistemi biologici è già stata riconosciuta con applicazioni specifiche.

La funzione di elaborazione del DNA finora è stata spiegata solo rispetto ai calcoli di un sistema dal funzionamento classico, tuttavia il DNA ha la capacità di eseguire calcoli quantistici utilizzando la sovrapposizione di elettroni pi all’interno delle coppie di basi di nucleotidi. L’appaiamento delle basi di nucleotidi è fondato sulle affinità reciproche delle strutture ad anello di pirimidina e purina. Queste strutture ad anello contengono elettroni delocalizzati che formano legami di Van der Waals, i quali conferiscono un momento di dipolo alle strutture legate ad anello. Un momento di dipolo è una polarizzazione di una molecola, che acquisisce un momento magnetico e una distribuzione polare di carica. In questo caso, la distribuzione di carica degli elettroni può passare da una purina a una pirimidina o da una pirimidina a una purina, oppure, dato che si tratta di uno stato meccanico quantistico, può trovarsi su una sovrapposizione delle due.

In più, lo spostamento del dipolo ne fa un oscillatore armonico quantistico, che produce quasiparticelle note come fononi. I fononi con lunghezza d’onda lunga producono suoni, perciò il filamento fotocodificato è in realtà un filamento elettro-tonale. Oltre alla comunicazione e computazione quantistica, questo stato di entanglement quantistico potrebbe essere il motivo per cui la molecola stessa del DNA resta unita dato che, secondo la meccanica classica, le dinamiche che tengono unito il DNA sono insufficienti per mantenere la doppia elica. Comunque, la lunghezza d’onda dei fononi è uguale alle dimensioni dell’elica del DNA, il che dà luogo a onde stazionarie che producono un fenomeno noto come intrappolamento dei fononi.

La capacità del DNA di immagazzinare luce è possibile perché il DNA è un cristallo aperiodico. Erwin Schrödinger, in Was ist Leben?, ha paragonato il cristallo aperiodico di DNA a un capolavoro di arazzeria, intessuto con un disegno coerente e significativo. Poiché, per definizione, il cristallo aperiodico di DNA mostra una quasi-periodicità, viene indicato correttamente anche come quasicristallo. L’esistenza dei quasicristalli non era stata neppure ritenuta possibile finché Dan Shechtman (oggetto di derisione della comunità scientifica) non dimostrò l’esistenza di questi speciali materiali solidi. Alcuni quasicristalli presentano una simmetria addirittura dodecagonale. Se la molecola di DNA dovesse avere una simmetria dodecagonale, la ben nota doppia elica del DNA potrebbe essere più energeticamente stabile in una matrice energetica dodecagonale, che essenzialmente forma 10 filamenti aggiuntivi che danno stabilità energetica. Inoltre, il DNA è in effetti un quasicristallo unico, in quanto è inframmezzato da una periodicità costante nel modello delle ripetizioni in tandem.

L’Universo vivente

Questo trattato iniziava con una domanda: che cos’è la vita? Pur non potendo affatto definire pienamente la più enigmatica delle condizioni dell’essere, esso certamente ha espanso la nostra percezione dell’organismo vivente come sistema biologico quantistico che si interfaccia con il tessuto fondamentale della realtà. All’interno della scienza non esiste una definizione adeguata per la vita. Ciò riflette direttamente una mancata comprensione della natura dell’Universo stesso.

Nella prospettiva del consenso, l’Universo è considerato come composto principalmente di materia inanimata, e in corrispondenza di un certo punto di transizione vagamente definito l’inanimato diventa vivo, e allora si parla di vita. Qui c’è un errore fondamentale. L’Universo è vivo nella sua interezza; dunque, il fatto di essere vivente è una caratteristica dell’esistenza stessa. La vita è esistenza ed è eterna in quanto la natura primaria dell’esistenza, per definizione, è esistere. Dunque, la vita e la coscienza sono infinite ed eterne, e al limite cambiano forma o costituzione, ma non cessano mai.∞

William Brown

Pubblicato originariamente su NEXUS New Times n.97, Aprile – Maggio 2012


William Brown, MSc, è un biologo molecolare che lavora per l’Istituto di Ricerca per la Biorigenesi presso l’Università delle Hawaii a Manoa, Honolulu. Il suo mentore, il Dott. Frederic Mercier, è lo scopritore dei complessi proteici della matrice extracellulare all’interno del cervello, che nominò frattoni, dall’insieme di frattali di Mandelbrot. La loro ricerca si concentra sulla spiegazione del ruolo primario dei frattoni e di altri elementi della rete del tessuto connettivo nella creazione della plasticità neurale, l’architettura dei tessuti, la biorigenesi e la nicchia staminale. La ricerca dell’Istituto si focalizza sui processi di sviluppo e formazione di modelli ricorrenti all’interno dell’organismo e la loro applicazione nella rigenerazione di tessuti e organi danneggiati nel corpo umano. Brown conduce ricerche mirate su qualsiasi fenomeno che sia considerato strano, e trascorre principalmente il tempo godendo della natura e della musica e approfondendo la consapevolezza della sorgente interiore che lega ciascuno di noi all’Infinito.

Può essere contattato per posta elettronica all’indirizzo wdb225@gmail.com e attraverso il sito Web.


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